La storia di Meleta e dei suoi piccioni (parte terza)6 min read

Il successo dei piccioni di Meleta

 

Poi c’era la questione “temporale” della dieta. Cosa e quanto dare nei vari periodi dell’anno. Anche qui studi e letteratura ci aiutarono ad indirizzarci. Ma usavamo anche un altro sistema: erano i piccioni stessi a dirci le loro necessità e preferenze durante l’anno. Avendo infatti cinque piccoli silos, ognuno dei quali con pari capacità per le diverse specie, una volta fatto il pieno era sufficiente controllare a distanza di tempo quali erano stati i consumi per ognuno dei semi, per vedere quale erano le reali necessità e preferenze dell’animale.

 

Altro aspetto fondamentale era la cura igienica delle coppie di piccioni e la salubrità  delle voliere.
Ogni mattina le gabbie erano visitate e controllate una per una dal personale che verificava se c’erano problemi da risolvere, guasti a qualche particolare tecnico, morti, nascite e quant’altro.
Ogni voliera era munita di una piccola vasca per fare il bagno ai piccioni: questo avveniva a seconda della stagione da una fino a tre volte la settimana. Veniva posizionata la vaschetta e una volta riempita d’acqua corrente i piccioni si mettevano disciplinatamente in fila per entrare, bagnarsi, lavarsi e poi uscire asciugandosi con una serie di scrollatine.

 

Oltre a questo c’era da curare l’aspetto puramente sanitario. Questo si presentò subito come una cosa molto delicata. Ogni allevamento avicolo, specie con numerosi capi com’era il nostro, deve mantenere pulizia e igiene nelle voliere, nei mangimi, nel personale ( insomma dappertutto) onde evitare malattie, o peggio, epidemie. Molto viene fatto a livello preventivo, però con l’allevamento di Meleta c’era  un grosso problema.

I piccioni destinati all’alimentazione hanno trenta giorni di vita e se c’erano stati medicamenti nel mese precedente, si riusciva rispettare i tempi di carenza dei medicinali con enormi difficoltà.
Noi sapevamo inoltre che il piccione veniva cucinato anche al rosa se non al sangue, per cui in certe situazioni con le cotture non si raggiungevano nemmeno i 64° necessari per uccidere le salmonelle. Motivo in più per cercare di avere carni sane e sicure.
Non ultimo era il fatto che dovendo passare la dogana una volta alla settimana i nostri piccioni erano regolarmente sottoposti ad esami da parte delle autorità sanitarie svizzere. E certo non era proprio il caso di andare fuori del seminato, anche una sola volta. 

Fu così che a forza di studiare e cercare una soluzione si arrivò alla cura dell’allevamento con la fitoterapia. E cioè con la cura dei piccioni con prodotti naturali a base di erbe. Ci studiammo sopra un bel po’ e poi provammo su un settore dell’allevamento. Quando si vide che la cosa poteva funzionare si passò a somministrare questi prodotti all’intero allevamento. Ovviamente tutto sotto controllo veterinario.

Questo ci dette quella marcia in più che veramente ci permise di assicurare carni salubri e sicure in tutte le condizioni.
Nel frattempo anche gli operai avevano assimilato una professionalità non indifferente e  sull’onda dei successi commerciali e di gradimento del prodotto si arrivò ad avere circa 8.000 coppie di riproduttori. Si macellava una volta alla settimana una quantità media di 2.000 piccioni. L’ultimo anno di attività furono infatti macellati e venduti oltre 102.000 piccioni.

Nel frattempo l’esperienza aveva portato a selezionare incroci tra razze per avere dei soggetti validi sia per il peso, sia per l’aspetto morfologico, sia per la facilità di allevamento. Infatti in quegli spazi anche un carattere più tranquillo della coppia aiutava ad una buona gestione.

Per la cronaca il nostro piccione tipo proveniva da incroci dove era predominante  la razza Hubble (un selezionatore californiano): un piccione bianco, di buon peso, di ottimo carattere e con lo sterno poco pronunciato. Questo faceva si che anche un piccione più piccolo facesse sempre la sua brava figura, proprio perché non avendo lo sterno troppo sporgente dava l’impressione di avere “il petto doppio”. Il che ovviamente era solo un modo di dire.   

Nei primi anni novanta, anche per adeguarci alle richieste dal mercato fu costruito un macello solo per piccioni. Fu il primo macello ad avere il bollino CEE in Italia. Ovvio che anche questo stabilimento fosse all’avanguardia nei vari processi lavorativi, igienici e strutturali. Dopo nemmeno sei mesi dalla sua messa in opera avevamo già in funzione un depuratore a fanghi attivi per il trattamento delle acqua reflue.
Quindi il segreto dei piccioni di Meleta dov’era? In una serie di oculate scelte. Tutto qui? Quasi tutto qui. Certo la salubrità del posto, dell’aria, dell’acqua aiutavano assai, ma non quanto  la grande professionalità acquisita dal personale addetto all’allevamento e le scelte, anche coraggiose e innovative, della dirigenza che portarono a risultati straordinari.

Un piccolo aneddoto per tutti.
Ad un certo momento pensai di proporre i nostri piccioni ad uno dei ristoranti più famosi della la Toscana. Sapevo che avevano il piccione nel menu, quindi mi presentai al telefono e chiesi se poteva mandare una campionatura di 10 piccioni affinché le provassero. Così fu e attesi invano un paio di settimane, nessuno si era fatto vivo. Alla terza settimana chiamai la titolare e chiesi notizie della prova. La gentile signora mi disse che li avevano provati, e che erano fantastici come sapore, ma……. avevano un problema. “Quale problema?” chiesi “Hanno le carni un po’ scure”. Domandai allora di che colore era la carne di quelli che abitualmente cucinavano loro. Una bella carnagione chiara, quasi bianca, fu la risposta.

Così spiegai che la colorazione della carne dei nostri piccioni era dovuta alla varietà dei semi che erano loro somministrati, mentre per avere quella carne bianca ci si limitava a dare l’essenziale, tenerli praticamente a pane e acqua. Ma in questo caso le carni erano meno saporite, per non dire banali, mentre le altre erano molto più gustose e si avvicinano alle caratteristiche della selvaggina, proprio a causa della varietà dei semi somministrati.

I piccioni macellati di Meleta venivano venduti in calibri diversi: la 4° categoria pesava dai 360 ai 400 grammi, la 3° da 400 a 430 grammi, la 2° da 430 a 460, la 1° da 460 a 500, la 0 (zero) oltre 500 grammi. Per la signora che adoperava piccioni dalla carni bianche e che dopo volle solo i piccioni Meleta fu creata anche la categoria 00 (doppio zero) perché ad ogni macellazione una decina di piccioni – specie in inverno – riuscivano ad arrivare fino a 600 grammi e oltre.

 

 

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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