Meravigliosa verticale Villa di Capezzana dal 1931 ad oggi10 min read

Nel 1931 la Nuova Zelanda e il Canada diventavano stati indipendenti, nasceva Michail Gorbačëv, l’Italia fascista era nell’ultimo anno della sanguinosa Guerra di Libia. Sempre nel 1931 a Capezzana si produceva  un ottimo Carmignano e qualche giorno fa, dopo ottantaquattro anni, ci siamo trovati davanti (anche) ad una delle ultime bottiglie di quel vino.

 

E’ successo lunedì 20 aprile, durante una degustazione veramente storica che la famiglia Contini Bonaccossi ha voluto dedicare a Winesurf. Del resto certi assaggi si possono fare solo in pochissime aziende toscane e Capezzana tra queste è forse quella che ha più storia “da bere” ( si arriva fino al 1925 e anche con un discreto numero di bottiglie). Ma veniamo a noi: accanto alla “star” 1931 c’erano il 1968, il 1983, il 1995 (nella versione Villa di Capezzana e Villa di Trefiano) e due annate recenti, 2006 e 2011.

 

Scommetto che tutti voi verrete sapere subito come era quel 1931, ma prima permetteteci di inquadrarla meglio. Del resto la degustazione non si è solo incentrata sulla qualità dei vini (altissima, vi garantisco) ma ha creato  un “habitat storico” che ci ha permesso anche di imparare qualcosa sulla storia del vino toscano ed in particolare di Carmignano. Tutto questo grazie alle notizie che Vittorio, Beatrice e Benedetta Contini Bonaccossi hanno ritrovato nei loro archivi e ci hanno trasmesso.

 

 

Villa di Capezzana 1931 (Sangiovese 70%, 10% Cabernet Sauvignon, 10%Canaiolo, 10% altre varietà autoctone). Non si conosce il dato esatto di bottiglie prodotte, ne sono rimaste circa un centinaio.

Si era in piena mezzadria, ma anche se le uve provenivano da vari poderi si vinificava tutto a Capezzana,  in tine in legno troncoconiche chiuse. Il vino a primavera era governato e svolgeva anche la maloattica che veniva fatta scaldando la cantina con dei fornelloni a carbonella.

Anche in quegli anni a Capezzana c’era un enologo: aveva un cognome particolare, Gattamorta, era un massone romagnolo, e come dicevano i contadini di allora (propensi più alla quantità che alla qualità), faceva potare troppo e troppo corto.

Ma torniamo al vino che dopo la malolattica andò per trenta mesi in botti da 30 hl. e poi venne imbottigliato. La bottiglia che abbiamo aperto era stata soffiata a mano ed aveva delle meravigliose irregolarità. Nel 1931 le bottiglie non venivano etichettate, quella che abbiamo trovato sulla bottiglia era stata apposta all’epoca della ricolmatura, fatta nel 1966.

Il colore del vino è un granato vivo, il naso all’inizio era leggermente chiuso (vorrei vedere..) ma dopo poco iniziano ad uscire sentori di liquirizia, cuoio fresco, funghi secchi e tartufi, che aumentano di intensità col passare del tempo, tanto che dopo oltre due ore le note aromatiche sono più potenti e distinte che all’inizio. In bocca la tannicità è dolce e l’acidità addirittura viva ma ben bilanciata, il tutto porta ad una incredibile lunghezza. Per l’occasione ho anche rispolverato la PAI (non la patatina ma la Persistenza Aromatica Intensa dei corsi di degustazione) e mi sono trovato a contare più di quaranta secondi…veramente incredibile. Un vino sorprendente in ogni sua caratteristica specie perché, come detto, le ha mantenute nelle ore seguenti fino a “sublimarle” a tavola, dopo più di 4 ore dall’apertura.

 

Villa di Capezzana 1968 (Sangiovese 70% Cabernet Sauvignon 10%, Canaiolo 10% altre varietà autoctone 10%. ) 47.750 bottiglie prodotte.

Anche se il 1968 è stato un anno pieno di avvenimenti storici, a Capezzana siamo ancora in pieno periodo mezzadrile, ma l’industrializzazione della vicina Prato e non solo ha comunque portato a dei sostanziali cambiamenti. Le vigne erano infatti lavorate sia dalle famiglie di mezzadri che dai cosiddetti “Camporaioli” cioè vecchi contadini che si erano trasferiti a vivere in città ma che venivano sempre a lavorare i terreni che gli spettavano col contratto di mezzadria. Camporaioli erano anche molti operai, che pur lavorando in fabbrica fino al sabato, la domenica salivano in campagna a lavorare le loro terre. Sempre di quegli anni è il concetto di “Comunelle”, cioè di masse di uve che provenivano dalla stessa zona “altimetrica” e venivano vinificate assieme. A Capezzana erano sostanzialmente tre, la Comunella di pianura, quella di mezza collina e quella di alta collina. Considerate che molte vigne erano già a filare, anche se magari alcune erano posizionate ai bordi dei campi o degli orti. Ma torniamo alle Comunelle. Queste uve venivano vinificate assieme in grosse tine di legno su cui col gesso si scrivevano le percentuali di proprietà dei vari contadini.

Alla svinatura il 48 per cento andava la proprietario e il 52% ai mezzadri-camporaioli che poi se lo dividevano tra loro. Quelli erano ancora tempi di fiaschi e le tre Comunelle servivano anche a dividere le tre tipologie di fiaschi che andavano in commercio: c’era il fiasco “Marca blu” dove finiva il vino di qualità più bassa, quello “Marca rossa” (equivalente all’attuale Barco Reale) e il fiasco Marca Oro, una specie di “fiasco cru.  Poi, al top della gamma, c’erano le bottiglie, il Villa di Capezzana, di cui in quell’anno ne vennero prodotte, come detto,  ben 47750.  

Il vino nella nostra è di color rubino aranciato ma profondo e concentrato. Il naso ha all’inizio una lieve nota metallica ma subito dopo escono addirittura note fruttate e sensazioni alcoliche. In breve si vira verso terziarizzazioni fini che puntano alle spezie e al tartufo. In bocca è un vino incredibile e ripeto incredibile: pieno, profondo, con una tannicità fitta, fresca ma molto dolce, un’acidità equilibrata e addirittura un alcol quasi eccessivo (in realtà 13°) che comunque porta ad una lineare potenza e incredibile lunghezza. Per me, anche se può sembrare un’eresia, il miglior palato (assieme al Trefiano 1995) tra i vini degustati.

 

Villa di Capezzana 1983 (70% Sangiovese, 15% Cabernet Sauvignon, 10% Canaiolo, 5% altre varietà autoctone) 97200 prodotte bottiglie.

Rispetto ai precedenti sembrerebbe figlio di un periodo completamente diverso, ma invece a Capezzana il tempo scorre lentamente e quindi c’era ancora una discreta fetta di mezzadria e soprattutto tantissimi camporaioli, anche se quasi tutte le vigne erano oramai specializzate. I fiaschi erano comunque stati messi da parte e la parte che non andava ai contadini era utilizzata quasi tutta per l’imbottigliamento. Ma se in campagna i cambiamenti erano lenti in cantina si viaggiava più velocemente. Per la fermentazione erano state messe anche grosse  vasche in cemento che affiancavano le famose tine il legno, e botti da 25 stavano sostituendo quelle da 30 hl.  In cantina c’era un tecnico che ha fatto una bella fetta della storia dei vini toscani (e non solo) Vittorio Fiore. Last but no least vorrei ricordare che il 1983 è considerata una delle più grandi annate di quel fortunato decennio toscano, alla pari (se non leggermente superiore) del 1985 e del 1988 e del 1982.

Il vino è rubino aranciato e sin da subito capiamo che si esprimerà con grande finezza: al naso note floreali e speziate molto complesse e cangianti, mentre in bocca troviamo straordinaria linearità, ottima freschezza e tannino dolce e vivo. Rispetto al 1968 è forse meno esplosivo e grasso, ma ha comunque una invidiabile, giovanile eleganza.

 

Villa di Capezzana 1995 (e Villa di Trefiano 1995) (Sangiovese 80% Cabernet Sauvignon 15% Canaiolo 5%) 16280 bottiglie prodotte (in quell’anno venne fatta anche la Riserva).

Un vino leggermente diverso rispetto agli altri, sia quelli che l’hanno preceduto che a quelli che lo seguiranno. La discussione tra Vittorio, Benedetta e beatrice è se fosse stata l’ultima annata fatta da Vittorio Fiore o la prima di Alberto Bramini. Comunque le prime 5-6 vendemmie degli anni novanta sono state caratterizzate ancora da maturazioni lunghe e stagioni piuttosto fresche. Siamo ancora lontani dal 2000 e dall’innalzamento delle temperature che hanno portato negli anni recenti a maturazioni anticipate. Oramai sono scomparsi anche gli ultimi ricordi della mezzadria e i vigneti sono tutti specializzati. Il vino ha fermentato in vasche di cemento per poi maturare in botti da 23 hl per 24 mesi.

Il colore è un rubino ancora vivo ed arriviamo subito alla diversità di cui parlavo prima, riguardante soprattutto il naso, dove il cabernet sauvignon emerge in maniera prepotente rispetto agli altri vini. Note balsamiche e di eucalipto molto belle caratterizzano il vino, che anche in bocca  mostra una grande freschezza, ma una tannicità ancora non domata e leggermente pungente. C’è chi attribuisce questa caratteristica ad una non perfetta maturazione fenolica derivante da annata fresca, chi invece sostiene che in quell’anno il Cabernet Sauvignon fosse presente in percentuale maggiore.

Per tagliare la testa al toro viene aperta una bottiglia di: Villa di Trefiano 1995 (Sangiovese 65%, Canaiolo 15%, Cabernet Sauvignon 10%, altre uve autoctone 10%, circa 15.000 bottiglie prodotte) che ha una composizione diversa (ed una storia diversa, di cui parleremo in un prossima verticale dedicata a questo vino..) rispetto al Villa di Capezzana. In effetti le differenze ci sono, eccome! Il vino ha un colore rubino lievemente aranciato, il naso e enormemente più complesso e vi si accavallano note di spezie, frutta nera, liquirizia e cacao, accanto ad una meno importante presenza di sentori vegetali dovuti al Cabernet Sauvignon. In bocca troviamo una forza impattante notevole, con tannini rotondi e setosi ma ben “cicciuti”, sostenuti da un’acidità comunque importante che dona austerità al tutto. Veramente un grande vino, che ci fa attendere con trepidazione la verticale dedicata a questa etichetta.

 

Villa di Capezzana 2006 (Sangiovese 80%, Cabernet Sauvignon 20%) 90.000 bottiglie prodotte.

Oramai siamo al presente e ci scuserete se dedicheremo meno spazio storico alla presentazione dei vini. Il 2006 è stata certamente, assieme al 2001, l’annata toscana più importante del nuovo secolo. Talmente importante che proprio da quell’anno Capezzana decise di mettere da parte ogni anno 3000 bottiglie  da mettere in commercio dopo un congruo numero di anni. Una mossa che fa capire quanta sia la fiducia dell’azienda nei vini che produce (ed in effetti non poteva essere diversamente..). Rispetto alle altre vendemmie il vino ha maturato in tonneaux da 350 litri per 12 mesi ed è poi restato un altro anno in bottiglia prima di andare in commercio.

Il colore è ancora porpora profondo, il naso ha forti note balsamiche che portano fino alla menta, ma il tutto sembra ancora compresso ed estremamente giovane. In bocca copisce immediatamente per potenza e grande struttura, nonché per una sapidità particolare che rende adesso la sua monolitica possanza elegante e godibile. Comunque è un vino che darà il meglio di sé tra almeno 10 anni, poi si vedrà..

 

Villa di Capezzana 2011 (Sangiovese 80%, Cabernet Sauvignon 20%) 28.000 bottiglie.

L’ultimo nato in casa Contini Bonaccossi, figlio di una vendemmia molto difficile e particolare, che da fresca fino ai primi di agosto si è trasformata in tropicale, con temperature diurne vicine a 40° e notturne poco inferiori ai 30°. Un’annata che ha preso di sorpresa tantissimi produttori. La produzione è stata nettamente più bassa e per molti si è trattato di vendemmiare frutti più che maturi, quasi cotti e bruciati dal sole. Capezzana ha infatti prodotto solo 28000 bottiglie di un vino che ha maturato per 12 mesi in tonneaux prima di andare ad affinare in bottiglia. Il colore è porpora cupo, il naso è  giovanissimo, con note di mora e  frutta rossa accompagnate da sentori freschi di mirto e rosmarino. In bocca è pieno rotondo, con un tannino già dolce ma fitto e profondo. Forse non sarà il Capezzana che invecchierà di più ma sicuramente è un vino corposo, dotato di bell’equilibrio e notevole profondità gustativa.

 

Una degustazione veramente particolare e estremamente interessante, a questo punto vi diamo appuntamento a quella dedicata al Villa di Trefiano.

 

 

 

(Hanno partecipato all’assaggio: Tiziana Baldassarri, Bruno Caverni, Alessandro Bosticco, Carlo Macchi)

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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