La Birra Perugia vista dal casalingo di Poggibonsi (alias Voghera)4 min read

C’è sempre una prima volta e così capita che un’amante fedele del vino come me si trovi a doverlo “tradire” parlando di birra. Il problema è uno solo: di vino forse posso capirci qualcosa (astenersi da facili battute) ma di birra mi pregio di essere assoluto neofita, bevitore della domenica che tale vuole rimanere.

 

Per questo mi scuserà Antonio Boco, caro amico giornalista nonché uno dei  titolari del birrificio Birra Perugia, se parlerò delle sue birre come un casalingo di Voghera (in realtà d Poggibonsi) assolutamente non esperto di birra.

 

Ma perché ho deciso di cimentarmi in questa impresa? La colpa è tutta di Antonio che con il suo birrificio, oltre ad ottenere premi su premi, produce birre che colleghi bevono e di cui parlano bene. Quindi, approfittando della meravigliosa giornata con le vecchie bottiglie di Giulio Gambelli (di cui parlerò tra qualche giorno), gli ho chiesto di portarmi qualche bottiglia per assaggiarla. 

Come vedete parlo al singolare perché nella mia ignoranza pensavo che un birrificio a Perugia producesse una birra, massimo due: una bionda e una rossa e via andare.

Invece ne ha portate ben sei, qualcuna con caratteristiche particolari, le altre semplicemente molto buone.

 

 

Parto dalla più particolare di tutte (sempre per un casalingo di Poggibonsi) la Chocolate Porter: nerissima, densissima, caffèissima, cioccolatosissima e, come tutte le altre non pastorizzata e non filtrata. Non sarei riuscito a superare lo scoglio dell’assaggio se non avessi avuto accanto a me un degustatore di birra di buon livello, che mi ha fatto capire in poche parole la mia profonda ignoranza-inadeguatezza ad una birra del genere.

Sto parlando di mio figlio Luis, che come l’ha adocchiata se l’è versata e ha cominciato ad annusarla, dicendo “Babbo ma non lo senti il cacao? Non la senti la nota di liquirizia? Non senti come in bocca è cremosa e amara al punto giusto?” Io lo guardavo come avrei potuto guardare un marziano, perché non immaginavo di avere in casa un degustatore di birre in incognito.

 

Alla fine la mia innata "vogherizzazione" (mi scusino a Voghera se continuo con questo paragone) non me l’ha fatta piacere e la giustificazione è stata puramente enoica: ho pensato infatti ad un vino mooolto naturale (questa qui, tranquilli, non puzza) e mi sono detto che questa non è roba per me, anche se a detta del degustatore ufficiale di casa Macchi è una birra di altissimo livello, tanto da telefonare ad un suo amico per farlo venire di corsa ad assaggiarla.

 

 

Per me invece sono di altissimo livello la Golden Ale e la American Red Ale, entrambe non pastorizzate e non filtrate: danno quella immediata piacevolezza che un sempliciotto come me richiede ad una birra. La bionda è esemplare in questo (posso definirla croccante?)  ma forse la rossa riunisce in sé freschezza e corpo e sinceramente me la sono scolata, pardon degustata, godendo di brutto.

Voglio precisare che per noi casalinghi di Poggibonsi-Voghera della birra la definizione “godendo di brutto” è  il massimo a cui possiamo arrivare e quindi, come avrebbe detto il vecchio Peppino a Totò -Ho detto tutto!-

 

 

Tra le Scilla e Cariddi del gusto, tra l’estrema piacevolezza e sostanziale corposità ci stanno le altre tre birre, La Calibro 7 (American Pale Ale) La Suburbia  (English IPA) e la ILA (Scoth Ale affinata in barili di Whisky), che rappresentano un mondo birroso che di solito non frequento.  Quindi non chiedetemi come sono fatte perché non lo so, ma posso solo dirvi che, ognuna a modo suo, sono birre “a muso duro”, con un loro carattere ben definito, con alcune dolci spigolosità aromatiche degne di vini complessi e con una struttura che le rende abbinabili a secondi di carne rossa.

 

Così il casalingo di Poggibonsi-Voghera che è in me deve, in conclusione, ringraziare Antonio per la bella e particolare esperienza e porre la domanda da un milione di dolllari: MA DOVE LE POSSO COMPRARE VICINO A POGGIBONSI???

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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