Le buchette fiorentine: il vino a chilometri zero di cinque secoli fa, alla faccia del Covid-194 min read

Quelli che le conoscono le chiamano “buchette del vino”, hanno l’aspetto di piccoli sportelli o finestrelle ma possono ricordare anche dei tabernacoli. Ricavate ad altezza d’uomo direttamente sulle strade di Firenze, spesso di fianco a portoni o cancelli importanti, erano aperture destinate a smerciare vino agli avventori dall’interno dei palazzi.

I quali palazzi appartenevano ai produttori stessi, era quindi una specie di outlet a km0 operato più che altro da famiglie nobili o comunque possidenti, con vigneti nel contado: magari nomi tuttora legati alle dinastie del vino toscano.

Una delle meglio tenute sta su un fianco di Palazzo Antinori, giusto di fianco allo storico ristorante Buca Lapi. Con un po’ di fantasia possiamo immaginare la famiglia Machiavelli vendere così il vino dalle proprie tenute di Sant’Andrea in Percussina, cinque secoli fa.

Niente contatto diretto però: le aperture sono così piccole che a stento si riesce a immaginare una brocca o un fiasco passare vuoti e uscirne pieni in cambio di qualche moneta. Compratore e venditore non potevano neanche vedersi in faccia. Cosa ci sarebbe stato di meglio in data odierna, tempo di confinamento da coronavirus?

Peccato che col passare del tempo le  buchette abbiano perso la loro funzione, oggi non resta che fare la fila davanti a qualche bottiglieria o andare online. Diverse sono state semplicemente murate, altre sono state riconvertite per ricevere elemosine, ospitare campanelli o ricevere la posta.

Mentre poche hanno subito un vero e proprio restauro conservativo, molte sono segnate dall’intervento di qualche graffitaro o artista di strada.

È curioso che un certo numero si trovi in prossimità di esercizi pubblici, dal ristorante alla gelateria. D’altro canto sarà per la movida notturna o per colpa di certi turisti, ma mi è capitato di vederle ridotte a ricettacolo per lattine di birra o scatole di sigarette.

Tutto ciò è comunque in cambiamento continuo, pertanto quello che potrete osservare alla prossima visita a Firenze non corrisponderà necessariamente a quanto vedete adesso nelle foto di questa pagina, che ho scattato in vari periodi.

Ma c’è chi si occupa di catalogare e aggiornare la situazione: nel 2015 è stata fondata, per pura passione culturale, l’Associazione Buchette del Vino (buchettedelvino.org). Sotto alcune, dov’è stato permesso, è visibile la relativa targhetta.

Il Presidente Matteo Faglia, milanese di origine, era rimasto colpito da questa realtà pur non essendo un particolare estimatore della nostra bevanda. Mi racconta che l’esplorazione ha portato a circa 170 buchette nel capoluogo granducale, di cui solo una ventina fuori della centrale “cinta delle mura” (virtuali, come saprete).

L’influenza culturale del potere fiorentino in regione è dimostrata poi dalla segnalazione di circa altri 90 esemplari fuori città, da Lucca a Siena a Prato a Pisa. Anche in piccoli centri, uno per tutti Pomino, con vendita diretta nella villa Frescobaldi.

A parte Firenze, la città più ricca è Pistoia; ma è stata individuata una buchetta persino a Faenza. L’approssimazione dei numeri che vi riporto si deve proprio allo scrupolo di questi archeologi dell’Associazione: Faglia dice che alcuni esemplari sono ancora allo studio perchè di origine dubbia; viceversa di altre finestrelle non si riesce a trovare più traccia nonostante siano testimoniate. La ricerca insomma è tutt’altro che finita.

Rimane soprattutto la grossa curiosità storica: qual’è la “buchetta zero” e per quanto tempo sono rimaste operative?

Sul “fino a quando” possiamo affidarci ai ricordi d’infanzia di un personaggio noto, il Marchese Bernardo Gondi produttore di Chianti Rufina alla Tenuta Bossi: racconta di aver visto arrivare il vino in città fino al 1958, smerciato dallo sportellino di via Torta. Ma in quegli anni l’attività era già in piena decadenza. Per andare più indietro nel tempo possono aiutare un paio di pubblicazioni, quella di Massimo Casprini (“I finestrini del vino“, 2016 a cura dell’Associazione) o quella di Lidia Casini Brogelli, ora fuori commercio (“Le buchette del vino a Firenze”, Semper 2004).

Abbondano tracce anche negli scritti degli immancabili visitatori storici della città fra cui prevedibilmente diversi stranieri, dal diciassettesimo secolo in poi. E menzionarono gli sportellini perfino Gabriele D’Annunzio o il romanissimo Gioacchino Belli. La storica dell’arte Diletta Corsini ne ha individuati un paio anche nei dipinti di Ottone Rosai.

Si può cercar di legare vino e buchette a personaggi, eventi e trasformazioni socio-economiche. La storia enologica di Firenze città-stato è ricca di spunti, dalla trecentesca Arte dei Vinattieri a Bettino Ricasoli “Barone di ferro”; dall’editto di Cosimo III del 1716 sulle prime “denominazioni” alla fondazione dell’Accademia dei Georgofili.

Lo stesso dio Bacco è ben riverito in città, nella tela di Caravaggio agli Uffizi come nelle statue che lo rappresentano dentro il Bargello o al giardino di Boboli.

Vi auguro una bella esplorazione per le strade fiorentine quando sarà possibile, partendo magari da Borgo degli Albizi che sembra avere più buchette di tutte. Il gioco potrà essere a chi le vede prima, nascoste come saranno (almeno speriamo, vista la situazione) da un esercito di gambe e ruote in movimento.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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