Marsala Wine: venni, vidi, bevetti e mi innamorai4 min read

Un articolo ben scritto, per essere tale, secondo coloro che “se ne intendono” dovrebbe mantenere un tono impersonale, evitando la prima persona e giudizi soggettivi non motivati.

Io non scrivo articoli ben scritti, scrivo cose leggibili che, per essere tali devono seguire il filo di una narrazione un po’ caotica.

Quest’anno la città di Marsala è stata eletta Città europea del vino e dal 5 al 7 luglio si è svolto Marsala wine, un evento dedicato al vino siciliano organizzato dal Comune di Marsala in collaborazione con l’Irvos e l’Assessorato per le Politiche Agricole. Io venni, vidi, bevetti e mi innamorai, anzi, venni, vidi mi innamorai e bevetti, per dimenticare.

 

Primo giorno.

 

Marsala – Mars-Allah, ovvero il porto di Dio, come può la sottoscritta non innamorarsi follemente di una città con radici tanto profonde nella cultura araba, nel sole e nel vino?

Curioso ossimoro sostanziale: “Mars- Allah” si da il caso sia anche il nome di un vino fortificato, il Marsala,  come lo è quello del sud della Spagna, lo Sherry, oppure quello che si produce a Oporto, o ancora a Madeira.

Dunque a cavallo del trentottesimo parallelo si producono dei grandi vini fortificati, la cosa importante da sapere (e che svela il mio arcano interesse per questa zona d’Italia) è che la provincia di Trapani è la sola zona siciliana ad aver subito una grande influenza fenicia , con  l’Isola di Motya unica grande Città Stato. Secondo la storiografia i Fenici bazzicarono anche in Andalusia, a Oporto e a Madeira, senza dimenticare la Sardegna e ovviamente l’amore mio, il Libano.

Il Marsala è un vino innanzitutto da comprendere, figlio della generosità dell’uomo, che produce al di là della propria vita; si potrebbe definire quasi un vino immortale.

Inizia così la mia prima serata a Marsala Wine, dove vengo letteralmente inebriata da una degustazione di vecchie annate di Marsala presentata da Franco Rodriguez,  ottimo enotecaro, delegato AIS di Palermo ma soprattutto narratore di splendidi racconti: praticamente un aedo dell’Antica Grecia che ci racconta otto Marsala.

Otto Marsala diversi tra loro incontrano le mie papille, tra gli otto ecco che il Marsala Superiore Doc Riserva semisecco 1987 di De Bartoli si scioglie nella mia bocca lasciandomi immaginare una dose abnorme di cioccolato fondente, ne seguono altri, che si assopiscono nell’opulenza elegante di De Bartoli, poi il risveglio con un Marsala Superiore Doc Riserva 1952 di Catine Florio, 1952 è la data di nascita di mio suocero, professore di Storia, innamorato della Sicilia.

Musita in arabo significa Moschea . Musita è la montagna che si trova dietro a Salemi. Musita è la cantina della famiglia Ardagna, che ci propone un’ottima cena a base di prodotti tipici dove non mancano i miei due piatti preferiti: caponata e peperonata! Antica cantina sociale dove la curiosa struttura è modellata dai serbatoi, viene acquistata e ristrutturata dalla famiglia, dove padri, madri, figli, fratelli cugini, sono tutti impegnati in un progetto comune: riportare la cantina agli antichi splendori anche e soprattutto attraverso il recupero di strumenti enologici di seconda mano.

In questa azienda agricola la volontà è quella di continuare a produrre varietà autoctone. La zona in questione è collinare, quasi montuosa e il terreno è particolarmente salino.  Mattia Filippi, enologo consulente di Musita, con il suo spiccato accento trentino, spiega che vi sono vigneti di Chardonnay in due zone differenti. Una zona bassa ed argillosa, l’altra ai piedi del suggestivo tempio greco di Segesta.  Il Grillo, figlio dell’amore tra  Zibibbo e Cataratto, in altitudine viene corteggiato dal sole ,esaltandone la finezza e la freschezza.  Il Cataratto è una varietà molto antica, pare che le prime tracce risalgano al 1636.

Qui si presta una particolare attenzione alle “vigne vecchie” perché come “gallina vecchia fa buon brodo” possiamo affermare che “vigna vecchia fa buon vino”. La raccolta delle uve avviene rigorosamente a cassette, poi le stesse vengono delicatamente pressate e la temperatura rigidamente controllata. Nero d’Avola e Syrah  (Syrah, si, il mio vitigno preferito) costituiscono la punta di diamante per i Rossi: il risultato è un nettare longevo, profondo, forse per questo poco siciliano. La produzione  totale di Musita è di circa 100.000 bottiglie e la superficie vitata si aggira attorno ai 30 ettari. Prima, quando Musita era ancora cooperativa la produzione era di 280.000 bottiglie.

Saltando di palo in frasca, per associazione di idee mi sorge una questione più che spontanea: I vitigni internazionali che ci fanno in Sicilia? Fino a qualche tempo fa la domanda del mercato imponeva i propri diktat all’offerta enologica siciliana, ora pare le cose stiano cambiando, sembrerebbe che il territorio si sia messo a competere con il mercato.

Perché sapete, non tutti i cambiamenti radicali vengono per nuocere. Per esempio, l’anno scorso è stato il più caldo degli ultimi 30 ma Mattia Filippi ci dice che le varietà autoctone hanno resistito molto meglio di quelle internazionali alle temperature elevate ed alla siccità. Per contro si dice che l’annata 2013 sia la più fredda degli ultimi 50 anni.

segue……..

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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