La grande rin-corsa dei vino “Bio”8 min read

Con quest’articolo si unisce al "branco" di Winesurf un romagnolo DOC , Giovanni Solaroli.

  

E’ ancora sufficiente che un vino sia semplicemente buono per essere acquistato, oppure una parte di consumatori preme perché risponda anche ad altri requisiti? Quello di essere sano e pulito ad esempio, ma anche quello di essere giusto, tanto nel prezzo quanto nel modo di produrlo. Domande che aleggiano nell’aria da tempo e che in molte parti della filiera alimentare hanno già trovato parziali risposte. L’interesse dei consumatori per i prodotti etichettati “bio” è forte, fortissimo. In pochi anni quella che sembrava un’utopia, si sta lentamente, ma costantemente, trasformando in una realtà concreta. Ed anche il mondo del vino, prima o poi, finirà per esserne contagiato molto più del livello odierno. I dati diffusi da molti osservatori ed istituti confermano la forte crescita del numero di aziende e manifestazioni dedicate ai vini naturali. Una pressione che in qualche modo costringerà, coinvolgendo sommelier, degustatori e critici del vino ad un ampliamento dei rispettivi orizzonti, ed a posizionare con maggior attenzione le evidenti diversità di questi vini nella prospettiva più consona.

…logico oppure…dinamico?

Ma cosa vuol dire esattamente la generica etichettatura “bio” nel vino? Anzitutto va precisato che a norma di legge il vino biologico non esiste.  Esiste tuttavia un regolamento per la produzione di uve biologiche,  certificabili tramite il regolamento europeo 2092/91 che disciplina tutto il comparto della agricoltura biologica. Certificazione che riguarda la produzione della materia prima (l’uva), non il prodotto finito (il vino) e né, tantomeno, il processo di trasformazione.  Ne consegue che chi compra un vino fatto con uve provenienti da agricoltura biologica, non ha garanzie sufficienti che non siano stati impiegati prodotti chimici nella fase di chiarificazione, stabilizzazione e preservazione dagli agenti ossidanti del vino. Una situazione tutt’altro che infrequente, visto e considerato che le etichettature in materia non comportano obblighi di alcun genere, fatta eccezione per l’impiego della anidride solforosa, consentita  anche nei protocolli bio e la cui presenza va per legge segnalata. Un frangente, questo, che esula parecchio dall’idea di biologico verso cui sono generalmente indirizzate queste scelte di acquisto. Altra musica è  invece il termine Biodinamico, anche se, in verità, un protocollo che disciplini la fase della  vinificazione, esattamente come nel caso dei vini da uve biologiche, in Italia non esiste. Solo in Francia esiste un regolamento ed è quindi ammessa la dicitura “ vino biodinamico”.

 Germania: là dove tutto ebbe inizio.

Con il marchio Demeter (un’associazione mondiale nata nel 1927 come cooperativa per commercializzare i prodotti dell’agricoltura basata sulle idee olistiche dell’austriaco Rudolf Steiner) si identificano quei prodotti ottenuti dall’agricoltura biodinamica. Le idee di Rudolf Steiner nacquero nel contesto socio-culturale della Germania di inizio ‘900 e furono elaborate riferendosi a dei modelli di fattoria che oggi sono pressoché scomparsi. Ma soprattutto non erano tarati sulla viticoltura. Si deve quindi a Nicolas Joly (La vigna, il vino e la biodinamica- Slow Food Editore) il grande lavoro di adattamento e trasposizione delle discipline olistiche di Steiner alla vitivinicoltura. Basata sull’idea di una “natura in equilibrio”, nel metodo biodinamico risulta fondamentale il mantenimento dell’equilibrio naturale del terreno con tutti i suoi microorganismi. Non vengono quindi utilizzati, nell’agricoltura biodinamica, come in quella biologica, prodotti di sintesi chimica (concimi, fitofarmaci, diserbanti). I preparati utilizzati, siano essi dei decotti, o a base di minerali come le polveri di quarzo, devono essere impiegati tenendo conto delle fasi della luna e del sole. Il terreno và lavorato secondo metodi tradizionali con l’obiettivo di rigenerare e rivitalizzare il suolo; si utilizza il preparato 500 formato da letame fatto maturare in corni di vacca. In questo modo le viti riescono a radicarsi bene e profondamente per sopportare periodi di gran caldo o di pioggia. La prevenzione dalle malattie la si realizza spruzzando le piante con il preparato 501, a base di silicio e infusi di ortica, camomilla,  valeriana e corteccia di quercia e mantenendo tra le viti le popolazioni di insetti che aiutano a tenere lontano i parassiti. Il risultato finale dell’uso di queste pratiche agricole è quello di avere a disposizione uve “vive, vitali e perfettamente sane”. Un indispensabile punto di partenza per fare vino biodimanico. Ma come fare, dal momento che pare proprio che l’anello debole di questa catena sia la vinificazione?

La Romagna dei vini entra nel “Bio” .


E’ assai significativo che la Romagna, terra nota più per la quantità (Tavernello e non solo) che per la qualità dei vini, annoveri un piccolo e compatto gruppo di viticoltori biodinamici, una piccola schiera di vignaioli radicali che opera nel territorio del Brisighellese e che, dopo aver condiviso idee e propositi, hanno infine deciso di metterli in bottiglia. Il loro portavoce, Paolo Babini, l’ho incontrato nell’azienda Campiume dell’amico e collega Filippo Manetti. “Per la realizzazione dei vini bio” – sostiene Paolo- “in genere ci si affida ad un protocollo più o meno codificato come quello, ad esempio, che coinvolge gli aderenti al manifesto dei vini Tripla “A”, o al nuovo protocollo che la Demeter, a cui sono associato, sta mettendo a punto. Tuttavia noi preferiamo definirci produttori di “vini naturali”, consapevoli che la vinificazione naturale, investendo moltissimi aspetti,  comporta un lavoro molto più dispendioso e rischioso. La vigna e la sua coltivazione anzitutto, per ottenere uve sane da vendemmiarsi al momento della loro perfetta maturazione, raccolte evitando stress termici, pigiate con la leggerezza di una piuma. Accompagnando e seguendo il procedere regolare della fermentazione, in cantine igienicamente ineccepibili ed utilizzando contenitori di legno o di acciaio perfettamente puliti. Utilizzando i lieviti naturali dell’uva per avviare la fermentazione. Uve sane quindi, capaci di difendersi da sole e che non hanno bisogno di molti interventi per attraversare tutte le fasi che le porteranno a  diventare vino.”
 E qui torniamo a vecchi ragionamenti, premesse che ci portano alle  tradizionali regole di impianto che costituiscono la vocazione di un territorio. Condizione indispensabile, quella di impiantare le viti in territori adatti e la cui attitudine e ubicazione non potrà certo arrivarci in tempi brevi da progetti di zonazione, peraltro in corso nel Brisighellese, ma ci verranno segnalati più probabilmente dall’ esperienza e dalla nostra storia vitivinicola.

 

Vini “Bio”: buoni oppure no?

Torniamo adesso al punto di partenza e ad una questione assai importante: I vini “Bio” ( prendendo in considerazione sia le categorie del biologico sia del biodinamico, che nella mia Romagna – come del resto in molte parti d’Italia – sono ancora difficili da identificare perfettamente) sono buoni? Ovviamente non è sufficiente etichettare “Bio” un vino per renderlo buono. Non è affatto automatico. Così come non è automatico il contrario, perché sino ad oggi era diffusa la convinzione che un vino da uve biodinamiche fosse poco buono. I primi prototipi  sicuramente lasciavano a desiderare, finivano con l’allontanare i consumatori screditando, di conseguenza, l’assunto stesso del biologico. Veniva così legittimata, in qualche modo, la pessima associazione che nel mondo del biodinamico trova riscontri solo nel vino.  Nessuno si sognerebbe mai di affermare, infatti, che un latte biologico è cattivo, oppure che fagioli e grano siano da evitare per le scadenti qualità organolettiche. Semmai è vero il contrario. In conclusione si può ribadire che i vini  metodo-biodinamico hanno caratteristiche uniche alle quali non siamo abituati, vini diversi ogni anno e che vengono fortemente condizionati dagli andamenti climatici. Ma non nel senso di buoni o cattivi ma nel senso pieno che il termine “organolettico” ci suggerisce.  “Vini- sottolineano Filippo e Paolo – “vivi e vitali, vivaci e dai colori intensi, con sapori diversi dai vini ottenuti con metodi tradizionali, e che messi nel bicchiere si trasformano di ora in ora.  Vini che, una volta aperta la bottiglia, mostrano una notevole e prolungata resistenza all’ossidazione.” In generale questi vini mostrano diversità più marcate nei bianchi che nei rossi, ma  ci sentiamo di dire che rispecchiano, come pochi, il territorio in tutte le sue sfaccettature.  Di seguito vi presentiamo  le “avanguardie  del Bio” in Romagna incentrate soprattutto nel Brisighellese e nel Faentino ma che si allungano  fin sul Monte Trebbio.

 

 

Paolo Francesconi, Via Tuliero 154 Faenza Tel.0546.43213 pfrancesconi@racine.ra.it

Vigne di San Lorenzo, Via Campiume, 6 Fognano di Brisighella Tel.0546.80112     www.campiume.cominfo@campiume.com 

 Andrea Bragagni, Via del Suffragio 52 Fognano di Brisighella Tel.339.4700143.

 Vigne dei Boschi, Via Tura 7/A Brisighella Tel.338.9949367 vignedeiboschi@alice.it

 Il Pratello, Via Morana, 14 – Modigliana (FC) Tel. 0546.942038-info@ilpratello.net  www.ilpratello.net.
 
 

 

 

 

 

 

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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