InvecchiatIGP: Carneros Merlot 1997, Robert Mondavi3 min read

In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

Erano diversi anni che dovevo mettere a posto seriamente la mia cantina e per farlo ho scelto il lungo weekend di Pasqua. Vi garantisco è stato un lavoraccio, ma ne sono uscito vincitore e soddisfatto. Sono uscite, oltre alla soddisfazione, alcune bottiglie di cui non ricordavo assolutamente l’esistenza, tra cui questo Merlot di Mondavi che probabilmente risale ai tempi in cui studiavo per diventare Master of Wine.

Un Merlot che, sempre con il linguaggio dei MW potremmo definire “average” cioè di gamma media, abbastanza rappresentativo della zona ma dal prezzo piuttosto contenuto e quindi un vino non certo adatto, sulla carta, all’invecchiamento.

Carneros è un AVA (American Viticultural Area) che si trova incastrata tra Napa e Sonoma, vicino alla baia di San Pablo che ne condiziona il clima: infatti è soggetta sia ai venti freschi che arrivano dal mare sia alle nebbie che spesso ne coprono una buona parte. Il terreno è collinare ma piuttosto morbido e ondulato, con colline che difficilmente superano i 250 metri s.l.m.

E’ una delle poche zone californiane dove il cabernet sauvignon non è di casa ma, come dimostra la mia bottiglia, si coltiva merlot ma soprattutto chardonnay e pinot nero che, visto il clima fresco, servono soprattutto per degli spumanti.

Vista anche l’etichetta non proprio in condizioni ottime non mi aspettavo molto dal vino e purtroppo la sensazione si confermava trovandomi a tu per tu con il tappo, che si è sfaldato velocissimamente.

Invece mi sono dovuto ricredere.

Il colore era ancora rubino, anche se le note aranciate stavano per avere il sopravvento, ma la parte migliore del vino sono stati indubbiamente gli aromi: mai sentito così tanto intensamente note di fungo, tartufo e terra bagnata, mentre lasciando il vino all’aria dopo un po’ arrivavano anche lievi sentori floreali. In bocca era equilibrato ma non certo potente, mostrava però una minima tannicità ancora piuttosto vivace. Tra l’altro, nonostante in etichetta ci fosse scritto Unfiltered, il vino non aveva praticamente depositi.

Insomma non era certo un vino morto e lo ha dimostrato la sera di Pasqua a circa 10 ore dall’apertura e dall’essere stato messo in un decanter: ancora una volta gli aromi di fungo e tartufo erano netti e profondi e in bocca era ancora di buona ampiezza. Ha accompagnato in maniera degna l’agnello pasquale.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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