Il vino al tempo di Cetto Laqualunque4 min read

Giusto qualche giorno fa il nostro amatissimo KapoMacchi ha scritto uno sfogopost, riprendendo il tema di un altro sfogopost precedente, scritto da Angelo Peretti.

Entrambi i post mettevano in luce il divario tra giovani-anziani, se così si vuole semplificare, nel loro rapporto con il mondo del vino. Da una parte bevitori di etichette, web influencer e mere esibizioni di bottiglie bevute come fondamento della comunicazione enoica, dall’altra invece approfondimenti, storie e racconti legati ai vini, frutto di un approccio meno superficiale, e forse anche più emozionale.

Penso possa essere utile aggiungere a questo tema anche qualche mia impressione, mutuata negli ultimi anni dove il confronto generazional-vinoso si è fatto più evidente.

Mi pare acclarato che oggi il panorama editoriale enoico italiano su carta stampata sia sotto la soglia della povertà. Le titaniche tirature del Gambero Rosso sono un lontano ricordo, tra l’altro lo spazio dedicato al vino oggi è quasi scomparso: Spirito Divino e Civiltà del Bere non coprono nemmeno tutte le 8.000 edicole italiane. Se abiti in provincia e ne vuoi una copia, devi ordinarla e attendere quella del mese dopo.

Un giovane italiano non può disporre, al contrario dei suoi coetanei francesi, inglesi e spagnoli, di un buon parco di riviste, supportate da redazioni formate da professionisti con dei mezzi a disposizione per realizzare servizi, inchieste, approfondimenti etc etc. Non può contare, quindi, su un solido substrato cartaceo da cui attingere per arricchirsi sull’argomento e crearsi una sua biblioteca.

In Italia le riviste sul vino non vendono e la risposta al perché mai l’italiano non sia disposto a spendere per l’informazione vinosa è un mezzo mistero. Resta solamente il caotico web. E web sia, allora, tanto, non è il mezzo che fa la qualità.

L’informazione digitale ha dato la possibilità a tutti di scrivere, e questo è un fatto positivo, ma al contempo ha reso più difficoltoso separare il grano dal loglio, la fake new dalla novità, la marchetta dall’approfondimento.

Il risultato di questa trasformazione editoriale è il proliferare di blog sul vino, che ognuno in pochi passaggi può aprire e immettervi le proprie considerazioni. E sovente al lettore viene negato l’approfondimento sulle realtà vitivinicole, in favore di un eccesso di esternazioni personali e personalistiche, ben lontane dall’idea di redazione e di lavoro collettivo.

Riflettevo su questa situazione, sulla palese mancanza di Quantitave Easing vino-cartaceo, sollecitato dai due post di Carlo e Angelo mentre ripensavo con una puntina di nostalgia ai bei tempi andati.

Con ritardo senile anche il sottoscritto si è accorto della sperequazione esistente, il cui risultato più evidente, e qui parlo della mia regione soprattutto, è che tante aziende storiche che hanno fatto e fanno tuttora vini di grande qualità, oggi sono finite in una zona di ombra mediatica.

Sotto i riflettori del web e dei social, ci sono molti più post, selfie, e news che parlano di aziende semisconosciute, con produzioni marginali e poco significative. È l’effetto del “siamo tutti giornalisti e winescout” e forse è anche più semplice visitare lo sconosciuto che ti accoglie a braccia aperte che non lo sgamato produttore, che magari chiede pur blande referenze (tipo “Per chi scrive?)

Inoltre fa più notizia e solletica l’ego di chi posta o scrive se si parla di aziende poco note o sconosciute. E’ una leva che agisce sul “questa l’ho scoperta io per primo”, quindi sono un talent scout, una Maria De Filippi in salsa vinosa.

Ma così facendo questi enoblogger non rischiano a loro volta di essere divorati dagli appetiti che essi stessi hanno contribuito ad alimentare? La storia enoica di una regione, la sua notorietà, la si deve soprattutto a quelle aziende che per prime hanno iniziato a fare vini di qualità. Aziende che oggi, solo per il fatto di essere già state scoperte in tempi non sospetti, rischiano di essere ignorate dai nuovi enoblogger, che a loro preferiscono postare foto di bottiglie sconosciute oppure famosissime, cercando like e follower.

Ma non è forse la maniera corretta di iniziare ad occuparsi di comunicazione del vino quella di costruirsi dei solidi fondamentali? Quindi il viaggio e lo studio non solo in nuove realtà ma anche di quelle che hanno fatto storia, il confronto, la visita in vigna, in cantina e la degustazione invece che rincretinirsi di selfie o  intasare Instagram..

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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