Il piatto per cui potrei uccidere e quello che proprio non sopporto-24 min read

E ora dopo una dolorosa scrematura:

 

Fegatello di maiale

Come tutti i capolavori deve avere certe caratteristiche che vanno al di là degli usi locali. Per esempio la grandezza che non deve essere mai inferiore a quella di un piccolo limone. La cottura che deve essere al rosa, non un pelo di meno e non un pelo di più. Poi gli aromi variano assai da zona a zona, io sono per la versione della bassa Maremma – alto Lazio, per cui il finocchio (in semi ma anche in fiore) c’è con una marcata presenza, magari contrastato da un foglia d’alloro.

Oramai quasi introvabili quelli fatti nello strigolo anziché nella ratta (o rete). Quelli con la ratta forse più delicati, quelli con lo strigolo più adatti alla lunga conservazione sotto strutto. Lo strigolo opportunamente aperto diventa una tasca dove alloggiare il fegatello. La chiusura si fa con i lembi estremi dello strigolo e non c’è quindi bisogno di fermare con lo stecco di finocchio.
lo "strigolo" è quella parte sottile che lega le budella e le interiori.

Ci bevo rosso, toscano, giovane.

 

 
Catalana di Crostacei

Resisto a tutto fuorché le tentazioni. Ogni volta che vado in un certo locale, uno dei migliori di tutta la Toscana, mi riprometto di assaggiare uno dei tanti piatti di pesce che vengono preparati. Quindi assaggio di volta in volta tutta la gamma degli antipasti, dei primi, e poi leggo tutte le preparazioni del pesce e infine inevitabilmente ordino una catalana di crostacei.
Può apparire un piatto “esibizionista”, può essere additato come un piatto fin troppo ricco, con i suoi meravigliosi scampi, con i superbi gamberi, con l’inarrivabile astice blu del nostro mare, ma c’è anche tutta una serie di croccanti e coloratissime verdure e un olio che è veramente come una benedizione.

Ho scoperto questo piatto con il Piere Sauvignon di Vie di Romans, e non ho mai osato cambiare musica.

 

 

Grand plateau di frutti di mare

Frutti di mare, ovviamente, ma di quelli esagerati (non ci priviamo del superfluo): vi si può trovare anche lumache di mare, ricci, gamberetti, granchi e compagnia bella. La parte del leone spetta ovviamente alle ostriche nelle loro diverse forme, tipologie e diversità di affinamento. Tanto che gli altri ingredienti sono quasi di supporto a loro. È un tripudio di  profumi e di sapori marini. Un invito a bere un buon bicchiere di bianco.

Non necessariamente uno Champagne, ma anzi uno dei diversi Muscadet francesi, magari un  Muscadet de Sèvre-et-Maine. Questo vino sembra nato per esaltare il sapore delle ostriche.
Un piatto e un vino indimenticabili.

 

 

Piccione

 

Per chi lo sa forse è una nenia, ma io lo devo sempre dire: sono nato sotto la piccionaia di fattoria e per cui mi sento autorizzato a dire che sono nato sotto il segno del piccione. Poi per i vari casi della vita ho diretto uno dei più grandi allevamenti di piccioni d’Europa, con tanto di mattatoio dedicato. Ne ho mandati a decine e centinaia di migliaia in tutta Italia e in mezza Europa. Dicevano che erano i più buoni di tutti gli altri, e credo avessero ragione. Qui su Winesurf qualche tempo fa ho raccontato questa storia.

Chiaro che con quell’abbondanza di materia prima, con il fatto che ho sempre amato la carne di piccione, ho avuto la possibilità di declinare questa carne nei più svariati modi. Poi quelli dei vari chef che li avevano nei loro menu, e poi con prove più casarecce.

Certo dopo avere assaggiato il nostro piccione cucinato da Fulvio Pierangelini c’era di che disperarsi: come faceva a farli diventare un mangiare divino? Non meno succedeva assaggiandoli nei piatti dell’Enoteca Pinchiorri, da Arnolfo o da Caino. Limitandomi ai più noti in Toscana.

 

Dopo tutte queste prove e riprove la conclusione è una sola: il piccione è buono in qualsiasi modo venga cucinato. Causa la mia non verde età  una certa evoluzione dei gusti e delle preferenze, anche il piccione lo preferisco in cotture semplici, senza tante salse salsine o salsette. Dirò di più, ultimamente li faccio in una griglietta elettrica casalinga e in venti minuti sono pronti da mangiare. Attualemnte penso che siano i più buoni che sia possibile mangiare.

Quindi per questo piatto non c’è nessuno da uccidere, se non il piccione, e di conseguenza non lo posso mettere al primo posto.

Il vino. Dopo lunghe e ripetute prove sul campo il risultato è per certi versi sorprendente.

Il vino che più mi piace bere con questa stupenda carne, soprattutto nella versione arrosto, è il Pinot Nero. Ma visto il luogo dove scrivo e la qualità di critici che vi trafficano, non ci provo nemmeno a dire il perché…..(segue)

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE