Mario Marengo: la semplice normalità di fare grandi vini5 min read

In un passato anche abbastanza recente la Langa era divisa tra tradizionalisti e innovatori, con i secondi visti prima come la panacea di tutti i mali e poi sempre con maggior distacco. Tramontato questo modo di vedere abbiamo assistito al sorgere di una specie di contromoda che portava avanti l’uso quasi salvifico della botte grande, mettendo all’indice la tanto osannata, in precedenza, barrique.  Nel frattempo, visto che l’attenzione va tenuta desta, è stata cavalcata con buoni risultati una vecchia pratica, quella della steccatura del cappello per macerare le vinacce in postfermentazione. Venti, trenta, cinquanta, anche cento giorni di steccatura erano e sono un modo per comunicare la certezza di avere dei Barolo di altissimo profilo.

Spesso quando vai in cantine di produttori di Barolo  puoi trovare ancora qualcuno fedele ad una delle linee sopra citate o magari solo i rimasugli di queste che, col senno di poi, si possono anche chiamare mode. Poi vai in visita da  Marco Marengo e le carte si rimescolano.

Marco Marengo e la sua famiglia (la moglie  Jenny e il figlio Stefano) fanno Barolo (e non solo)  a La Morra. Li ho scoperti da pochi anni e ancora non ero andato a trovarli, anche se il loro Brunate 2015 da solo valeva il viaggio in ginocchio.

Mi sono trovato di fronte a una cantina, un produttore, una famiglia che incarna un concetto che la grande fama della Langa, divenuta oggetto del desiderio per molti e quindi spesso mostrata con caratteri quasi hollywoodiani, ogni tanto nasconde: la normalità, anzi la semplice normalità di fare grandi Barolo da grandi vigne.

Abituati a personaggi più o meno eccentrici, a grandi guru paludati, a cantine modernissime e frequentatissime Marco, la sua famiglia e la sua cantina spiccano per semplicità assoluta, per una meravigliosa normalità che però ci consegna, anno dopo anno, dei vini di altissimo profilo.

La loro vigna a Le Brunate

Arrivo in cantina e partiamo subito per vedere le  vigne , ereditate dal nonno e poi dal padre (a cui è intitolata l’azienda). In momenti in cui ogni angolo di vigna langarola ha un nome e un cognome e ogni produttore mette in risalto anche le singole  zolle, per Marco è normale dire, con un tono come se ordinasse un caffè “Sai, ho più di un ettaro nelle Brunate e nel Bricco delle Viole”. Io lo ascolto e normalmente penso che ha vigneti in zone storiche che tutti in Langa farebbero carte false per avere.

Purtroppo non possiamo entrare nelle vigne perché la prima pioggia dopo mesi ha creato un tappeto di fango su cui si potrebbe anche sciare, ma la brezza continua che gira per il Bricco delle Viole o il sole che ti riscalda nelle Brunate (zona alta) danno subito l’idea di due microclimi completamente diversi.

Torniamo in cantina e anche dal punto di vista delle vinificazioni siamo nel mondo della semplicità: vasche d’acciaio, fermentazioni senza cappello sommerso (Se si esclude una prova di cui parleremo dopo) legni piccoli (quando molti stanno tornando sul legno grande) , la maggior parte usati e via andare. “Ho barrique perché le posso spostare facilmente e in  cantina mi trovo meglio con queste. Per me i legni servono ma è la vigna che è fondamentale ”.

Solo quest’anno, invogliato dal figlio Stefano fresco di scuola enologica,  ha acquistato una tina in legno e qui hanno provato a steccare il cappello. Il risultato si vedrà (ma non promette male) ma quasi sicuramente non andrà a finire nei due cru.

Poi ti siedi, cominci ad assaggiare i vini e ti rendi conto che per fare grandi prodotti non bisogna per forza condurre in maniera esasperata la vigna, estrarre, rimontare, steccare, essere seguace dell’innovazione o della tradizione. Basta fare bene le cose normali, avere una cantina pulita, prestare grande attenzione, lavorare tanto  e il risultato che arriva è di altissimo profilo.

Basti pensare alla sua Barbera Pugnane 2020, addirittura stratosferica al naso per aromi di frutta, di grande freschezza pur avendo corposa rotondità. Un vino che “profuma di Barbera” come non sentivo da tempo e unisce estrema piacevolezza a elegante profondità.

Sull’annata 2018 di Barolo è stato scritto già tanto e da diverse parti si è puntato il dito sulla leggerezza dei vini. Da qualche assaggio fatto in precedenza  questa caratteristica era emersa e quindi con il suo 2018 nel bicchiere ero curioso di vedere come, normalmente, nel 2018 si potesse fare un ottimo barolo.

Prima di assaggiarlo però ne è passato di tempo perché sono rimasto bloccato come un cane da punta al fagiano dai profumi di questo vino: viola, rosa, frutta rossa, balsamicità con legno sottotraccia perfettamente dosato: un naso molto intenso e complesso  e che soprattutto  immedesima la quintessenza dei profumi del barolo. In bocca la “leggerezza” non esiste,  grazie ad un tannino ben disegnato, ad un corpo importante ma equilibrato e ad una freschezza che è un carattere fisso nei vini di Marco (e di Stefano).

Le Brunate

Il Bricco delle Viole 2018 è invece ancora un po’ ritroso al naso ma in bocca impone una quasi austera freschezza e una tannicità importante e giovanissima. Diamogli tempo a sicuramente darà soddisfazioni.

Il Brunate 2018 è una via di mezzo tra il suo Barolo base e il nirvana enoico: oltre alla viola , alla rosa e alla frutta rossa si aprono prati pieni di margherite e fiori di campo, con alcune tonalità mature che virano verso il fungo e il tartufo. Un naso giovane ma nello stesso tempo complesso, intenso, classico e già godibilissimo. Bocca sempre molto fresca, netta, con tannino dolce ma giustamente “aggressivo”. Equilibrio, ampiezza  e lunga chiusura sono altre note di questo ottimo Barolo.

I complimenti sono “normalmente” obbligatori.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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