Il tragitto personale con il vino5 min read

Dai sedici anni in su ho avuto una vita assai libera e ho cominciato a farmi le mie esperienze abbastanza presto.
Il patto col babbo l’aveva stabilito lui: “Te fai come ti pare: vai  a scuola, non andarci, studia tanto, studia poco, a me interessa solo che tu sia promosso e bene, e io ti permetto quello che vuoi. La prima volta che vai a settembre vai a lavorare.” Era troppo forte il babbo,  perché poi manteneva quello che diceva. Nel bene e nel male.

E io ebbi una vita – non solo scolastica – che dire movimentata è come paragonare una brezza marina ad un tornado. Però venivo promosso e il babbo non mi diceva niente. Salvo una volta che fui rimandato a settembre e quell’estate andai diritto a lavorare in padule a cambiare i tubi dell’irrigazione per il granturco.

Fu in quell’epoca che iniziai a fare dei programmini tutti speciali per il fine settimana. Dicevo che andavo a studiare dal mio amico Sabatini, figlio del capo pesca al lago del Chiarone presso la stazione di Capalbio, dove però ci sono andato e fermato una sola volta.
Le altre volte andavo direttamente a Roma e, a rifarsi dalla stazione Termini per arrivare a Caracalla, mi sono fatto la mia brava gavetta. Tutto da solo.

Ora uno può anche pensare al peggio, insomma a quelle così li, e farebbe bene perché era proprio così. Ma siccome quelle non durano 36 ore, il tempo rimanente lo passavo in trattorie romane a sperimentare ristorazione e vini.
Per me era come un’attrazione fatale. Prima passavo davanti alla trattoria e la studiavo dal di fuori. Cercavo di capire che ambiente era, quanto avrei potuto spendere, che gente la frequentava. E poi, deciso e con aria consumata, entravo e mi mettevo a sedere. E vedere che un cameriere veniva da me e mi chiedeva: “Cosa vuol mangiare signore?” io che all’epoca avevo sui sedici diciassette anni ma ne dimostravo di più, mi faceva arrivare al settimo cielo. Più che altro mi sembrava di interpretare un film. Studiavo con attenzione come si comportavano gli altri, che piatti chiedevano, che vino ordinavano, insomma cercavo di esplorare la situazione e poi passavo all’azione.

Amatriciana, spaghetti alla chitarra, abbacchio allo scottadito, puntarelle, son rimasti i punti di partenza delle mie escursioni nella cucina romana. Mentre per il vino rimasi fulminato da una bottiglia tutta particolare. Si trattava di un vino bianco in una bottiglia con la panciotta racchiusa in una sottile rete a maglie romboidali. Di questo vino ricordo bene il produttore: Fontanafredda.  In pratica era, e forse lo è per discendenza, il Terre dei Grifi in versione con la reticella. Era un vino fresco, gradevole e che invitata a bere. Poi per contrastare i piatti saporiti della cucina romana era un portento. In pratica è stato il primo vino bianco che ho amato.

Dalle nostre parti in Maremma, una grande cultura del vino non c’era e di grandi vini non se ne vedeva praticamente nemmeno l’ombra. Ma io continuai a cercare di combinare qualcosa da solo e con gli amici. Ma con pena, con molta pena. Si andava a bruzzico (quasi a caso, n.d.r.) comprando nell’enoteca di Via San Martino, ma a sentire lui erano tutti buoni. Si comprava un po’ in qua e in là per provare e qualche volta andava bene, qualche volta i risultati erano quelli che erano: sperimentazioni.
Ricordo che già quasi adulto, facevo la Fiera di Verona, quella agricola. Lì si poteva sperimentare parecchio. Così una sera in un ristorante ordinai per accompagnare il mio solitario pranzo una bella bottiglia dal seducente nome di Amarone. Prima di allora, mai coverto.

Non me ne pentii, la bevvi tutta, da solo, e andai a letto bello caldo e soddisfatto.

 
Negli anni ’70 ho frequentato anche il primo livello dell’A.I.S. che mi è stato di notevole aiuto, anche perchè prima non sapevo praticamente niente, suonavo tutto a orecchio.

La svolta vera è stata nei primi anni 90 con un Gioco del Piacere di Slow Food. La serata si svolgeva a Punta Ala, erano di scena i bianchi del mondo e io rimasi folgorato sulla via di Damasco.

Tavola apparecchiata con competenza e completezza, bicchieri belli, grandi, slanciati, tutti li davanti. Ognuno di noi ne aveva cinque per il vino e uno per l’acqua. Il tutto dava uno spettacolo incredibile, che avevo sognato una vita. E tutto sommato imparai molte cose quella sera. Per puro caso, dopo aver votato, mi accorsi che avevo votato esattamente come il mio vicino di tavolo che allora era per me un illustre sconosciuto. Si trattava di Luciano Lenzi, famoso e bravissimo enotecaro nel centro di Castiglione della Pescaia. Fu l’inizio di un’amicizia stupenda che tutt’ora vive. Lui rossista integerrimo, io bianchista dell’ultim’ ora, così ridotto dai vini rossi da concorso, quelli per le guide degli anni ’80 e ’90: grossi, pesanti e quasi superalcolici. La serata era stata condotta quella volta da Clara Diviza allora fiduciaria Slow Food per la zona.
 
Da allora mi sono intrigato sempre di più con i vini e con Slow Food. In quell’epoca ero direttore presso l’Azienda Agraria Meleta di Roccatederighi dove, oltre a produrre i migliori piccioni d’Europa, a tutt’oggi insuperati per qualità, si produceva anche del discreto vino.

Fu così che entrai in contatto per la prima volta con un dirigente di Slow Food, che mi chiese il vino per una loro Guida Internazionale. Il tipo aveva una melodico e gradevole accento tra il senese e il fiorentino, una testa a uovo tutta pelata, ma doveva esse stato un biondo rosso al tempi dei capelli fluenti. Aveva uno sky line inconfondibile con due specie di maniglie da frigorifero ai lati della testa, ovvero delle orecchie dall’inconfondibile design tipo Star Trek. Ora fa un giornale telematico e ama far dello sport acquatico sul vino.

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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