Mia moglie lo dice sempre: “Chissà quante bottiglie avrai in cantina che oramai non saranno buone nemmeno per il ragù”. In effetti potrebbe avere anche qualche ragione (ragione mia moglie? GIAMMAI!) ma soprattutto con questa frase ricorrente il brutto tarlo dell’incertezza è sempre a portata di mano.
Inoltre, dopo l’articolo sulla “guida dei vini al momento giusto” (vedi)e le discussione che sono sorte mi è venuto voglia di scendere in cantina (tre metri sotto terra, con volta in mattoni, temperatura costante tra i 13° ed i 15°, umidità attorno a 80-85%…e scusate se è poco) per vedere cosa poteva capitarmi in mano da assaggiare “prima che non fosse buono neanche per il ragù”. Mentre scendevo mi è venuto in mente anche il nome che potevo dare a questa nuova rubrica di “vecchi e disperati” assaggi: indovina chi è venuto a cena!
Comunque dopo aver sceso i miei dodici scalini dodici non ho dovuto nemmeno smuovere molte bottiglie per trovarmi in mano una bottiglia di Chianti Classico 1991 dell’azienda Poggerino. Devo dirla tutta? Ero senza occhiali e pensavo di aver preso un’annata più recente; probabilmente se avessi letto bene l’avrei lasciata lì, non immaginando assolutamente quello che mi perdevo.
Insomma arrivo in casa e per prima cosa ho tolto la pellicola trasparente che metto attorno a tutte le bottiglie per preservare l’etichette, dopodiché stappo . Il tappo è perfetto: avvinato fino a metà, senza il minimo accenno di percolazioni.
Prima però di parlarvi del vino due parole sull’azienda e sull’annata. Poggerino è a Radda in Chianti, praticamente davanti a Montevertine: quindi zona alta, fresca. E’ gestita da sempre dai giovani (allora erano giovanissimi) Piero e Benedetta Lanza, che oggi hanno più di 11 ettari terreno, ma allora non superavano i 2-3. Li conobbi grazie alla loro Riserva 1990 (che sicuramente sarà ancora da qualche parte in cantina) ed andai a trovarli molte volte nei primi anni novanta. Probabilmente in una delle tante scappate, mi comprai qualche cartone di 1991.
Quell’annata fu la prima di una serie di vendemmie non certo eccezionali, solo che venendo dal 1990 venne subito ammesso “urbi et orbi” il livello non eccelso. Andando avanti con le vendemmie sfigate si cercò sempre più di vendere fischi per fiaschi, fino ad arrivare alla supervalutata 1997. Comunque i vini del 1991, in particolare i Chianti Classico, erano ancora prodotti senza le pseudo-attenzioni e le pseudo-tecnologie di qualche anno dopo: in teoria potevano avere velleità di freschezza e pronta beva, di serbevolezza per qualche anno e via andare.
Invece….metto il vino nel bicchiere e non mi sorprende nemmeno tanto il color rubino brillante: al colore ci faccio sempre meno caso. E’ il naso quello che sono curioso di sentire, essendo pronto a cantare un normale e ,senza infamia, de profundis.
Invece il mio naso si affaccia su una profondità e complessità che non capita molto spesso di sentire. Il timbro del sangiovese è forte e chiaro e la terziarizzazione è perfetta, portando verso note quasi mentolate con sentori di rosa. Ad un certo punto mi ha ricordato un buon pinot nero! In bocca è molto ben equilibrato, con tannini medi ma dolci e presenti ed una freschezza che sfocia in smaccata piacevolezza. Una bottiglia che ho bevuto in due giorni e che anche il secondo giorno non mostrava alcun segnale di cedimento, anzi.
Un vino che fa onore non solo all’azienda ma al Chianti Classico in generale e che dimostra quanto il Sangiovese, se ben coltivato e vinificato con semplicità e bravura, possa dare. E’ stata una sorpresa eccezionale potersi godere un vino “base” di 21 anni assolutamente perfetto e con complessità da vino di altissimo livello. Anzi, tanti grandi vini non mi hanno dato nemmeno la metà delle sensazioni di questo “semplice” Chianti Classico.
Nel fare i complimenti a Piero e Benedetta non posso che essere felice: ne ho altre 4 bottiglie in cantina…chi si prenota?