A chi non è mai capitato di sorseggiare un calice di vino non particolarmente buono ma di averlo trovato piacevolissimo perché bevuto in buona compagnia e di fronte ad un paesaggio da sogno? O viceversa di non aver apprezzato a dovere un vino splendido solo perché “distratti” da una discussione di lavoro o perché bevuto in condizioni non ideali? E così la quarta edizione della rassegna estiva enomusicale ideata da Clavesana Siamo Dolcetto, che si è svolta dal 8 al 10 luglio è stata incentrata sull’importanza del paesaggio nell’economia enologica.
E se per parlare dei loro Dogliani e Dolcetto vari, di bollicine sperimentali, di Barolo e Barbera è bastato ritrovarsi il venerdì sera a cena, e se per parlare di vigne bastava guardarsi intorno, per parlare invece di Tanaro e calanchi (cioè del paesaggio) siamo stati accompagnati il sabato mattina da un simpatico giovanotto, entusiasta guida e maestro di rafting, in una divertente escursione in gommone sul Tanaro.
Devo dire che vedere da un’altra prospettiva il territorio dove nasce un vino, vedere calanchi di vario colore che tradiscono una diversa concentrazione di argilla, percepire l’umidità sulla pelle, pagaiare su un fiume che avevi visto solo sui libri di geografia, annusare i profumi della vegetazione, ti fa percepire fino in fondo il “terroir” del posto.
E questa percezione sensoriale è stata affrontata e spiegata nel convegno in programma per il sabato pomeriggio da Clementina Palese e Valeria Fasoli, rispettivamente giornalista e agronoma in rappresentanza dell’Associazione Donne della vite. Loro ci hanno parlato infatti della relazione tra il paesaggio rurale e la qualità percepita nel vino.
A fianco Roberto Cerrato della Commissione Nazionale Unesco ci ha invece ricordato come sia importante il mantenimento delle caratteristiche storiche anche nelle costruzioni di nuove cantine o nelle ristrutturazioni di vecchi poderi, per rendere i luoghi riconoscibili, caratteristici e tradizionali tanto da poter identificare subito un vino con quel territorio o viceversa. Ci ha anche detto di quanto questo possa essere importante ai fini enoturistici sia per gli appassionati del genere sia economicamente per gli operatori di settore.
Al termine del convegno è stato possibile testare l’esperimento ideato dall’Associazione Donne della vite e proposto all’ultimo Vinitaly. Degustazione alla cieca di cinque calici di vino di fronte ad un computer che guidava la degustazione proponendo diverse immagini in abbinamento al vino e formulando alcune domande sul vino che si stava degustando.
Il risultato, ci hanno detto poi, è stato lo stesso ottenuto a Verona, cioè che siamo fortemente influenzati da immagini belle o brutte mentre si degusta. Sono infatti risultati più apprezzati vini dozzinali degustati godendo dell’immagine di una bella vigna o di una bella cantina mentre sono stati penalizzati vini di qualità superiore degustati guardando immagini di vigne con tralicci metallici per l’elettricità o cantine in mezzo a capannoni di aree industriali.
Però, e tutti ce lo aspettavamo, sono risultati più influenzati gli appassionati rispetto agli operatori del settore, essendo questi ultimi per professione abituati a concentrarsi sul vino senza essere disturbati dall’ambiente circostante.
Ma dato che poi sono gli appassionati che comprano il vino e decidono il mercato, è ancora una volta emerso come i produttori debbano tener conto di quanto “l’occhio voglia la sua parte”.
Tutte queste considerazioni post convegno sono state fatte durante l’aperitivo al tramonto con i vini di Clavesana e un cocktail a base di dolcetto chinato e spumante brut, che ha preceduto il concerto rock di Dan Stuart.
E se, per quanto detto finora, vi viene da pensare che il mio giudizio sui vini di Clavesana sia stato fuorviato dall’atmosfera circostante, vi rassicuro: domenica mattina abbiamo degustato in una aula della ex scuola elementare, non c’era bella musica e nemmeno un bel tramonto. Il protagonista era il vino e il vino ha vinto su tutto il resto. Buono era e buono è rimasto!