La Slovenia del vino ribolle non solo di Ribolla e Orange Wines9 min read

Della Slovenia sapevo che era una regione della ex Jugoslavia, che una parte di essa una volta era italiana e vi si fanno vini simili a quelli friulani per vicinanza e tipologia di terroir. Ne ignoravo  la bellezza e non sapevo che i suoi abitanti, malgrado i nomi spesso impronunciabili, avessero diverse cose in comune con noi italiani.

Questo fino a quando non ho accettato l’invito a trascorrere  un fine settimana  in Vipavska Dolina, la valle del fiume Vipacco (affluente dell’Isonzo)  racchiusa tra la piana friulana e i rilievi calcarei del monte Nanos.

L’occasione è stata  una manifestazione organizzata da sei vignaioli locali in collaborazione con gli uffici di promozione turistica slovena, con  lo scopo di far conoscere questa regione ma soprattutto i vini e in particolare la Rebula (ribolla gialla).

Questa zona è famosa per degli orange wines che per struttura, corpo e  tannicità in una degustazione con calice nero, potrebbero essere scambiati per  rossi.

I vitigni  principali sono naturalmente rebula,  ma anche merlot, sauvignonasse (alias clone particolare di friulano), malvazija e due vitigni tipici dell’area, lo zelen e la pinela. Lo zelen è un vitigno a bacca grossa e grappoli robusti, la pinela, invece, è una varietà allevata solitamente sul flysch che ben sopporta la Bora, pur essendo delicata nella struttura.

Il programma è stato fitto e  interessante, con un sabato mattina molto impegnativo (convegno sulla rebula, tenuto da  relatori che parlavano sloveno con traduzione simultanea in inglese) mentre il  resto della due giorni è stato molto più piacevole oltre che istruttivo. Al convegno del sabato è seguito un assaggio guidato di una ventina di vini tra rebula in purezza e alcuni blend bianchi di vari produttori della zona: gli stessi vini (anche molti altri a dire il vero) è stato possibile riassaggiarli successivamente a dei banchetti, dove potevi anche parlare con i vignaioli (naturalmente non in Sloveno).

Interessante il progetto del consorzio UOU, che non è un acronimo ma proprio un nome che in lingua slovena significa bue, il cui obbiettivo è salvare vigneti storici abbandonati. Bella la loro Rebula Ivanka del 2016 da un vigneto di 80  anni, 15 giorni di macerazione e un anno in barili di rovere e acacia e due mesi in bottiglia. Colore quasi rosato, frutti gialli e albicocca al naso, minerale, sapido e fresco in bocca.

La domenica invece è stata la giornata dedicata alle visite delle sei cantine che hanno organizzato la manifestazione.

Abbiamo iniziato con Batič, un’azienda biodinamica certificata Demeter dove Miha, il titolare, dopo lo scherzo di servirci un tè (che aveva il colore di un orange wine per cui ci siamo cascati tutti) col decanter ci ha poi  spiegato essere la stessa miscela che usa per bagnare il terreno contro la peronospora. Dopo il tè il vino, in particolare una profumatissima e persistente Malvasia 2017, un rosato 2017 con un bel naso complesso ed una bocca ampia e elegante, ed una Pinela 2016 di ottima beva.

Non male la loro Rebula 2017, assaggiata anche nella degustazione del sabato, con fresche note agrumate e buona acidità e sapidità e  il loro Angel , un blend di sette uve ( Pinela, Chardonnay, Malvasia, Rebula, Zelen, Riesling, Vitovska) con un naso dolcemente fruttato e molto fresco in bocca malgrado avesse ben sette anni. Una nota di storia  mi ha fatto tenerezza ma anche riflettere: quando ha presentato l’azienda Miha  ha detto che era di suo nonno, che i vigneti sono gli stessi anche se ne hanno impiantati di nuovi, che la casa è la stessa anche se l’hanno ristrutturata, che  i venti  nella valle sono gli stessi e il clima pure… ma suo nonno era italiano, suo padre iugoslavo, e lui sloveno.

Valter e Klemen Mlenčnik, padre e figlio titolari dell’omonima cantina,  ci  hanno fatto visitare una cantina ancora molto artigianale, spiegandoci che hanno dovuto fare delle scelte e hanno  preferito investire prima nei vigneti. Dopo un giro nelle vigne e l’assaggio di un piatto tipico, una specie di pasticcio con zucchine e verdure accompagnato da un sugo di pomodoro, eccoci ai vini tra quali la Ribolla in purezza del 2013, 2014 e 2015. Durante la degustazione guidata del sabato  mi era piaciuta quella del 2009, la cui eleganza ho ritrovato nel 2013, con un tannino che lascia il segno ma che invita alla beva. Del 2009 anche l’ultimo vino degustato in azienda, un Merlot in purezza con un naso complesso ed una bocca elegante per niente pesante ed incredibilmente fresca.

E’ poi la volta di Slavček , azienda biologica, che usa solo sovesci e letame  in  vigna e solo lieviti naturali e pochissimo zolfo in cantina.
I vitigni coltivati sono principalmente la rebula  e il sivi pinot (pinot grigio), ma vi si trovano anche altri vecchi vitigni autoctoni quali zelen e pinela.

Dopo averci rigenerati con acqua fresca e succo di pesca di loro produzione (sembra facile fare un tour per cantine…) ci  invitano a salire su un pick up e ci portano tra i filari, non prima di aver caricato un cesto con  bicchieri, uno con frittata di verdure e zucchini e una magnum del loro metodo classico a base di riesling Italico. Al ritorno, sicuramente più stanchi ma con la pancia più piena, degustiamo anche la loro splendida Ribolla Gialla 2015 Riserva,  loro vino di punta che già mi aveva colpito in degustazione nella versione 2013 Riserva) e che in azienda ho apprezzato ancora di più per il tannino spiccato ma elegante e per le note di miele al naso che si ritrovano in bocca..Buono il Sivi Pinot ramato quasi rosato, molto piacevole, profumato al naso e di buona sapidità.

L’azienda Guerila, dove abbiamo pranzato ( e poi venite a dirmi che non è un lavoraccio…), è la più moderna di tutte, con una cantina all’avanguardia, di recente costruzione non ancora ultimata, dotata di sala degustazioni con ampie vetrate che si affacciano sui vigneti, camere e ristorante, pronta per ospitare ogni tipo di evento. Certificata biodinamica Demeter dal 2014.

Tra i vini degustati ho preferito la Rebula 2016, semplice ma piacevole, e Retro 2016, un blend di Rebula, Zelen, Pinela, Malvazija con miele al naso ed una bocca piacevolmente acida, sapida e persistente. Interessante anche il rosé a base di Cabernet e Merlot.

L’azienda Svetlik invece è l’unica che non ha una tradizione contadina alle spalle. I suoi proprietari sono Ivi ed Edvard, coniugi che hanno comprato una casa e della terra per sfuggire alla routine quotidiana e hanno cominciato facendo vino per la famiglia e gli amici. Il tutto nel rispetto della natura, senza l’utilizzo di diserbanti e pesticidi chimici: si sono poi avvalsi della consulenza di un esperto enologo, Matiaž  Lemut, che con loro condivide le loro idee.

Due  i vini presentati in degustazione, la Rebula del 2011, ambrata  e non filtrata come tutti i loro vini, ha belle note di fico al naso ed un tannino che morde al primo sorso ma che si ammorbidisce degustando  e la Rebula Selekcija 2012, che al naso sembra un vin santo, ma con una bocca piacevolmente fresca sebbene molto tannica e persistente. Li avevo apprezzati nella degustazione del sabato e riassaggiati in azienda hanno confermato la loro piacevolezza. Piacevolezza unita a quella del luogo, incorniciato da un bellissimo tramonto accompagnato dalla musica di una fisarmonica e da assaggi di prelibati spuntini tradizionali.

Infine Burja, che in sloveno significa Bora, dove Primož Lavrenčič coniuga la tradizione (ascoltando i vignaioli più anziani, rispettando le varietà locali e quindi coltivando malvazija, zelen, rebula)  con l’innovazione, avendo impiantato Pinot Nero, sua grande passione. Lavora in accordo ai principi biologici e biodinamici e anche in cantina interviene pochissimo, con fermentazioni spontanee e contatto tra mosto e vinacce anche per i vini bianchi.
Non male  il suo Burja Bela 2015 (uvaggio di malvasia istriana e ribolla) e nemmeno il 2016, semplici al naso ma piacevolmente freschi e minerali in bocca: meglio il 2017, imbottigliato pochi giorni prima per l’evento e non ancora in commercio, caratterizzato da note olfattive più presenti.
Ottimo lo Stranice 2015, a base di malvasia istriana (50%), riesling italico, ribolla e altri vitigni bianchi, 12 giorni circa  di macerazione, fermentazione in uova di cemento da 10HL, 20 mesi in piccole botti, un mese in acciaio, non filtrato. Naso complesso ed una bocca altrettanto piena e tannica:  meraviglioso anche il campione di botte del 2017.
Bella  la scommessa Burja Reddo, nata per gioco, a base di vitigni a bacca rossa da sempre presenti in zona, Schioppettino, Franconia, Refosco… e quale migliore chiusura per me se non con lo stupefacente Burja Noir 2016? Un pinot nero in purezza che alla cieca si potrebbe anche scambiare per un francese, se non fosse che manca un po’ di brett e questo non è certo un difetto.

 

Da questa tre giorni sono tornata  arricchita culturalmente, professionalmente e umanamente. Culturalmente perché ho scoperto una terra che non conoscevo,. professionalmente perché ho potuto assaggiare vini da vitigni locali di cui avevo solo letto su libri e riviste del settore: inoltre ho trovato una quadra per apprezzare bianchi macerati, che non erano mai rientrati  tra i miei preferiti.

Li ritenevo vini scorbutici, con naso monocorde e quasi sempre ossidato, spesso scomposti, magari aggressivi, per niente eleganti. Mi ricordavano il vino del contadino ma nell’accezione più negativa, li trovavo di difficile abbinamento e soprattutto di quasi impossibile beva.

Sbagliavo. Ora lo so. Mi ero farcita di tanti luoghi comuni, come quelli che circondano i vini da coltura biologica o biodinamica. E così, sempre generalizzando, come non è assolutamente vero che i vini “naturali” puzzano,  non è vero che  gli orange wine sono “imbevibili”. Ho trovato  vini con nasi complessi, che spaziavano dalla frutta alle erbe, dalle spezie al miele, sentori che ritrovavi in bocca uniti a  mineralità e tannino magari pungente ma elegante.

Umanamente perché ho conosciuto delle persone che mi hanno aperto  le loro cantine, presentandomi  i loro vini con orgoglio, passione per la loro terra e le loro tradizioni e allo stesso tempo con entusiasmo per l’innovazione, che poi non è altro che la voglia di mettere la conoscenza e quindi anche la moderna enologia, al servizio della terra..

Per esempio la cantina Batič, sostiene l’importanza della tradizione, dicendo che i vini macerati oggi di moda n realtà non sono altro che vini fatti come si facevano una volta, ma al tempo stesso è stata la prima in Europa ad usare il sistema PCS (Physical Crop System) che è un dispositivo per irrorare, all’avanguardia sulla protezione della vite.

Anche Mlečnik sorride quando si parla di orange wine, perché lo ritiene un termine modaiolo: per lui sono semplicemente vini fatti nel rispetto della tradizione.

Stessa filosofia e modo di vedere le cose da Slavček, mentre Guerila, azienda certificata biodinamica, pur essendo la cantina più moderna di tutte quelle visitate, non usa pesticidi, concima con preparati a base di humus e le lavorazioni di cantina sono di una notevole semplicità.

E allora che dire? Se il ritorno alle origini, spalleggiato da una sana tecnologia, porta questi risultati, in alto i calici e HVALA, NA ZDRAVJE!

Tiziana Baldassarri

Ho due grandi passioni: il mare ed il vino. La prima mi fa vivere, la seconda gioire. Dopo il diploma di aspirante al comando di navi mercantili ho lavorato nella nautica sia in terra che in mare per poi approdare a scuola, dove sono assistente tecnico mentre dopo il diploma di sommelier ho partecipato attivamente alla vita di FISAR  facendo servizi, curandone i corsi come direttore e ricoprendo cariche istituzionali.

Ma la sublimazione assoluta della passione enologica è arrivata con l’arruolamento nell’esercito di winesurf dove degusto divertendomi  e mi diverto degustando, condividendo sia con gli altri “surfisti” sia con coloro che ci seguono, le onde emozionali del piacere sensoriale.


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