La benedizione giusta al momento giusto3 min read

Altri tempi, altri stili, altro senso pratico.

Negli anni 50′, quando arrivò la televisione, si andava a vederla  nei bar o nella sala parrocchiale, dove veniva proiettato anche il cinema al sabato sera.

A quei tempi il nostro parroco era un tipo sanguigno: non era di quelli che andava particolarmente d’accordo con i ragazzi, ma nemmeno troppo con le sante donne. Aveva con entrambi un rapporto direi professionale, nel senso che dava tutto quello che doveva dare, ma non aggiungeva niente di suo. Forse il suo carattere rude e pratico di contadino lo portava di più a legarsi con gli uomini adulti.

Ricordo perfettamente la sua esclamazione all’annuncio del nuovo papa, il 28 ottobre 1958. Lui era li con noi ragazzi al cinema a vedere il collegamento alla televisione e non appena pronunciarono il nome del papa esclamò: “Vai, ora si che c’hanno dato un bel Papa!”

Rimasi colpito da questa esclamazione un po’ curiosa ma soprattutto convinta e consapevole. Sul  momento non capii il perché, ma col tempo e con l’opera di Giovanni XXIII, il “Papa buono”,  le cose mi apparvero più chiare, e anche le parole del nostro parroco acquistarono un loro significato.

Lui non era particolarmente cortese, ma nemmeno cattivo; come dire, faceva il suo mestiere, ma non si sprecava con noi più di tanto.
Poi con il tempo si conobbero anche altri aspetti del suo carattere, delle sue abitudine e preferenze e il quadro che ne venne era un po’ fuori dal comune, almeno per i nostri parametri di allora.
Insomma nei momenti liberi apprezzava assai bere qualche bicchiere di vino con i suoi amici, che guarda il caso erano anche i più affezionati estimatori del nettare di bacco.
Come tutti i grandi appassionati qualche volta manifestavano il loro amore con qualche eccesso, fino a raggiungere livelli poco ortodossi per i benpensanti, ma più che tollerati e giustificati da loro stessi.

Non è che si dessero a queste esternazioni d’ amore nei pubblici locali, ma piuttosto se non era in sacrestia era  da dei compiacenti amici contadini, magari quelli che avevano del buon vino.
Per cui almeno pubblicamente le apparenze erano salve. La squadra di questi  campioncini era formata da altri tre paesani, veri monumenti locali. Al nostro parroco si affiancavano il Cinquino, il Gocciola e la Ciuca.

Ad onor del vero il parroco faceva nella squadra anche la parte del fratello più grande e quello più giudizioso. Per esempio era lui che metteva a disposizione il suo furgoncino che poi guidava, in benedetta assenza dell’etilometro, all’epoca.

Anzi si era pure attrezzato: teneva sempre nel furgone tre guanciali per meglio accudire i compagni di ventura. Era lui infatti, una volta terminata la serata, che li caricava nel furgone e li portava a casa. I guanciali servivano per sdraiarli nel furgoncino, ma anche per lasciarli in una più confortevole posizione quando li scaricava per i piedi e poi li lasciva a terra da qualche parte fuori dell’uscio di casa. Si perché lui li lasciava e poi ci dovevano pensare da soli a strigarsela con le loro signore.

Memorabile una sortita dal Cencini per un venerdì vigilia di Natale. Mangiando e bevendo con gusto abbondanza e serietà si fecero fuori dei bei piatti di maccheroni al sugo e un bel galletto alla cacciatora, il tutto ovviamente irrorato da adeguato e rosso liquido amico.

A fine pasto mentre tutti già veleggiavano alti nelle praterie del benessere e della beatitudine scappa fuori Anna, la moglie del “Cencio” che fa: mamma mia Padre, vi ho fatto rompere la vigilia, proprio oggi, la vigilia di Natale! O mamma mia, sciagurata me – diceva la santa donna – io lo so: “Non c’è anima di cane che guasti la vigilia di Natale!”
Ecco allora il buon senso pratico del nostro parroco: “Non ti preoccupare cara, ci ho pensato io: il tuo mangiare l’avevo benedetto come Baccalà!”

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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  1. Il prete descritto da Roberto ricorda il Don Camillo di tanti esilaranti racconti di Guareschi , un prete più incline a vivere la vita nei suoi aspetti concreti che in quelli spirituali e decisamente lontano dall’immagine comune che vorrebbe gli uomini di chiesa al di fuori delle passioni terrene .
    Al nostro prete piace mangiare, bere e condividere questa sua passione con chi la pensa come lui
    Ricordo anche io che all’ epoca c’era il gruppetto dei fedelissimi della bisboccia , sempre gli stessi , che davanti ad un fiasco di vino più che festeggiare annegavano le fatiche quotidiane , il senso di precarietà  della vita e tanta miseria .
    E ricordo anche qualche moglie che a sera riportava a casa il marito che mal si reggeva sulla gambe , donne arrabbiate, ma più spesso rassegnate , come succedeva allora quando si accettavano gli eventi con una sorta di fatalismo e l’idea della ribellione era del tutto sconosciuta .
    Oggi questi scenari non esistono più , i contesti in cui viviamo sono altri e le trasgressioni quasi sempre di diverso genere

  2. Un altro bellissimo racconto di Roberto Tonini, grazie.
    La descrizione del prete mi ricorda un aneddoto di vita veramente vissuta nella cittadina in cui abito.
    Il Parroco di prima della guerra era un altro apprezzatore del vino e a volte esagerava, con risultati anche spassosi. Come nel commentare il Vangelo durante una predica domenicale. Si trattava di spiegare il miracolo della moltiplicazione dei 5 pani e 5 pesci ad una multitudine di circa cinquemila persone. Il nostro bravo parroco, leggermente alticcio, si intrigò nei numeri ed alla fine se ne uscଠdicendo “cosଠGesù sfamò i cinque con cinquemila pani e pesci” ci fu un momento di silenzio allibito nell’assemblea, poi una voce coraggiosa chiese “Oh reverendo e non creponno?” e il Nostro senza fare una piega rispose “Appunto, in questo sta il miracolo!”.

  3. devo riconoscere che la battuta del Parroco di Nelle Nuovole è forse più secca e fulminante di quella del nostro Parroco.
    Credo anche che se la gente comincia a raccontare di questi anedotti – tutti veri peraltro, come questi – credo che si potrebbe andare avanti per un bel po’………….

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