E’ ufficiale: da quest’anno in Francia i vini prodotti dai viticultori che avranno lavorato in un certo modo prima, durante e dopo la vendemmia nonchè superato vari controlli, potranno adottare il marchio “Vins-Méthode nature” sulle bottiglie.
E’ la prima volta che accade in Europa. Fino a oggi , infatti, pur essendovi molte associazioni a carattere nazionale e internazionale di viticultori seguaci dei metodi cosiddetti naturali ( i lettori di Winesurf conoscono sicuramente le più note e attive nel nostro paese, ciascuna delle quali organizza manifestazioni pubbliche per il loro affiliati) , non esisteva alcun tipo di riconoscimento legale che ne permettesse la menzione in etichetta.
A permetterlo è stata una valutazione congiunta dell’INAO (Institut de l’Origine et de la Qualité) francese e della DGCCRF (Direction générale de la Concurrence, de la Consommation et de la Répression des fraudes) sull’opportunità di una serie di criteri e procedure che debbano essere assunti dai produttori a tutela dei consumatori.
La richiesta crescente di vini biologici (un mercato più che raddoppiato dal 2012, con una previsione di crescita media del 14% l’anno nel prossimo triennio, secondo l’istituto britannico ISWR) e la mancanza di criteri legali stringenti sui metodi cosiddetti naturali avevano infatti creato un enorme varco alla speculazione e alla contraffazione, come ha confermato Jacques Carroget, vigneron nella Loire-Atlantique e Presidente del “Syndicat de défense des vins Naturels”.
“Nel 2019, la Repressione delle frodi (DGCCRF)-ha dichiarato a Ouest-France – ha scoperto una cooperativa che mescolava vini convenzionali et vini nature per diluire i valori dei solfiti”.
Come è noto in Europa (anche se il consumatore fa spesso confusione tra marchi) la legislazione riconosceva legalmente, soltanto dal 2012, la sola denominazione di “vino da agricoltura biologica”. Questo mediante la certificazione Eurofeuille , che in Francia ha praticamente sostituito quella nazionale AB, Agriculture Biologique.
Eurofeuille proibisce l’utilizzazione di pesticidi di sintesi e additivi non naturali nella vinificazione. L’impiego di rame è limitata a 4kg/ha. e per anno, l’aggiunta di solfiti resta ammessa, ma in misura inferiore a quella praticata nell’agricoltura convenzionale (100 mg/l. per i vini rossi, 150 per i bianchi e i rosé secchi, 155 per i vini effervescenti, 220 per i vini moelleux, ben 370 per i liquorosi).
La vitivinicoltura biodinamica invece è attestata dai marchi Demeter (485 viticultori impegnati nella procedura e 387 certificati) e Biodyvin, con 149 aderenti. Demeter include ovviamente tutte le restrizioni già definite dalla coltivazione biologica, ma pone una particolare enfasi sulla biodiversità e il benessere dei lavoratori, proibendo inoltre alcune tecniche considerate troppo artificiali e spinte. Più ridotte sono anche la quantità di rame tollerata (3 kg. per ettaro e per anno) e di solfiti aggiunti: 70 mg./l per i vini rossi, 90 nei bianchi e nei rosé secchi, 130 nei moelleux, 200 nei liquorosi, ma solo 60 negli effervescenti secchi.
Gli stessi valori sono quelli ammessi da Biodyvin .
Solo S.A.I.N.S. , marchio purista dei vins -nature, creato nel 2012 dalla borgognona Catherine Vergé, bandisce completamente, oltre a qualsiasi additivo, l’aggiunta di solfiti. Per quanto riguarda la verifica del tasso di pesticidi residui, questa è effettuata al momento della certificazione nei vini biologici e nel marchio Demeter, non sempre in quello Biodyvin, venendo però generalmente effettuato su richiesta degli importatori stranieri.
Marginali , tra le due associazioni del vino biodinamico, sono le differenze nell’impiego di prodotti di origine animale , considerate invece decisive per i vegani: vietate colla di pesce e gelatina di maiale, ma ammesse caseina e uovo (Demeter), colla di piselli e talvolta caseina (Biodyvin).
In Francia ci sono anche altri marchi, il più importante dei quali è indubbiamente la certificazione HVE (Haute Valeur Environmentale), una misura di natura pubblica sulla compatibilità ambientale della produzione delle aziende : prevede tre livelli, di cui solo il terzo, il più alto, può essere utilizzato per i propri prodotti. Questa certificazione attesta il rispetto complessivo dell’ambiente sotto il profilo della biodiversità, delle strategie fitosanitarie, la gestione dei fertilizzanti e dell’energia (acqua ed energia elettrica) ma, attenzione, non esclude l’impiego di pesticidi chimici.
Finora la dizione “vino naturale” era stata bloccata dalla Direzione per la repressione frodi perché non conforme alla regolamentazione europea, facendo riferimento all’art. 53 del regolamento delegato 2019/33 che “permette di utilizzare una menzione descrittiva facente riferimento al metodo di produzione del vino” e all’articolo 7 del regolamento d’informazione dei consumatori sulle derrate alimentari (regolamento INCO) il quale prevede che “le menzioni volontarie non devono indurre in errore il consumatore e devono essere precise, chiare e facilmente comprensibili”.
Ora, per l’istituto “il termine naturale non può essere applicato che a un prodotto non trattato, senza additivi. Ma il vino non risponde a questa definizione se si tiene conto del suo modo di elaborazione e dell’aggiunta di ingredienti esterni come lieviti esogeni o solfiti”. Non andava inoltre omessa la possibilità di ingenerare confusione con la categoria dei vins doux naturels (come il Banyuls o il Rivesaltes). Come potete capire voi stessi la situazione non era per niente chiara, specie per presentarla ai lettori e al consumatore finale.
Ecco dunque che il termine “vins naturels” è stato sostituito dal termine meno impegnativo di “vins -Méthode nature”.
Ed ecco che cosa prevede in definitiva il regolamento dei Vins-Méthode nature definito dall’AVN (Association Vins naturels):
- l’impiego esclusivo di uve biologiche vendemmiate a mano
- l’utilizzazione esclusiva di lieviti indigeni
- la proibizione di qualsiasi additivo e di tecniche “brutali”, come la filtrazione cross-flow, la pastorizzazione flash, la termovinificazione, l’osmosi inversa.
- Infine i solfiti aggiunti sono limitati a 30 mg./l, per tutti i tipi di vino, dai rossi ai liquorosi.
Un’autorità esterna controllerà il rispetto di tutti i requisiti prescritti. La denominazione avrà una validità di tre anni.
E’ prevedibile che questa nuova denominazione, aldilà della sua limitata applicazione iniziale (si parla di un migliaio di ettolitri per cominciare), avrà successo e che analoghe iniziative potranno essere assunte in altri paesi. Anche in Italia?