Il piacevole e facile teorema del Ruché di Castagnole Monferrato4 min read

Per me e credo per molti l’algebra è una della cose più complesse che esistano. Non per niente di fronte a un qualcosa di veramente complicato si dice “Questa è algebra!”

Nel mondo algebrico il teorema di Rouché (dimostrato assieme al professor Capelli, per precisione) è una delle cose più complesse che esistano.

Se invece passiamo dall’algebra al vino e ci mangiamo una “o” arriviamo al Ruché, che  è proprio l’opposto di un vino complicato. Me ne sono reso conto di persona circa due settimane fa quando ho guidato due degustazioni con i vini dei produttori dell’Associazione del Ruché di Castagnole Monferrato.

In una regione marcata da vini rossi importanti, da vitigni blasonati a livello planetario, il Ruché spicca come una mosca bianca (pardon rossa) per caratteristiche indubbiamente uniche ma che  non puntano certo nella direzione dei vini da lungo invecchiamento.

Nasce in sette comuni del Monferrato alle porte di Asti e anche dal punto di vista degli ettari è un vaso di coccio tra vasi di ferro, ma  piano piano sta prendendo sempre più campo, tanto che l’imbottigliato è arrivato da poco al traguardo del milione di bottiglie.

Ammetto che fino a quindici giorni fa del Ruché conoscevo pochissime aziende e anche se l’avevo assaggiato diverse volte, la prima più di venti anni fa, per me era semplicemente un vino dai profumi intensi e particolari, una specie di Gewürztraminer rosso, un qualcosa di “strano” nel mondo dei vitigni  a bacca rossa,  dove non riuscivo a trovargli una posizione  e per di più era di difficile abbinamento. La comunicazione ufficiale non mi aiutava certo, perché di solito si puntava esclusivamente sulla parte aromatica del vino per arrivare ad abbinamenti esotici con piatti piccanti, speziati, magari di provenienza asiatica.

Insomma, mi ero fatto una bella serie di pregiudizi che l’assaggio ( in realtà non solo assaggio, qualcuno l’ho anche bevuto, ma ne parlerò dopo) di un bel numero di Ruché di Castagnole  Monferrato DOCG ha fatto sciogliere come neve al sole di questi giorni.

Per parlare dello “scioglimento dei pregiudizi” non  partiamo dai profumi, che sono il suo cavallo di battagli, ma dalle sensazioni gustative che mi hanno veramente sorpreso.

Alcune delle etichette di Ruché in degustazione

Immaginavo (magari in passato a ragione) il Ruché un vino piuttosto piatto al palato, con un’acidità bassa e un tannino ruvido e pungente “di contorno”, ma gli assaggi hanno rivelato prima di tutto una insospettabile freschezza affiancata da  un tannino netto, ben marcato,  in qualche caso magari un po’ verde ma che, come ogni rosso che si rispetti, ha bisogno di almeno un anno per  diventare più abbordabile, vellutato e rotondo.

Me ne sono accorto nelle due degustazioni, dove erano in campo vini del 2021 e del 2020: in entrambi i casi i partecipanti hanno decretato che i 2020 erano i vini più piacevoli anche se i 2021 erano più pieni e potenti.

Ma indubbiamente sono i profumi quelli che realmente colpiscono e impressionano nel  Ruché: si parte dal registro floreale, dove rosa e viola comandano, per passare ai frutti di bosco, alla ciliegia arrivando fino a note speziate con fini note di pepe. Tutto questo nel vino giovane ma anche dopo 1-2 anni la situazione è praticamente la  stessa.

Tutto questo l’ho ritrovato, in maniera più o meno intensa, con caratteristiche più o meno diverse, in praticamente tutti i vini che ho assaggiato, cioè quelli delle quindici cantine che partecipavano alla festa del Ruché di Castagnole Monferrato: questo vuol dire che oramai la qualità media è piuttosto alta e ben suddivisa tra i vari produttori che, cosa molto importante, stanno formando un bel gruppo coeso, che è alla base per far crescere un territorio.

Ma la cosa che mi ha fatto ricredere definitivamente è stata  la “prova agnolotto”. Sia a pranzo che a cena ho avuto in tavola piatti della tradizione piemontese, per esempio gli agnolotti e i tajarin al ragù per passare alla carne cruda battuta al coltello e con questi piatti i Ruché ci stavano a meraviglia. Altro che abbinamenti cervellotici, questo vino sta benissimo con i piatti della tradizione piemontese e non solo: magari non con un brasato ma con decine di antipasti e di primi si può abbinare benissimo, senza che i suoi profumi surclassino il piatto, ma anzi sposandone gli aromi.

In definitiva il Ruché non è oramai più un “fenomeno” ma una certezza e come tale va considerata, anche perché, tornando all’inizio e entrando nel campo, piacevole e per niente complesso dell’algebra enologica, il Teorema del Ruché è molto semplice:

 intensità aromatica x semplicità di beva / buon corpo x freschezza   =  Ruché di Castagnole Monferrato

 

 

Si ringrazia Lavinium per la mappa messa gentilmente a disposizione.

La foto di copertina è tratta da un vecchio manifesto del Ruché, dove il vino era ancora DOC.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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