Lenticchie alla julienne: quando Albanese impersona il più grande chef del mondo3 min read

Per non emulare il moscerino che crede di essere utile alla vita dell’elefante mi faccio una domanda e mi do una risposta.

Domanda: “A cosa serve una recensione di Carlo Macchi ad un libro di Antonio Albanese?

Risposta: “Dal punto di vista delle vendite del libro assolutamente a niente!

Chiarito questo punto iniziamo a parlare di Lenticchie alla julienne che ha come sottotitolo “Vita, ricette e show cooking dello Chef Alain Tonné -forse il più grande-“

Come capirete questo è un libro di ricette come il Kamasutra è un orario ferroviario: naturalmente non è una storia vera ma potrebbe esserlo e non è detto che, purtroppo, non lo sia.

Certo è che Alain Tonné rappresenta non solo la quintessenza (anche la sesta, esageriamo) della tanta fuffa con cui si gozzoviglia  nel mondo della “grande” ristorazione, ma purtroppo anche tanta Italia, con la sua furbizia, ignoranza, supponenza, protervia, semplicità  e naturalmente con l’immancabile sale rosa dell’Himalaya. Questo prodotto, mai mancante nelle molte non-ricette (almeno spero lo siano, ma non ci giurerei) da cui è composto il libro, è veramente il filo conduttore dell’opera, forse perché potrebbe servire a mettere un po’ di sale in zucca (zucca presalé naturalmente) al lettore.

Ma basta con le ciance e parliamo del più grande chef del mondo, un personaggio di cui leggendo il libro potrete scoprire i molteplici e rabdomantici pregi culinari: io mi fermo ad un difetto, illuminante “ …non era mai stato molto portato per la politica. Non aveva mai capito fino in fondo se i partiti arrivassero, perché al primo ministro non seguisse un secondo né un contorno, perché il parlamento avesse solo due camere ma svariati bagni.”

A parte la sua ignoranza politica Alain è invece ferratissimo nell’arte culinaria, in particolare in quella branca innovativa, misterica, sensazionalista, assolutista, gigionesca, arlecchinesca che è specializzata in show cooking, perfomances, seminari gastronomici, cene a tema e a problema.

Il libro, scritto con una penna tagliente come una coltello da cucina katana (esiste? Boh) e godibile come due etti di buon culatello (esiste? Oh Yes!), viaggia da una ricetta “mission impossible”  all’altra, da una storia inquietante quanto comica all’altra, da un alito di sale dell’Himalaya ad un cucchiaio di zucchero salato dell’ Himalaya.

Qualcuno potrebbe dire “Ma è assurdo!” e avrebbe assolutamente ragione, perché forse il messaggio che sta sotto a tutto questo sale dell’Himalaya, a 800 grammi di mandorle depilate da una filippina bipolare, a lenticchie selezionate da vergini altoatesine,  a del peperoncino essiccato in un bunker con wifi e agli altri moltissimi ingredienti usati da Alain, è che stiamo vivendo in un mondo dove l’assurdo paga e la razionalità annoia e non è di moda.

Non vi annoierete invece leggendo, accanto alle ricette, le varie storie del più grande chef del mondo “l’unico a quattro stelle”, che solcherà con passo deciso non solo show cooking ma anche cene in onore di mafiosi latitanti, Biennali di Venezia, raduni di vecchi compagni di scuola e Forum di Davos, fino al tragicomico finale di un comico-tragico libro sul tragicomico mondo della grande ristorazione, quella da quattro stelle in su e non solo.

Oh, se vedete Albanese, non ditegli che ho scritto queste righe. Magari per punirmi potrebbe invitarmi ad uno show cooking del maestro Alain e non ho niente da mettermi.

 

Antonio Albanese, Lenticchie alla julienne, Feltrinelli Editore, 15 euro

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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