La scuola elementare secondo il Granocchiaio4 min read

Voi vi domanderete cosa c’entrino i ricordi della scuola elementare con il vino e la gastronomia. Forse assolutamente niente o forse poco. Però leggete questa prima parte (la seconda tra una settimana) e se non vi piace vi ripagheremo i soldi del biglietto.

 

 

Per me le scuole elementari sono state come vivere una bellissima favola. Non credo sia solo il ricordare un tempo così lontano, perché già dopo pochi anni rammentavo e raccontavo della mia avventura in quella prima scuola. Decisamente ho cominciato bene la mia vita scolastica e l’altra metà dell’opera è volata via con altrettanto divertimento. Si perché io a scuola mi sono sempre divertito: sicuramente è uno dei periodi più belli e piacevoli della mia vita.

Sono andato alla  scuola elementare  un anno prima, ma non perché in casa mia pensassero che fossi un mezzo genio, semplicemente perché la scuola era sotto casa mia ed essendo tutta la mia famiglia impegnata in qualche lavoro, chiesero alla maestra se mi potevano lasciare li, in classe con gli altri.

Risultò comodo a tutti e così  mi lasciarono li per un anno intero. Alla fine dell’anno scolastico la maestra sentenziò che in buona sostanza io avevo frequentato la prima classe e che quindi era un peccato perdere un anno così. Allora fu deciso di farmi fare un esame di ammissione alla seconda classe per regolarizzare la situazione. Io abitavo in campagna, alla fattoria degli Acquisti, e per fare questo esame mi portarono a Braccagni, in paese. La maestra che mi fece l’esame di ammissione alla seconda classe era la mitica Mascherini, terrore di tutti gli scolari di Braccagni, molto brava come insegnante ma entrata nella leggenda per i sonori ceffoni che distribuiva. La Mascherini mi fece l’esame: a me disse che ero bocciato, forse per scherzare, o forse quello era il suo stile per fare i complimenti, e  invece mi ammisero alla seconda.
Io invece avevo una maestra così dolce che fin da allora pensavo che fosse una specie di fata o un angelo. Anzi quando andai a catechismo e ci spiegarono che ognuno di noi ha il proprio angelo custode io balzai in piedi e dissi al prete: "Lo so, io lo conosco il mio, è la maestra Borghini!"

La ricordo dolce, paziente e sempre elegante, con gli occhiali scuri e la montatura spessa, un grosso neo e sempre improfumata e incipriata. Veniva da Grosseto ogni mattina e quando pioveva mio babbo l’andava a prendere in macchina alla stazione di Braccagni. La cosa più bella che faceva era quello di scrivere l’anno nuovo alla lavagna.

Lo scriveva con dei bellissimi caratteri grandi, precisi, massicci e con l’ombreggiatura proiettata. La scritta dell’anno prendeva tutta la lavagna. Guardare quei numeri così belli e ben fatti mi dava un senso di sicurezza e gioia che non sapevo spiegarmi. Molti anni più tardi mi sono accorto che quelli erano i caratteri che adoperava la marina militare americana sulle proprie navi e anche certe squadre di calcio americano:

1950, 1951, 1952

Me li ricordo tutti, uno per uno, messi lì come a dare una buona notizia e a farci consapevoli del nostro crescere. E mi veniva da pensare: riuscirò mai a vivere un anno come il 2000 per poterlo scrivere? Mi sembrava così lontano che non riuscivo a immaginarmelo possibile.

Dei miei reali risultati a scuola mi ricordo che tutti erano contenti: la maestra, i miei genitori e i miei nonni. Ma anche io ero contento perché mi divertivo e mi piaceva imparare le cose nuove. Forse ero un po’ secchione. Ricordo che facendo un’intera pagina di puntini, una di aste, una di curve a destra, una a sinistra, una traversa, e così via, anziché sembrarmi un esercizio noioso e monotono, a me pareva una cosa importante perché la paragonavo al mio nonno quando lavorava l’orto e poi metteva a dimora le piantine del cipollino.

Anche a leggere ero molto diligente e se la maestra mi diceva: a casa leggete a voce alta, ero capace di stare un intero pomeriggio a declamare: "a-zi-o-ne, co-la-zi-o-ne, e così via, tutto letto scorrendo con l’indice destro ogni singola sillaba. Sta di fatto che la mia mamma disperata scoppiava a dirmi: ora basta, vai a giocare che non ne posso più.

Ad un certo momento venne la disposizione di darci tutti i giorni un cucchiaio di un puzzolentissimo olio di merluzzo perché, dicevano, faceva tanto bene. A me non dava noia più di tanto. La maestra ci faceva mettere  tutti in piedi, a fianco del nostro banco, poi lei passava con una boccetta rettangolare in una mano ed un cucchiaio da minestra nell’altro. Ci imboccava lei stessa con quella porcheria e poi, per alleviare il disgusto e per invogliarci a riprenderlo il giorno dopo, subito dopo ci dava un confetto di Pistoia, quelli tanto dolci e tutti birignoccolosi. Un po’ per gioco, un po’ per scandalizzare gli altri, una volta trattenni l’olio in bocca e poi presi il confetto. Poi cominciai a falli sciaguattare in bocca tutti e due insieme. Per poco non facevo vomitare anche la maestra.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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