Il Tartarante: ovvero della troppa lentezza a ristorante.2 min read

Non so voi ma io vado a ristorante sempre meno volentieri: non tanto (ma anche) per quello che si mangia ma per le attese snervanti tra un piatto e l’altro. Questo non succede nelle trattorie rabberciate ma soprattutto nei ristoranti di livello, diciamo da una stella Michelin (o 15/20, o 80/100) in su. E non quando il locale è pieno ma anche quando è mezzo vuoto. Oramai pare che si sia arrivati a scambiare l’ospitalità con verbosa amicalità; il servizio curato con lentezza disarmante, i menù di quattro-cinque portate in telenovele inframezzate da pre-antipasti, pre-dessert, pre-caffè etc etc. La cosa può andar bene per chi vuole tirare a far tardi, ma ci sono tanti che vorrebbero mangiare con un certo ritmo e non farsi scorpacciate d’aria tra un piatto e l’altro.Forse è anche colpa di noi giornalisti, che abbiamo paragonato alcuni chef di rango ad artisti di fama mondiale. L’artista ovviamente si prende tutto il tempo che vuole e come lui fanno anche tutti gli altri pseudo artisti, spesso sdoganati dalle guide di settore. Vi giuro che rimpiango l’osteria dove, quasi prima di sederti ti portavano la trippa o il minestrone. Oggi ti siedi ed inizia la manfrina a base di attese, paroline dolci, aperitivi, pre-antipasti, vino che deve essere messo in fresco o cercato in cantina con tempi da scavo etrusco. Tutto questo sotto l’egida e la benedizione papale che abbina il ristorante di livello ad uno spettacolo di arte varia (spesso purtroppo è una tragedia!!!) che si svolge con tempi giustamente (per loro) pachidermici. Scusate, sarò in controtendenza ma lo voglio gridare

“Mangiare bene non vuol dire mettere radici a tavola!” . Noi italiani, che abbiamo creato il piatto più fast del mondo, la pizza, che per secoli ci siamo sfamati in locali che erano la quintessenza del pasto sostanzioso e rapido (le osterie), ora siamo diventati preda di bradipi travestiti da ristoratori.

Se Slow Food è un’associazione degna di lode oramai LO “slow food” rischia di ucciderci di noia. Non siete d’accordo che anche il piatto più buono si mortifica e si perde se diluito in attese sconfortanti e defatiganti? Oramai quando esci da molti ristorante “di livello” ti senti come Dante quando uscì “a riveder le stelle”.

Per questo faccio una proposta. Cari ristoratori: nei vostri bei menù mettete un tempo massimo di servizio (ovviamente adeguato ai menù) e per prima cosa chiedete all’avventore se vuole che si rispettino certi tempi (non solo totali ma anche tra una portata e l’altra). Se il cliente vi da carta bianca usate pure tutte le lentezze del caso, ma in caso contrario dovete mantenervi nei tempi o pagare dazio (il 30% del conto potrebbe andare???).

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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