Il vino dell’antica Pompei? Lo fanno in Langa!5 min read

A fine del 2020 ha sollevato scalpore mondiale il ritrovamento, in quella cava delle meraviglie che è Pompei, di un termopolio, ovverosia di una “tavola calda” dell’epoca, in pressochè perfetto stato di conservazione. Con tanto di bancone, dolia, pitture, graffiti, anfore e contenitori sui resti organici individuati in fondo ai quali si va ancora indagando.

Sui gusti e le abitudini enogastronomiche degli antichi romani, del resto, la curiosità è parecchia e di informazioni, più o meno attendibili, ne circolano molte da sempre.

Mesi prima però aveva attirato la mia attenzione anche un’altra notizia, meno importante ma non meno curiosa, che mi è stato facile ricollegare a quella della scoperta pompeiana.

Avevo saputo infatti che a Novello, insomma nel Piemonte langarolo e barolista, c’era un archeologo-sommelier che, filologicamente, non solo aveva provato a fare il vino come ai tempi dell’Impero Romano, ma lo aveva imbottigliato e messo in commercio. Si chiamava Simone Tabusso.

Così mi sono fatto mandare due bottiglie e abbiamo fatto due chiacchiere.

L’incipit è da mandare in sollucchero gli amanti del latinorum: “Nella Gallia cisalpina, regio IX, a poche miglia da Alba Pompeia, quattro anni fa iniziai le ricerche per la mia tesi di laurea sulla produzione del vino in età romana, dal titolo ‘Dalla vigna alla cantina: alcuni aspetti della produzione vinicola in Gallia Narbonese’. Seguirono – racconta Tabusso – studi e traduzioni delle fonti latine degli agronomi antichi come Catone, Columella, Varrone e altri, che celavano i segreti della produzione e della conservazione dell’antico vino romano, il quale veniva aromatizzato con erbe e spezie naturali per permettere una durata maggiore nel tempo, ovviando così alla mancanza di solfiti. Dopo due anni di prove di vinificazione ho aperto un’impresa di produzione dell’antico vino romano”.

Le tipologie riportate ai nostri giorni da Tabusso sono due: il Purpureum e l’Aureum. “Il primo è un rosso da abbinare a dessert e formaggi stagionati, ma che gli antichi romani utilizzavano per la gustatio, il nostro aperitivo. Il secondo è un bianco aromatizzato col defrutum (mosto cotto) e una miscela di erbe e spezie. E’ un vino secco che si abbina bene ad aperitivi, primi piatti aromatici, secondi di pesce e carni bianche”.

Tabusso in azienda ha creato anche un percorso museale in cui è possibile ammirare la riproduzione di una cantina romana con torchio, anfore e botti.

“I vitigni che ho utilizzato sono la Barbera per il Purpureum e l’Arneis per il bianco: le fonti antiche non citano espressamente i vitigni utilizzati, ma per caratteristiche organolettiche questi mi sono sembrati i più adatti”, racconta l’archeologo-vignaiolo. “In vigna ho utilizzato invece il metodo biologico, per avvicinarmi il più possibile alle pratiche del mondo antico”.

Le difficoltà maggiori?

Quelle burocratiche: essendo addizionato di aromi e spezie per la legge il mio non può essere chiamato vino, ma ‘bevanda aromatizzata a base di vino’ (cfr Reg. Ue N. 251/2014). Inoltre per la produzione ho dovuto dotarmi di  una cantina totalmente separata rispetto a quella per la produzione convenzionale per non contaminare i prodotti”.

Risultati commerciali?

“Siamo all’inizio perchè la prima uscita è stata nel 2019 e sicuramente il covid non ha agevolato il lavoro di comunicazione e di conoscenza del prodotto, che si appoggia molto sulle opportunità di visita esperienziale in cantina. Tuttavia siamo presenti su alcune enoteche del Piemonte e abbiamo aperto un’e-shop sul nostro sito per la vendita in tutta Europa. Il prezzo delle bottiglie al pubblico è di 15€.”

Tecnicamente come funziona la produzione?

“Il prodotto è stato realizzato in inox come primo anno, perchè l’intento era quello di concentrarsi sull’aromatizzazione. In futuro verrà realizzato in coccio. Per quanto riguarda l’invecchiamento, sono state fatte delle analisi da parte di enologi che hanno messo in evidenza che il prodotto può essere conservato tranquillamente per 6/7 anni in bottiglia. Tuttavia, essendo appunto tutto nuovo, bisognerà valutare strada facendo l’evoluzione del vino”.

In pratica è un prodotto multidisciplinare.

Sì, infatti io non sono un tecnico, ma solo un sommelier e un appassionato di vino. Durante le prove mi sono però appoggiato a un amico enologo. Le tecniche di produzione e i macchinari utilizzati, tipo pigiadiraspatrici, sono moderni perchè purtroppo l’asl mal volentieri accetterebbe una pigiatura fatta con i piedi in vasche di cocciopesto. Per l’aromatizzazione però i miei vini seguono fedelmente le fonti degli agronomi latini: ho utilizzato gli stessi ingredienti descritti e, dove è stato possibile recuperarle, anche le unità di misura. In antichità queste tipologie di vino venivano definite vina condita, cioè appunto vini aromatizzati”.

Non c’era il rischio che un vino antico riprodotto “filologicamente” risultasse sgradevole ai palati moderni?

In realtà non ho utilizzato espedienti particolari per rendere i prodotti adatti al nostro gusto, anzi ho voluto rispettare le indicazione delle spezie e degli aromi nel modo più fedele. L’unico artificio è stata la filtrazione, per rendere il vino più limpido”.

E l'”archenoturismo” come funziona?

“A Novello, con mia madre, abbiamo Villa Anselma, con tre appartamenti per vacanze. A un anno dall’esordio il riscontro del pubblico è positivo. Principalmente lavoro con le degustazioni nella storia, come le chiamo io: ho creato un percorso museale che riproduce una cantina di 2000 anni fa, con le varie tipologie di torchio, le anfore, la riproduzione di una popina, cioè il bancone delle taverne, anche se in una versione più modesta di quella ritrovata a Pompei, e pure il rifacimento di un letto tricliniare su cui ci si può sdraiare per provare a sorseggiare una coppa di vino come gli antichi. Il percorso si conclude con una vera e propria degustazione organolettica del vino”.

Ed eccoci all’assaggio.

Purpureum, bevanda aromatizzata a base di vino, 12,5°

Di colore rubino brillante, caldo, non carico. Al naso rivela subito un intenso sentore mielato (principalmente di castagno) che poi si evolve lungamente in resina, china, rabarbaro, pot pourri di macchia e si chiude con note di nocciola.

In bocca è dolce e caldo ma non stucchevole, ben equilibrato, con la melata di castagno e il mirto in evidenza e un lungo ritorno nocciolato al retrogusto.

Aureum, bevanda aromatizzata a base di vino, 12°

Di colore praticamente arancione, brillante. Al naso è intenso e penetrante, con il miele in evidenza su un tappeto melangiato di note macerate, spezie, frutta a polpa gialla matura e un lieve accenno balsamico.

Al gusto è appena abboccato e un po’ ruffiano, ma preciso, composto non invadente, molto pulito e piacevole.

Tutto considerato, è proprio il caso di dirlo alla latina: prosit!

Stefano Tesi

Stefano Tesi, giornalista professionista, scrive per vari giornali italiani di gastronomia e viaggi. Il suo giornale online è Alta Fedeltà.


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