La critica enogastronomica ha scoperto che l’acqua bollente scotta3 min read

In questi giorni tra i critici enogastronomici italici è nato un nuovo sport, quello del salto dell’ovvio. Partendo dalla scelta del famosissimo e temuto critico gastronomico del New York Times, dimessosi (dice lui) per ragioni di salute, è partito un florilegio di dichiarazioni, dove si mettono in primo piano i problemi di a cui vanno incontro critici che recensiscono ristoranti (nella fattispecie quelli costretti a recensire più ristoranti al giorno) e naturalmente gli assaggiatori seriali di vino di guide o di riviste.

Niente in contrario su questi lamenti ma mi domando se fino ad ieri un degustatore di vino vedeva il vino come la panacea di tutti i mali e l’alcol come un rimedio sicuro contro l’invecchiamento delle unghie dei piedi o se un frequentatore assiduo di ristoranti pensava al cibo, ai grassi più o meno saturi, come una cura ricostituente ordinata dal dottore.

In altre parole mi sembra che evidenziare i problemi fisici a cui possiamo andare incontro (e quasi sempre li incontriamo per strada…) sia evidenziare l’ovvio, un po’ come se un minatore scoprisse dopo 20 anni di lavoro che in miniera si può prendere la silicosi e inizi solo a quel punto a fare qualcosa per la sua salute.

Cari colleghi, ma cosa vi lamentate a fare? Pensate che facendo così la nostra categoria ne tragga beneficio? Una gran parte di noi fa questo lavoro per hobby e quindi può smettere da un giorno all’altro e andare a pescare o in bici, quelli che ci raccattano la pagnotta invece , se fino a ieri non sapevano a cosa andavano incontro vuol dire che non si sono mai fatti un’analisi del sangue o una semplicissima domanda su quello che stavano facendo.

Certo che degustare 60 vini al giorno (sputando) non fa bene, certo che andare a pranzo o a cena con altri assaggi incorporati non fa bene, certo che fare due pranzi e due cene al giorno per recensire ristoranti non fa bene, ma o ci riconoscono il fegato grasso, il colesterolo alto o l’obesità come malattie professionali oppure lamentarsi, per me, fa sorridere.

Fa sorridere perché alla fin fine abbiamo scelto un mestiere forse tra i più belli del mondo e se non sappiamo cautelarci e moderarci da soli contro i problemi di salute da cibo e da alcol, allora o smettiamo o, per estremizzare il concetto, uso le parole di Hesse per il suo Santo Bevitore “Conceda Dio a tutti noi, a noi bevitori, una morte così lieve e bella!”

Foto di copertina di blondapst da Pixabay

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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