Mamma li vini turchi!6 min read

Tre mesi or sono, ebbi l’occasione di andare in Turchia per una conferenza internazionale sulla convergenza tra settore vitivinicolo e nuovi media.  Si, so già cosa pensate: ancora con questa palla dei Social Media, ma in realtà non mi sfiora neppure l’idea di parlarvi di questo.

In realtà l’evento è stato estremamente interessante per tre ordini di motivi :
–    le persone, amanti del vino e delle tecnologie digitali, per la maggior parte provenienti da luoghi lontani e più o meno ameni
–    Gli argomenti, taluni per me piuttosto ricorrenti, altri estremamente arricchenti
–    Il luogo: come dire, Izmir mi è molto piaciuta, come tutte le città del Sud del Mediterraneo
–    
Mi concentro  sul luogo: Izmir, ovvero Smirne, che si trova nella Turchia centro Occidentale e si apre sull’Egeo, quello scorcio di mare che sembra diede i natali alla dea dell’amore, o presunta tale ai giorni nostri.

Izmir è il nome turco, ufficializzato nel 1930,  ma il nome greco, Smirne, pare derivasse dall’abbondanza di piante di mirra nella zona di fondazione della città.

Smirne, così mi piace chiamarla, è da sempre stata una città poliglotta, multiculturale e multietnica, anche e soprattutto dopo la conquista da parte dei Turchi che si verificò in due riprese. La seconda conquista non fu proprio indolore, la popolazione greca e armena, (quasi due terzi della popolazione totale) fu massacrata o fuggì nella vicina Grecia. Interessante a tal proposito leggere il libro o guardare il film “La Masseria delle Allodole”.

La Turchia è un Paese che oggi, nonostante i dettami religiosi dell’Islam, produce sempre più vino e di sempre migliore qualità, prova ne è la recente creazione di “Wines of Turkey”, l’associazione che rappresenta i migliori produttori di vino del Paese di Atatürk.

Si tratta di una partnership tra le più importanti aziende vitivinicole del Paese,  come Doluca, Kavaklidere, Kayra, Kocabag, Pamukkale, Sevilen e Vincara.

Wines of Turkey nasce nel 2008 con lo scopo di promuovere i vini turchi nel mondo e di far crescere le esportazioni creando un marchio generico che possa rappresentare dei prodotti qualitativi. Ma torniamo un po’ indietro…

Si dice che le prime tracce della viticultura  e vinificazione in Anatolia siano datate 7000 a.C., pare che il vino ricoprisse un ruolo importantissimo per le popolazioni locali, principalmente gli Ittiti (e chi non si ricorda gli Ittiti, alle elementari mi fecero una testa!!!!). Il vino costituiva infatti la libagione più importante durante i riti presieduti dalle massime autorità,  al punto che nel codice civile degli Ittiti ne venivano protette le provvigioni,  ed ogni nuova annata veniva festeggiata con delle vacanze.

Per i Frigi, popolazione che succedette cronologicamente agli Ittiti, il vino assunse un ruolo più quotidiano, costituendo parte integrande dell’alimentazione insieme al pane, l’olio ed al pesce. Si narra anche che furono proprio i Frigi ad apportare la cultura del vino presso le colonie greche occidentali per poi essere diffusa in Francia ed in Italia.

Passano gli anni, anzi, i secoli,  le vigne sopravvivono al proibizionismo ottomano e mentre i vigneti europei vengono distrutti dalla “Filossera” la produzione di vino in Turchia cresce a dismisura sotto l’egida della tolleranza del movimento per la modernizzazione ottomana. Per riuscire a soddisfare infatti la domanda di vino europea,  nel 1904 l’impero ottomano giunge ad esportare la quantità record di 340 milioni di litri.

La situazione tuttavia cambia rapidamente, in seguito ai due conflitti mondiali ed alla guerra di indipendenza.

Nel 1943 Il Sig. Huseyin Yazgan, nato in Grecia non lontano da Tessalonica, si trasferisce ad Izmir, e decide di fondare Yazgan, a Turgutrlu, a circa 40 km ad est di Izmir.
Yazgan,  produce circa 6 milioni di litri, e si posiziona come uno dei più grandi produttori del Paese. Per riuscire a mantenere questo tipo di volumi ha realizzato delle partnership con dei produttori locali, soprattutto per ciò che concerne i vitigni locali come ad esempio: Öküzgözü coltivato a  Elazığ, Boğazkere coltivato a  Diyarbakır, Narince coltivato a Tokat, ed Emir coltivato a Nevşehir. Si tratta di vitigni autoctoni che vantano secoli di storia e che donano al vino quel “non so che” di tipico dei vini turchi.

A completare i bouquet come al solito vi è un ventaglio di vitigni internazionali, dove di certo non può mancare il Cabernet Sauvignon, Il Merlot, il Cabernet Franc, il Syrah, lo Chardonnay e il Sauvignon Blanc.

I membri della famiglia Yazgan ci accolgono con estrema gentilezza, imbandiscono la tavola con leccornie e primizie da loro stessi prodotte, caffè e thè in tazze decorate e poi a seguire i loro vini in degustazione. Ciò che si percepisce, in maniera piuttosto forte, è il dramma legato all’emigrazione forzata di una certa parte della popolazione, come è il caso della famiglia Yazgan, in virtù de trattato sullo scambio di popolazione firmato a Losanna  tra Grecia e Turchia il 30 gennaio del 1923.

Un altro elemento piuttosto ricorrente è il sentimento che la produzione del vino, per queste persone, vada ben al di là del semplice concetto di “fare” o “produrre”,  vi è una componente di appartenenza culturale, di militanza silenziosa. Come già scritto da un blogger inglese, ciò che emerge è la presenza femminile costantemente messa alla prova.  La produzione vinicola è qui più che mai una questione di famiglia, di appartenenza sociale, di appropriazione di categorie culturali, di rafforzamento di legami. Yazgan è molto di più di un’azienda vitivinicola, è un luogo di promozione di una business vision al femminile, dove l’enologa è una donna, come pure la responsabile commerciale e comunicazione.

Per ciò che concerne i vini ne segnalo qualcuno, ma in generale, nonostante ne abbia degustati parecchi, non ce n’è nessuno che mi abbia proprio fatto girare la testa!

Il primo è Emir, di Yazgan,  100% Emir, vitigno autoctono a bacca bianca: un vino leggermente aromatico,  con note di albicocca e ananas,  poi c’è  l’Öküzgözü, un vitigno autoctono a bacca rossa, con il quale si produce un vino rosso, piuttosto strutturato, dove le note di tabacco e menta sono dominanti.  Non male il 100% Sauvignon blanc. Ne ho degustati tanti altri, ma sono sincera: i vini Turchi, sebbene ne riconosca la qualità, non hanno fatto breccia nel mio cuore, almeno non ancora!

In compenso ho trovato il cibo della parte ovest della Turchia di una qualità e varietà eccezionali, pesce, verdure fresche, ottimo olio d’oliva. La mezzé turca ricorda per certi versi quella libanese, ma è più leggera e meno sapida.

Anche a Izmir, come a Beirut si incontrano gatti dappertutto,  nelle strade, nelle case, nei ristoranti, in spiaggia, e poi ci sono gatti che amano il vino! Ma questa è, come al solito, un’altra storia.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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