Malvasia, malvasia, per piccina che tu sia..5 min read

Grazie alla disponibilità dell’azienda Capofaro (Tasca d’Almerita) per il terzo anno consecutivo Malvasia Day ha raccolto buona parte dei produttori eoliani.  E nonostante il calo dell’afflusso turistico abbia colpito pesantemente le isole, l’iniziativa (Salina 20 Luglio 2013) ha riscosso un buon successo godendo di una grande partecipazione di pubblico. L’incontro, dopo due seminari uno dedicato alla Malvasia e un altro sulla vitivinicoltura insulare, si è svolto a bordo piscina, tra i vigneti curatissimi del Capofaro Resort, una delle località più suggestive dell’isola. Erano presenti aziende non solo di Salina, storico e più esteso centro di produzione, ma anche di Lipari e, vera e propria rarità, da Panarea e da Vulcano. Insomma un appuntamento davvero imperdibile per chi aveva voglia di approfondire la conoscenza con uno dei vini più affascinanti del Mediterraneo.

Malvasia di ieri, Malvasia di oggi

Sino a non molto tempo fa,  sarebbe stato impossibile pensare di mettere insieme così tanti “angeli matti”, secondo l’indimenticabile definizione dei vignaioli delle piccole isole, coniata da Gino Veronelli. Se in passato invidie, rivalità e concorrenza hanno sembrato prevalere sull’interesse generale, oggi il Malvasia Day è un terreno di confronto comune tra diverse interpretazioni della Malvasia frutto di stili, sensibilità, culture e scelte produttive differenti. Si tratta di un lungo percorso iniziato negli anni Settanta grazie all’opera pionieristica di Carlo Hauner, (qui soprannominato come “u bresciano” perché proveniva dalla città lombarda) il quale intuì che dietro quella Malvasia dolce ma anche parecchio sgraziata dei contadini locali, si nascondeva una vera e propria star.  All’epoca quel vino antico e amato che in passato era stato la principale fonte di reddito dell’isola, stava attraversando un momento di decadenza ed era ridotto a poco più di una curiosità. La Malvasia delle Lipari di Hauner, alleggerita dalle asperità causate dalle rudimentali tecniche di vinificazione, fu un’esplosione di aromi che lasciò un segno indelebile. Grazie all’interesse suscitato e ad un’impennata delle richieste, i vigneti abbandonati furono nuovamente curati, nacquero altre aziende mentre le vecchie si dotarono di attrezzature più moderne. Insomma chi aveva abbandonato la terra, riprese nuovamente fiducia. E così un’economia agricola che sembrava vivere solo nel ricordo dei vecchi, nel corso degli anni si è progressivamente messa in moto tanto da riportare, recentemente, la vite anche in quelle isole ( Lipari, Panarea, Vulcano) dove era scomparsa da cinquanta o anche cento anni fa. Si tratta di vini dal carattere forte e marcato come solo una piccola isola può far nascere e di storie di tante persone, di vecchi e nuovi vignaioli, che svolgono un ruolo indispensabile non solo perché continuano una storia produttiva millenaria ma coltivando la terra e i vigneti, assicurano la conservazione e la manutenzione del paesaggio delle isole. Il vino di una piccola isola è spesso un vino che non c’è, che esiste solo nel ricordo di un assaggio dopo una giornata in barca a vela, scovato in un piccolo negozio affacciato sul porto dove si vende di tutto. Nelle Eolie terre di miti, di vulcani attivi, di arie terse e di venti salsi, la vite e il vino rappresentano un elemento di condivisione dell’identità e della cultura locale. Per questo la Malvasia è un legame con la storia che ha accompagnato le generazioni e continuerà ad accompagnarle. Insomma tutto fuorché un solo, semplice, bicchiere di vino.

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BOX 1  
Malvasia Day 2013
Da Salina hanno partecipato le aziende Capofaro, Caravaglio, Colosi, D’Amico, Fenech, Florio, Giona, Giovi, Hauner, La Rosa, Marchetta, Virgona; da Panarea La Vigna di Casa Pedrani; da Lipari, Tenute di Castellaro; da Vulcano Paola Lantieri-Punta dell’Ufala.

Box 2
La vite e il vino nelle Eolie
La produzione di Malvasia ha avuto alterne vicende: nel periodo di migliore rendimento il suo rapporto con il vino comune era di 1 a 4 con un quantitativo di 4-500 ettolitri l’anno. Succesivamente decadde tanto che tra il 1929 e il 1930 rimase sotto i 50 ettolitri e i vigneti di malvasia furono sostituiti con uva comune. Nel 1940 la produzione venne riportata a 400 ettolitri per diminuire subito dopo a causa degli eventi bellici. Nell’immediato dopoguerra si ebbe una notevole ripresa e nonostante il continuo esodo degli agricoltori si passò dai 200 ettolitri prodotti nel 1952 ai circa 500 ettolitri del 1962. Nel periodo di maggior floridezza della viticoltura sull’isola di Salina tra il 1880 e 1890 si producevano sino a 16.000 ettolitri di vino. La ripresa è iniziata alla fine degli anni Settanta. La superficie vitata rivendicata a Malvasia delle Lipari Doc nella vendemmia 2012 è stata di 22, 69 ettari mentre il vino certificato è stato pari a 335 ettolitri di vino, dei quali 80% passito e il 20% naturale. Il Salina Igt ha avuto una superficie rivendicata di 50,52 ettari mentre il vino imbottigliato è stato solo di 27 ettolitri. Altri vigneti sono classificati nell’ambito di altre denominazioni (Doc Sicila ex Igt Sicilia ora Terre Siciliane). Complessivamente si stima che complessivamente nelle Eolie ci siano circa una novantina di ettari di vigneto.

Box 3
Il Dna della Malvasia delle Lipari
Cambiano i nomi ma la Malvasia è la stessa. Malvasia delle Lipari è uguale a Malvasia di Sardegna, Greco di Gerace (Calabria), Malvasia di Sitges (Spagna) e Malvasia dubrovčka (Croazia).

Box 4
Come si fa la Malvasia
L’uva raccolta nella prima metà del mese di settembre viene appassita su graticci (cannizzi) per 15-20 giorni per disidratare l’acino e aumentare il grado zuccherino del mosto. Meno frequente la raccolta tardiva su pianta. Il vino – mediamente – raggiunge un grado alcolico tra 12,5 e i 14° , con una quota di zuccheri residui tra 120 e i 150 gr./lt. Il disciplinare della Malvasia delle Lipari prevede la presenza di un 5% di uva Corinto Nero. Il Corinto Nero è una varietà diffusa in Grecia e in Turchia, da cui si ottiene l’uva passa da mensa. Quello coltivato in Sicilia sarebbe invece un Sangiovese Apirene ( senza semi) “Il Dna di queste uve è quello di un Sangiovese – spiega Attilio Scienza – Corinto Nero è un sinonimo improprio. Non dobbiamo pensare però al Sangiovese di Toscana. In Sicilia, e in tutto il sud Italia, questo varietale è più frequente di quanto si possa pensare, per esempio sull’Etna ce ne sono tantissime piante. Solo che le chiamano in modo diverso.”.  

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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