La stampa estera: Primeurs Bordeaux 20225 min read

“Millésime hors-norme” scrive la Revue du Vin de France, “Plaisir extrême” Terre de Vins, mentre Decanter parla di “surprising quality “  e Wine Spectator di  “scintillating aromatics”

Effettuate nell’aprile scorso le degustazioni “en primeur” dell’annata 2022, stabiliti ormai i prezzi d’acquisto dal négoce, è tempo di un primo bilancio di questo millesimo, naturalmente con tutti i limiti e le cautele di assaggi effettuati da campioni di botte, e troppo precocemente rispetto alla data prevista di rilascio.

Le premesse erano a dir poco terribili. L’annata aveva praticamente condensato tutto il peggio che possa capitare ad un viticultore: gelate primaverili, grandine, un’estate canicolare marcata da picchi di calore (tre episodi estremi, uno per ciascun mese nel Médoc), siccità e persino qualche incendio. Tuttavia la vigna si è difesa bene, dando prova di una resilienza insospettata, visto anche che i colpi di calore erano cominciati già a maggio, e i vignerons hanno fatto di meglio, ricorrendo a tutti gli espedienti che il tempo e la pratica aveva mostrato efficaci: taille tardive, niente effeuillages, coperture vegetali, vendemmie precoci per cogliere le maturità giuste. Insomma un’annata estrema, per certi versi molto simile alla torrida annata 2003, ma affrontata con assai maggiore preparazione. 

E alla fine, pur con gradazioni alcoliche elevate, ma fortunatamente non fuori misura, concentrazioni e densità importanti, ma con acidità soddisfacenti, una freschezza inaspettata in un’annata solare come questa. Ma il vero punto di forza di questo millesimo che ha fatto gridare ad alcuni “il migliore di sempre” ,  è la sua definizione  tannica, mai così precisa e straordinariamente fine, la  “firma” di un’annata davvero “hors norme”, eppure inconfondibilmente bordolese. 

Le avversità climatiche non hanno colpito in modo uniforme, mostrando, mai come altre volte, il primato del terroir. Ad es. a Saint-Émilion, dove le cose sembravano davvero essersi messe molto male, i grandi terroirs del “plateau historique” hanno dato prova della loro grandezza, mentre hanno decisamente più sofferto quelli sabbiosi delle aree più periferiche. Le rese sono state generalmente piuttosto basse, intorno a una media di 33-34 hl/ha, con variazioni importanti, dai 20 dei suoli sabbiosi di Pomerol, ai 50 di quelli a molasses della parte più alta di Saint-Émilion:  grappoli comunque sani e perfettamente maturi , non avendo fortunatamente i picchi di calore provocato alcun blocco, caratterizzati da acini molto piccoli, a causa della siccità, sia per i cabernet che per i merlot, con un rapporto tra bucce e succo di 50/50, anziché il tradizionale un terzo/due terzi.

Nel Médoc, dove le piogge di giugno hanno contribuito a riequilibrare la situazione, la star è stata St.-Estèphe, i cui suoli ricchi d’argille reagiscono molto bene alle annate molto calde (ricordate il favoloso Montrose del 2003?): livelli di alcol sostenuti, molta materia, acidità abbastanza alte che hanno riequilibrato i vini. Sorprendenti i vini delle Graves, anche i bianchi, nonostante il tenore d’alcol elevato e le acidità più basse: nei rossi è ancora una volta la qualità dei tannini a restituire una freschezza inattesa. Anche nel Sauternais l’impressione è di una qualità globale molto alta del millesimo, dopo una serie di annate francamente assai sofferte a colpire è la   loro ricchezza aromatica. Nel Libournais, a St.-Émilion i migliori terroirs mostrano aromi maturi, ma non surmaturi o cotti, con un frutto esuberante e tannini grandiosi, mentre a Pomerol le gerarchie sono state pienamente rispettate: acidità piuttosto deboli, frutto soave ma mai cremoso, tannini raffinati, alla fine vini classici , secondo le attese delle ultime annate solari .

Impossibile entrare nel merito delle valutazioni dei singoli vini, per le quali rinviamo ad assaggi più solidi, effettuati dopo l’imbottigliamento. I grandi cru si sono mostrati naturalmente in grande spolvero. Tra questi mi limito a segnalare, accanto alla ormai conclusa riconquista del suo rango dello Chateau Durfort-Vivens, la costante ascesa de Les Pensées dello Château Lafleur, ormai ai livelli di vertice di Pomerol e, a Pessac-Léognan, la grande brillantezza de Le C des Carmes Haut-Brion (tecnicamente non un secondo vino perché proveniente da una vigna diversa). Tra i cru minori da segnalare, ancora a Pessac, il fascino sensuale dello Château Haut-Bergey, una cuvée parcellare da uve cabernet franc che ci spinge ad interrogarci sul sempre più scarso impiego di questa varietà nei blend dell’appellation, mentre a St.-Émilion ha fatto molto colpo il vino dello Château Guadet con il suo impiego  di “grappes entières”.

Cambi di mano

Mentre la crisi dei consumi e l’ampliamento della concorrenza internazionale spingono verso un ridimensionamento delle superfici vitate, non si ferma a Bordeaux il gioco delle acquisizioni di parcelle o interi Châteaux da parte degli imprenditori vitivinicoli.

Bernard Magrez

Non passa inosservato l’ultimo acquisto del “re” di Bordeaux, l’ormai 87enne Bernard Magrez, che, già proprietario di Ch. Pape Clément a Pessac-Léognan  e Fombrauge a St.-Émilion, nonché del Clos Haut-Peyraguey  a Sauternes,  con ulteriori 45 ettari ha reso la sua proprietà médocaine, lo Ch. La Tour Carnet (ora 251 ha.) il più grande cru classé del Médoc. E’ in piena effervescenza il LIbournais: spettacolare, viste le dimensioni delle transazioni nel pomerolais, l’allargamento di 3,7 ha.  dello Ch. Vieux Maillet  dallo Ch. Lafleur-Gazin; lo Ch. La Pointe (siamo sempre a Pomerol) si avventura nella vicina St.-Émilion  per fagocitare lo Ch. Croque-Michotte  dalla famiglia Carle; infine, Suravenir, filiale del gruppo Crédit Mutuel Arkéa, già proprietaria dello Ch. Calon-Ségur a St-Estèphe, dopo aver acquistato lo Ch. Siaurac (in Lalande-de-Pomerol), rafforza la sua presenza nella Rive Droite, affiancandolo alla Vray Croix de Gay (Pomerol)  e agli Ch. Malineau e Le Prieuré a St.-Emilion. E nel Médoc? Lo Ch. Marquis de Terme, 4ème cru classé a Margaux, ha acquisito i Domaines Porcheron: lo Ch. Marojallia a Margaux  e lo Ch. Bouqueyran a Moulis-en-Médoc.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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