Le lingue le preferisco ..salmistrate (2° parte)6 min read

Daniel, il mio Virgilio, grazie al suo lavoro di agente, doveva incontrare quotidianamente capi cantiere nell’industria della costruzione e  praticamente mangiava sempre al ristorante.

La mattina nei cantieri era obbligo caffè francese e a partire da una cert’ora anche Pastis. Sempre pronto a sperimentare anche le cose più sospette come questa trovai il modo di strozzare caffè corretto al Pastis, a condizione di fumarci dietro le Gauloise papier mais, senza filtro.

Daniel aveva per i luoghi dove mangiare una conoscenza illimitata: dai più famosi ristoranti alle brasserie, ai bistrot fin nei vicoli più periferici e nascosti della città. Lui che era nato nel quartiere dell’Operà, aveva studiato la batteria, frequentava corsi per ballerino e con la moglie poetessa si esibiva per hobby alla domenica nel ballo del tip tap con tanto di scarpe professionali. E poi dal lunedì ricominciava a frequentare cantieri edili a vendere chincaglierie e macchinari .

La sua passione era la cucina orientale e a Parigi, dove c’è in pratica la cucina di tutti i paesi del mondo, ce ne sono di veramente speciali e di altissimo livello. Ma una volta vista la mia curiosità e amore per l’argomento mi condusse per mano soprattutto nella cultura della cucina francese. Quella internazionalmente conosciuta ma anche e soprattutto quella locale, più caratteristica e popolare, la cucina di paese, la cuisine du Pays.

Essendo amante dei frutti di mare almeno una volta ad ogni viaggio andavo ad ostriche. Per dire che poi ci facevamo un petit o un “grand plateau” vera meraviglia della natura marina portata a tavola. Il Vaticano di questa specialità è nel quartiere noto per altre specialità, e cioè Pigalle. Là sono i migliori ristoranti per i frutti di mare. Ne ho provati tanti in giro per la città, ma nel cuore mi rimane sicuramente Wepler, proprio a Pigalle dove i monumentali Grand Plateau vengono serviti in un’atmosfera allegra e festaiola in stile Belle Epoque. Ricordo con piacere anche la Brasserie Lorraine, un locale arioso ed elegante nel centro di Parigi, dove mia figlia decenne sbalordì commensali per come si fece fuori la sua bella razione di frutti i di mare, ostriche e ricci di mare compresi.

Non di solo ostriche mi cibavo, ma quasi. L’altra enorme scoperta fu la qualità della carne vaccina. Un sapore, una succulenza e una tenerezza che aveva per me dell’incredibile. Bleu, saignant, à point, bien cuit, imparai presto il significato e m’indirizzai senza’altro per la versione meno cotta. Non è possibile un paragone con la nostra carne. Buona quanto si vuole, ma secondo me inarrivabile la loro. Mentre per il maiale è il contrario. Sono bravissimi, ma noi siamo meglio.

Con la carne alla griglia si approda inevitabilmente alle patatine fritte. E con la carne grigliata e le patatine fritte alla senape di Digione, quella forte che se ti sbagli e ne metti un po’ troppa ti fa lacrimare gli occhi ed il naso. Sia io che mia moglie abbiamo imparato là questa possibilità e anche oggi la cosa che chiediamo a chi ritorna dalla Francia è un bicchiere di questa splendida mostarda, quella forte e chiara, di Dijon.

Alla mattina, prima degli appuntamenti, la mia passeggiata mi portava a esplorare mercati rionali (si dentro Parigi) per la frutta, la verdura, la carne, il pesce, le drogherie, le panetterie, i negozi di alimentari in genere. E vedere gli alimenti che venivano usati e venduti, i tagli della carne nelle macellerie, la preparazione dei pesci nelle pescherie, le panetterie, le drogherie con il loro mare di paté di terrine, di mille tipi. Ho amato subito il patè de foie gras, questa mercanzia che per come la presentano loro pare la cosa più preziosa al mondo. Buona è, e non ci piove, ma secondo me non hanno mai assaggiato i fegatelli che fa il Vannuccini a Grosseto, se no si sarebbero dati alla macchia.

E poi i negozi di vini dove mi perdevo con enorme facilità. Vista la sterminata quantità e qualità dei vini. Enorme quanto la mia ignoranza in materia.

Fu il Sancerre che mi aprì la strada a quella che doveva diventare la mia passione per i vini bianchi. Riuscivo ad abbinarlo quasi a tutto per il  semplice motivo che mi piaceva berlo. Scoprii ovviamente che il Sancerre aveva come base il Sauvignon blanc, particolarmente elegante in questa zona, e che nella sponda opposta del fiume un’altra denominazione famosa, il Poully Fumè, che faceva da contraltare al nostro. Scoprii anche che con in "rillet", una preparazione sotto strutto di maiale tipica  della zona di Le Mans (si ho fatto un giro anche nel circuito dove si svolge la 24 ore), ci va il Sancerre rosè. E come ci va! In effetti nel Sancerre, oltre che il Sauvignon blanc, vengono coltivati per i rossi e il rosè sia il Pinot Nero che il Gamay.

Poi venne anche il Muscadet che per le ostriche credo sia il massimo, forse anche meglio dello Champagne. Ma per fortuna sfacciata ho lavorato per un anno anche a Soissons, in pratica nella zona della Champagne. E li, come Virgilio al posto di Daniel arrivò l’amico Bastien. Lui mi ha iniziato alla religione di questo inarrivabile vino. Da scriverci poco e berlo spesso. Da quelle parti bevono lo Champagne al bar come qui da noi si prende un caffè. A tutte le ore del giorno, e della notte.

Vicino a Soissons, nella Radura dell’Armistizio, è conservato e visitabile un vagone storico. La prima volta fu usato per la firma dell’armistizio che entrò in vigore nell’undicesima ora dell’undicesimo giorno dell’undicesimo mese – l’anno era il 1918 – dal Maresciallo Foch e pose fine alla prima Guerra Mondiale. Il 22 giugno 1940, nello stesso vagone ferroviario, i francesi – sotto lo sguardo compiaciuto di Hitler –  furono costretti a firmare l’armistizio che sanciva la conquista della Francia da Parte della Germania nazista. Il vagone fu poi portato a Berlino per ordine di Hitler e poi distrutto nell’aprile del 1945 per evitare che venisse usato per una terza resa, la sua. Il vagone che si può oggi visitare è una ricostruzione fedele dell’originale, mentre i mobili sono gli originali utilizzati per la firma dell’armistizio del 1918.

Che vita ragazzi in quel periodo!

(segue)

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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