“La classe….”. Chi ha avuto la fortuna di essere amico di Libero Masi ricorderà per sempre l’espressione che gli era più cara e ricorrente (“La classe…..”), con la quale sottolineava e applaudiva, con occhi ridenti, una battuta felice, una buona idea. L’amicizia, iniziata vent’anni fa ai primi passi di Slow Food-che non era ancora Slow Food-condivideva un retroterra abbastanza simile: quello di chi cercava, in quel complicato snodo esistenziale a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta, gli umori meno stagnanti e immutabili della vita in provincia.
L’entusiasmo con cui Libero partecipò immediatamente a questo strano risveglio di vignaioli, osti, pastai e pastori (lui, figlio di un leggendario avvocato che aveva difeso gratis i contadini nelle cause contro i latifondisti), era lo stesso speso nell’organizzare cicli di films ed incontri culturali nelle lunghe serate invernali (oltre che, naturalmente, nel suo lavoro di avvocato), e la convivialità era per lui, irresistibile affabulatore abituato a vivere questo territorio di confine tra Abruzzo e Marca sporca come un microcosmo fitto di lunatici, macchiette ed antieroi (quasi la Macondo di Garcia Marquez in Val Vibrata), un naturale invito a nozze.
Restano indimenticabili, per me, anche perché largamente condivisi, alcuni suoi tic ricorrenti: le prime righe di Cent’anni di solitudine recitate con memoria sicura come un rosario, la nostalgia per certe trattorie romane prima del ’68, i romanzi di John Fante, la passione cinefila anche un po’ fuori dai canoni (un film su tutti: Il cavaliere della valle solitaria), l’entusiasmo quasi infantile per la cucina teramana e il vino Montepulciano d’Abruzzo. Le circostanze particolarmente atroci della perdita di Libero ed Emanuela rendono quasi impossibile tentare un’elaborazione del lutto vicina ai toni dell’accettazione serena e dell’ironia, come loro avrebbero senz’altro preteso e meritato, ma non possono rischiare di cancellare, nel segno della ferocia, quell’esemplare mitezza ed umanità che ci ha arricchito.