La mia Campagna3 min read

(Into my arms)

And I don’t believe in the existence of angels
But looking at you I wonder if that’s true
But if I did I would summon them together
And ask them to watch over you
To each burn a candle for you
To make bright and clear your path
And to walk, like Christ, in grace and love
And guide you, VV, into my arms

Era verso mezzanotte, e c’era la luna piena. Gli ulivi erano d’argento, la radio cantava e sul prato ci amammo sotto un oceano di stelle, fino a quando l’alba non fu rossa all’orizzonte. La mia campagna è un vicario racconto dell’anima e inizia lì, con la voce dei ricordi e il microfono del cuore. È nostalgia del futuro non del passato, tardiva devozione alla terra natale, selvaggia protesi della memoria, bucolica bobina a colori srotolata sulla pelle che invecchia, cruciverba dei sensi senza capo né coda. La mia campagna è supremazia dell’ homo cupidus sull’homo tecnologicus, è fabbrica delle idee più che delle cose, appunti di gola più che di gala, sostanza più che costanza, tormento più che sgomento. La mia campagna è elogio alle vacche e alle pecore, ai calli e ai tanfi, ai giovani di ieri e ai vecchi di oggi, eroi contadini col tre ruote carico di arnesi. La mia campagna è buona come il pane di grano duro, come le frisedde con l’olio e l’origano, come il vino scuro nel capasone. La mia campagna è primitiva al pari di quei grappoli neri e accalorati delle contrade più rocciose di Gioia del Colle. È luce infuocata che scalda lo zabaione a merenda e il sorso serale di rossi poderosi, vini da taglio e da tagliare, vini grossi più che grandi.  La mia campagna è lo scirocco sonnolento che danza con le foglie di fico, l’attesa della pioggia sulle terre riarse, la resina dei rosmarini e degli elicrisi, delle salvie e dei timi; l’umiltà di piegarsi, sporcarsi le mani e pisciare sui muretti di mazzachéne. È il sudore dei braccianti, le loro urla disperate che rompono il silenzio nel frutteto dove banchettano gli uccelli, la stalla da governare, l’orto da innaffiare e i pomodori da addentare. La mia campagna è libertà dei sensi, cieli verdi, siepi azzurre e pertugi immensi. È il cane arrabbiato e il gallo superbo, il coniglio sgozzato per cena e il maiale all’ingrasso per l’inverno, l’enorme pisello del toro e il tenero sguardo dei vitelli. È il vino vecchio nella dispensa, le bevute furtive, i baffi viola e l’alito vigoroso, le prime sigarette fumate e la testa che gira sospesa sulle note di Strauss, come la ruota di Kubrick. La mia campagna è l’ennesima occasione sprecata in un Mezzogiorno smemorato, è politica che detesta i contadini, favorisce l’analfabetismo affettivo, l’abbandono della terra e l’erosione delle vigne storiche; storia, ma quale storia, è solo progresso on line e testa off line, pascoli ormai rari e agriturismi onnipresenti, agresti surrogati senza puzze vitali. La mia campagna è la bizzarria di un luogo che si chiama Gioia anche nell’aria malinconica dell’inverno, tramontana che spettina i lecci mettendo in fuga rapidi cotoni di nuvole pezzate. È Murgia arida e ferrosa di arbusti spelacchiati, di boschi incendiati da miseri omicchioli, di latrine figlie della cattiva educazione. La mia campagna è tempo senza scadenze, sopravvivere per vivere, scarpinare sulle chianche, respirare l’odore del vento, sospendere l’apnea e stringere quella mano che adoro. La mia campagna è anche morire: è lì che vorrei spegnermi e polverizzarmi, occupando gli spazi delle porose pietre carsiche per concimare cicorie e bardane, borraggini e tarassachi: humus siamo e humus ritorneremo. La mia campagna è eternamente a sinistra, sulla collina di un sogno ricorrente ad ascoltare i campanacci ciondolanti, salutare uno stormo di rapaci, festeggiare ancora insieme il quattro dicembre e tornare ad amarla, per l’ultima volta, su quel prato di stelle.

 

 

la foto di copertina è di Paolo Simone.

Francesco Falcone

Nato a Gioia del Colle il 6 maggio del 1976, Francesco Falcone è un degustatore, divulgatore e scrittore. Allievo di Sandro Sangiorgi e Alessandro Masnaghetti, è firma indipendente di Winesurf dal 2016. Dopo un biennio di formazione nella ciurma di Porthos, una lunga esperienza piemontese per i tipi di Go Wine (culminata con il libro “Autoctono Si Nasce”) e due anni di stretta collaborazione con Paolo Marchi (Il GiornaleIdentità Golose), ha concentrato per un decennio il suo lavoro di cronista del vino per Enogea (2005-2015). Per otto edizioni è stato tra gli autori della Guida ai Vini d’Italia de l’Espresso (2009-2016). Nel 2017 ha scritto il libro “Centesimino, il territorio, i vini, i vignaioli” (Quinto QuartoEditore). Nell’estate del 2018 ha collaborato alla seconda edizione di Barolo MGA, l’enciclopedia delle grandi vigne del Barolo (Alessandro Masnaghetti Editore). A gennaio 2019, per i tipi di Quinto Quarto, è uscito il suo ultimo libro “Intorno al Vino, diario di un degustatore sentimentale”.  Nel 2020 sarà pubblicato il suo libro di assaggi, articolazioni e riflessioni intorno allo Champagne d’autore. Da sei anni è docente e curatore di un centinaio di laboratori di degustazione indipendenti da nord a sud dell’Italia.


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