L’amore per l’anfora ai tempi della barrique4 min read

Un Attilio Scienza in grande spolvero ha aperto i lavori del convegno “Ritorno all’argilla” organizzato dalla Tenuta Rubbia al Colle della famiglia Muratori a Suvereto in collaborazione con le aziende Vinicola Savese, Azienda Agricola COS e Elisabetta Foradori. Con l’occhio dello storico, più che dello scienziato, ha raccontato l’evoluzione dell’uso dei contenitori in terracotta a partire dal IV millennio a.C. fino ad oggi. In Georgia infatti questo contenitore non ha mai cessato di esistere e non è stato realmente sostituito neppure dall’introduzione delle moderne tecniche di vinificazione e affinamento che ormai ovunque nel mondo sono fatte in legno o acciaio.

 

Quattro i vini in degustazione: per primo il Primitivo di Manduria della Vinicola Savese. Ha trascorso 30 anni nei tipici contenitori pugliesi in terracotta che ancora in molti utilizzano in questa zona e che l’azienda usa dagli anni ’50 dimostrando così che non solo la Georgia può vantare una vera tradizione in merito. Si chiamano “capasoni” e da qui il nome del vino: “Capasonato” che richiama – come ha detto il produttore – “il concetto che il vino in barrique si dice barriccato, quindi il vino in capasone si può definire capasonato”.

Un prodotto fantastico, con una freschezza sia di profumi sia al palato assolutamente impressionante. Di colore molto intenso anche se di arancio non c’è solo l’unghia, ma di più. Nasce leggermente dolce e mantiene questa peculiarità in modo non eccessivo anche se molto caratterizzante. Un’esperienza degustativa bella e intensa che sembra promettente rispetto al concetto dell’uso dell’anfora come contenitore a lungo termine.

 

Sia l’Azienda Agricola COS (che ha presentato il “Phitos” 2012 – Nero d’Avola e Frappato) sia Elisabetta Foradori (con il Teroldego “Morei” 2010) utilizzano i contenitori in terracotta anche per la vinificazione oltre che per l’affinamento. L’esperienza di COS è iniziata più di 10 anni fa, mentre quella della Foradori è più recente, ma entrambi i produttori trovano che questo tipo di contenitore raggiunga l’obiettivo per cui lo hanno adottato: mantenere inalterate le caratteristiche delle uve e, soprattutto, del territorio.

 

Ultimo vino presentato il “Barricoccio” di Rubbia al Colle l’azienda toscana dell’Arcipelago Muratori ospite dell’evento. La scelta dell’azienda è stata quella di utilizzare dei contenitori in terracotta a forma di barrique (nome e forma sono marchi registrati) solo per l’affinamento del Sangiovese. La loro esperienza è ancora minima, solo tre anni, ma Francesco Iacono – enologo dell’azienda – e tutto lo staff, credono molto nel suo potenziale tanto è vero che già più di 100 sono i contenitori da 190 lt fatti realizzare da una ditta toscana.

 

Quale l’impressione? Fascino del contenitore ed eventuale moda a parte, mi sembra si possa dire ottenibile l’obiettivo del rispetto di uve e territorio. Per valutare però se e quanto valga la pena affrontare difficoltà pratiche e costi aggiuntivi mi piacerebbe assaggiare le stesse uve o vini di partenza lavorati in acciaio o cemento vetrificato. Solo così, penso si possa capire quanto reale sia il “plus” che questo tipo di contenitore può dare. Mi è sembrata molto condivisibile a concreta l’affermazione di Francesco Iacono che ha descritto il lavoro della famiglia Muratori su questo fronte come “un modo per sperimentare e capire sempre meglio i vigneti ed il Sangiovese di questa parte di Toscana”.

 

Il futuro è dell’argilla? Sinceramente non credo, ma è senz’altro un modo ulteriore per raggiungere comunque un obiettivo importante: continuare a crescere nella sensibilità al rispetto della naturalità dei vini, intesa non come rifiuto della tecnica e dell’innovazione, ma come attenzione all’ecosistema. Tutto quanto contribuisce ad aumentare questa sensibilità non solo nei produttori, ma soprattutto nei consumatori che sempre più scelgano tenendo conto anche di questa variabile, mi sembra auspicabile e condivisibile.

 

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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