La Dyane color mandarino6 min read

Una delle auto che mi hanno dato più soddisfazioni è la Fiat 124 sport coupé del 1970. È stata l’auto del matrimonio, del viaggio di nozze e delle mie scorrazzate per tutta l’Europa. Per lavoro. Partivo la mattina alle 8.00 da Place Maillot, cuore di Parigi, e arrivavo a dormire a casa a Braccagni, prima di mezzanotte. E allora di autostrada ce n’era assai poca. Era bella, veloce e comoda, ma consumava  benzina in maniera mostruosa. Con un pieno da Grosseto ci arrivavo appena a Modena Sud, non oltre. Gli detti il soprannome di Giannino, un compaesano famoso per le sue qualità di bevitore.

Dopo tanta magnificenza feci un bagno di umiltà e mi comprai una Dyane color mandarino. Anche gli interni erano in tinta. La comperai perché vedevo che la gente che l’adoperava, così come per la R4, erano tutta gente un po’ speciale, e comunque davano l’impressione di divertirsi un sacco.

Ovviamente aveva il maniglione simile alla R4 e garantisco che era comodo e divertente. Non era enorme, ma io ci andavo comodamente con tutta la famiglia. Appena acquistata mi capitò di farci un viaggio per lavoro in veneto, a Belluno. Presi l’occasione per fare questo viaggio di rodaggio con mia moglie, e così la sera dopo il primo e unico appuntamento che avevo, andammo a dormire sul lago di Misurina. Un paesaggio e un’atmosfera unica. Ispirazione per tutti i sensi, in tutti i sensi.

Il giorno dopo misi subito alla prova la bestiolina: feci le tre cime di Lavaredo, dove era passato da qualche giorno il Giro d’Italia. Con calma, ma regolarmente arrivammo fino in cima. Confesso che mi sentivo molto ciclista e così subito dopo la discesa presi a fare tutti i più mitici colli delle dolomiti. Pordoi, Sella e poi giù verso la lussureggiante e splendida vallata trentina. Posso anche dare una data a questo viaggio, perché proprio in quei giorni si consumava la terribile tragedia di Vermicino, quella del povero Alfredino e di quell’odioso giornalista Rai che intervistava in diretta e con indecenza tutti quelli intenti al salvataggio: “Dottore, dottore, dottore mi dica!”. La tragedia si consumò dall’10 al 13 giugno 1981.

 

Fatta questa prima convincente prova di collaudo decidemmo al volo con la famiglia di andare a fare le vacanze tutti assieme con la Dyane. A Barcellona! Studiammo con certosina pazienza come, dove e cosa infilare per due adulti e due bimbe teenager. Non fu semplice, ma ce la facemmo e si poté portare anche il guanciale personale di Alessandra.

Con l’auto arrivammo a Genova e là si prese la nave. A Barcellona avevo prenotato un albergo turistico molto comodo ed attrezzato. Aveva molti piani e all’ultimo una piscina che risultò essere la cosa più gradita dalle figlie.

Al momento di partire avevo fatto due conti e mi resi conto che stare fuori in quattro persone e non aver prenotato per mangiare poteva significare spendere una marea di soldi. Così, all’ultimo minuto presi un padellino, un bollilatte, un piccolo set di piatti e posate da picnic ed un fornellino della campingas. Fu la nostra salvezza.

La prima escursione in città fu ovviamente sulle Ramblas e più precisamente al Mercato Monumentale, la Boqueria. Ci piacquero tutti i coloratissimi e profumati banchetti, ma davanti a quello del pesce rimanemmo tutti come ipnotizzati. Una bellissima pescivendola maneggiava con una sicurezza incredibile un coltellone per pulire tutti i pesci, grandi o piccoli che fossero. Con una eleganza e destrezza da starci davanti tutta la mattina a vederla.

Scegliemmo senza troppo discutere dei gamberoni giganti. Prendemmo al banco della verdura dei cetrioli e dei pomodori, e completammo con olio, aceto, pane e da bere. Avevamo due camere comunicanti tramite il terrazzo, e su questo allestimmo la nostra tavola. Il nostro bagno fu sistemato da mia moglie in maniera da fare lava e asciuga per le stoviglie. Praticamente questo menù andò avanti tutta la settimana, con le sole varianti della verdura che potevano arrivare ai fagioli in scatola e insalate miste. Non avendo da guidare dopo pranzo e avendo invece un comodo letto per la siesta, mi permisi sperimentare con generosità vini locali. Senza troppa soddisfazione, sicuramente per mia ignoranza.

Quando l’ascensore si apriva al nostro piano un intenso odore di gamberi cucinati arrivava penetrante nonostante la nostra camera fosse laggiù alla fine di un lungo corridoio. Ogni giorno sempre di più. Impauriti si cercava di aerare le stanze in tutte la maniere, ma con scarso risultato. Noi temevamo, ma nessuno dell’albergo ci disse mai niente. Segno di alta signorilità e ospitalità. O forse se ne fregavano proprio.

Verso la fine della settimana tutti cominciammo a dare segni di insofferenza ai gamberi. Io guardai il portafoglio visto che eravamo oramai alla fine, calcolai che eravamo in salvo. Chiedemmo allora in portineria quale fosse la miglior trattoria della città. E sottolineai trattoria. Mi dettero due o tre nomi ma io imbiffai subito quello che aveva peraltro già adocchiato in una stradina laterale delle Ramblas. Il locale si chiamava Los Caracoles (le lumache) ed aveva al suo esterno in una specie di tabernacolo un monumentale girarrosto con polli giganteschi emananti un profumo che arrivava a centinaia di metri. Forse erano là proprio per questo.

Furono questi che fecero andare in visibilio le mie figlie. Il locale si mostrò ancora più bello delle promesse. Un’enorme cucina centrale era contornata da balconate dove si sedeva a mangiare osservando in diretta tutta la cucina. Una cosa incredibilmente bella e divertente. Il menù rigidamente libero fu: un pollo intero per le mie figlie (sarà stato un paio di chili buoni, già cotto), mezzo coniglio alla piastra per la mia signora e mezzo maialino alla piastra per il sottoscritto.

Con l’acquolina che ci scendeva oramai dai lati della bocca chiesi se nell’attesa ci potevano portare un piatto  di lumache a testa. Andò tutto giù liscio come l’olio, lumache comprese per le quali siamo in casa piuttosto esperti ed esigenti. Una pranzo fantastico. Mi domando ancora come fecero le mie bambine (tra gli otto e i dieci) a farsi fuori prima il loro bravo piatto di lumache e poi il gigantesco pollo. Veramente l’exploit fu generale perché le porzioni del coniglio e del porcellino non erano poi così striminzite. Non ricordo, ma giurerei che prendemmo anche il gelato. Che in questi casi, come si sa, non fa altro che bene.

Questa cena fatta la sera prima di ripartire ci purgò del troppo pesce mangiato e rimise cervello e corpo in ordine. Il ritorno con l’alba sul mare fu fantastico, e la Dyane ci riportò a casa da Genova che sembrava la carrozza di Cenerentola.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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