José Gil, piccoli grandi vini in Rioja4 min read

Dal viaggio in Rioja, l’anno in cui ci allagammo di acqua a Faenza, tornai con un bel carico di vini e visite. Tra questi qualche vino di José Gil, un giovane viticoltore nato a San Vicente de la Sonsierra, in Rioja.  Dopo aver conseguito la laurea in enologia, è entrato nell’azienda di famiglia, Olmaza, gestita fino ad allora dal padre e dallo zio.

Nel 2012 ha acquistato e restaurato La Cueva del Espino, una piccola cantina medievale nascosta nel pendio settentrionale della collina del castello, a sole due porte da quella di Benjamín Romeo, (Enologo di Artadi fino al 2000) nel 2013 ha iniziato a muovere i primi passi fermentando con i raspi in tini di plastica.

Nel 2016 ha rilasciato le sue prime bottiglie debuttando con tre vini rossi che portano il suo nome, tutti realizzati con Tempranillo e con percentuali comprese tra il 10 e il 15% di Viura. Un punto di svolta è arrivato nel 2018 quando ha incontrato la sua compagna, Vicky Fernández, originaria dell’Uruguay e residente a Bilbao.

Da allora, la coppia ha condiviso tutto il lavoro necessario per il loro progetto comune, Vignerons de la Sonsierra. Vicky e José coltivano 10 ettari a San Vicente e Labastida, che imbottigliano con la propria etichetta. Coltivano anche altri 2,5 ettari a Briones, le cui uve vengono vendute. La coppia attualmente produce cinque vini rossi, tutti a base di Tempranillo con piccole quantità di Viura, Garnacha e altre varietà presenti nei vigneti, oltre a un bianco. La gamma inizia con due vini di paese.

José Gil Viñedos en San Vicente (16.000 bottiglie) proviene da diversi siti a diverse altitudini e orientamenti. Fermentato con il 25% di grappoli interi, il vino viene affinato per 10 mesi in cemento e poi per 11 mesi in botti usate di rovere francese da 500 litri. La vinificazione è simile per José Gil Viñedos en Labastida (5.000 bottiglie), anche se in questo caso l’affinamento avviene esclusivamente in botti da 500 litri. I frutti provengono da vecchie vigne di questo villaggio della Rioja Alavesa (Basca), dove i terreni sono più sabbiosi rispetto a San Vicente e il contenuto di Garnacha è più elevato, e puo arrivare fino al 35%. Il vino di Labastida mostra un profilo meno austero rispetto al suo omologo San Vicente.

I due vini “comunali” José Gil Paraje El Bardallo e José Gil Paraje La Canoca (3.300 bottiglie). Il primo proviene da tre appezzamenti all’interno di questo sito argilloso-calcareo, il cui nome è condiviso con altri produttori come Abeica e 3 Viñerones, cosa piuttosto insolita nella Rioja. El Bardallo viene fermentato con il 15% di grappoli interi in cemento e affinato per 11 mesi in botti da 500 litri.

Seguendo un processo simile, La Canoca proviene da tre appezzamenti terrazzati ad altitudini comprese tra 645 e 700 metri, con esposizioni e terreni diversi di argilla, limo e sabbia.L’elegante e complesso Camino de Ribas (2.500 bottiglie) proviene da un singolo vigneto all’interno del sito di La Cóncova (nella frazione di Rivas de Tesoro). Questa è la valle più fredda e fresca, poiché il valico a nord verso il Toloño consente l’ingresso di forti venti settentrionali provenienti dall’Atlantico. Camino de Ribas  assembla l’80% di Garnacha, il 10% di Tempranillo, il 5% di Garnacha Blanca e il 5% di Viura. Fermenta con il 35% di grappoli interi in cemento e, come gli altri vini da singolo vigneto, viene affinato per 11 mesi in botti da 500 litri.

Il loro nuovo bianco, El Calado del Espino (1.350 bottiglie), proviene da un vecchio vigneto Viura a Labastida con terreni calcarei, oltre a una parte di Bardallo. Il 70% del vino viene fermentato in botti di rovere francese da 500 litri, mentre il resto affina in damigiane da 54 litri. Questo Camino de Ribas da Vinedo Singular è buonissimo, il frutto ha fragranza e i tannini sono una fresca carezza al palato. Credo proprio che i Rioja siano ampiamente sottovalutati sia nel prezzo che nella loro qualità. Certo è che con oltre 600 produttori non ci si deve illudere che la Rioja sia l’Eldorado dei talent scout. Ci sono anche tante ciofeche.
 
 
 

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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