Il venditore di vini di Aleppo3 min read

Ad Aleppo c’era e spero ci sia ancora forse l’unico commerciante-produttore di vino della Siria e quando leggo frasi come “Oramai le strade di Aleppo si assomigliano tutte: arate dalle bombe con cumuli  di macerie ovunque” mi si  chiude lo stomaco.

A maggior ragione perché non riesco a ricordare il nome di quell’uomo che con grande gentilezza si fece intervistare, né quello di suo figlio, che ogni tanto faceva capolino per capire cosa volesse quel giornalista occidentale.

Avevano il negozio non lontano da Baron’s Street, la via dell’omonimo hotel dove Lawrence d’Arabia si fermava a dormire e dove Agatha Christie scrisse “Assassino sull’Orient Express”.

Era il 2006 ed avevo accettato l’invito a visitare la Siria con la motivazione ufficiale di poter conoscere qualcosa sulla piccolissima ma storica realtà enoica siriana. Una volta arrivato a Damasco capii subito che tra il dire e il fare c’era di mezzo il mare di una stato che non voleva propagandare il fatto di essere comunque (con due aziende agricole) il più grande produttore di vino siriano. Ma a forza di chiedere riuscii, quasi alla fine del viaggio, ad avere un appuntamento con quello che mi presentarono come “uno dei pochi che vende vino e forse l’unico che lo produce”.

Mi ricevette nel suo piccolo negozio, dove accanto ad alcune etichette di vino facevano bella mostra di sé bottiglie di un liquore d’anice modello Pastis ( la bevanda alcolica nazionale) e alcuni superalcolici esteri. Dopo la visita di rito mi accompagnò al piano di sopra, in ufficio. Avevamo iniziato a parlare in inglese ma dopo un po’ mi chiese di passare al francese, quella che per lui era la vera lingua del vino.

Esordii con una stupida battuta che lui mi volle perdonare. Dato che la Siria allora era definito da Bush uno degli “stati canaglia” gli chiesi se poteva definire il vino siriano un “vino canaglia”. L’unica conseguenza a questa battutaccia fu appunto il chiedere di passare al francese. Purtroppo la canaglia i siriani c’è l’avevano in casa, il mostro era tra loro ed oggi sta chiedendo il macabro tributo.
In Francese mi parlò delle poche zone enoiche siriane, tutte a più di 800 metri di altezza, delle uve coltivate (praticamente due…rosse e bianche, l’ampelografia non esiste) e di un mercato che non arrivava a più di 200.000 bottiglie all’anno. Mi parlò anche delle difficoltà di vendere un prodotto del genere in Siria, facendomi però capire con un mezzo sorriso che i canali giusti per poterlo fare c’erano e lui li conosceva tutti.

Come accennato non solo vendeva vino, ma la sua famiglia lo produceva da 125 anni. Prima in Libano, da dove provenivano e poi su un altipiano a nord di Aleppo, ad un’altezza di 1150 metri. Mi fece assaggiare il suo bianco, un vino onesto, non molto profumato e di medio corpo, parlandomi dei viaggi che qualche anno prima aveva fatto in Siria addirittura il professor Glory.
In questa che dovrebbe essere una giornata di digiuno e di riflessione sulla tragedia della guerra civile siriana, io invece alzerò il calice e brinderò all’enotecario-produttore di cui non ricordo il nome e alla sua famiglia, sperando che la guerra li abbia risparmiati. Magari in questi stessi  momenti, nella loro cantina lontano da Aleppo,  stiano svinando il vino del 2013. Quando la morte è di casa anche un vino che nasce è fonte di speranza.

Caro amico, spero un giorno di poter alzare un calice del tuo vino e brindare con te in un Aleppo tornata ad essere quella meravigliosa città da me conosciuta.

 

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N.B. Ho scelto di nascondere i volti delle foto perchè in un momento del genere forse anche vendere o aver venduto alcolici può essere fonte di pericolo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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