InvecchiatIGP: Casalferro 1997 Barone Ricasoli3 min read

In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

Per l’Invecchiato IGP ho scelto un vino che rappresenta fortemente la nuova visione che negli anni ’90 aveva preso piede soprattutto in Toscana, a Montalcino come in Chianti Classico. Ma la millenaria storia dei Ricasoli, proprio qui al Castello di Brolio a Gaiole in Chianti, ha vissuto un periodo del tutto particolare, infatti tra gli anni ’70 e ’90, la storica cantina e il noto marchio erano stati ceduti a terzi, che purtroppo non ne hanno fatto tesoro, anzi, l’hanno quasi ridotta in rovina, vini compresi.

 Per fortuna nel 1993 il barone Francesco Ricasoli, che investendo tutto quello che aveva e, forse, anche qualcosa in più,  ha ripreso possesso dell’azienda e riacquistato il marchio, riuscendo in pochi anni a darle nuovo lustro, grazie al coinvolgimento di Filippo Mazzei di Castello di Fonterutoli, dell’enologo Carlo Ferrini e dell’ex direttore marketing della Duca di Salaparuta Maurizio Ghiori.

Il Casalferro è indubbiamente il simbolo di questa rinascita, prima annata 1993, sangiovese in purezza, ma la ’97 rappresenta anche il cambio di nome aziendale da “Castello di Brolio” a “Barone Ricasoli” (oggi semplicemente “Ricasoli”) e una piccola modifica nell’uvaggio con l’ingresso di una quota di merlot (oggi ormai solo merlot).

Ora, per onestà devo dire che i vini firmati da Ferrini, soprattutto in quegli anni, non mi entusiasmavano, la sua mano a mio avviso si sentiva troppo, era più facile capire che un vino era di Carlo Ferrini” che la sua provenienza, almeno per me. Del resto era un’epoca in cui il lavoro in cantina era fondamentale, tanta innovazione in macchinari e legni e, forse, non ancora abbastanza esperienza nell’utilizzarli, finivano a volte per indirizzare troppo il carattere dei vini verso il mercato del momento, penalizzandone le caratteristiche più intrinseche e distintive.

Detto ciò, è sempre un’emozione stappare una vecchia bottiglia, in questo caso di 28 anni.

Nessun problema nell’estrazione del tappo, che risulta umido fino a un terzo dei suoi 5 cm. di lunghezza, con la parte a contatto con il vino tendente al viola-nerastro.

Come da prassi, lo verso con delicatezza e lo lascio ossigenare a lungo, ascoltandone i profumi di tanto in tanto.

Il colore è un granato ancora di buona intensità e luminosità, al naso appare un po’ statico, nonostante si stia ripulendo della prevedibile riduzione, non trapela una gamma ampia di profumi, sembra piuttosto stabilizzato su confettura di frutta, mallo di noce, tabacco, fumo, cuoio, leggero sottobosco e poco altro, non si muove da lì, non è cangiante e l’ossigeno non rivela nuovi sentori se non qualche cenno ossidativo. Il sorso però mette in mostra una notevole freschezza, sembra molto meno “anziano”, non ha raggiunto l’armonia e a questo punto non credo ci arriverà mai, ma ha spinta e non mostra alcuna fatica, il tannino ha grana fine e un assetto preciso e ben inserito nella tessitura del vino. Il tempo lo ha reso meno voluminoso, per certi versi più apprezzabile, indubbiamente ha tenuto piuttosto bene, peccato per qualche limite sul piano olfattivo

Roberto Giuliani

Roberto Giuliani è il direttore di Lavinium. È anche un appassionato e bravissimo fotografo.


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