Il “Nuovo Mondo” del Pinot Nero può anche deludere5 min read

La delusione che si può provare bevendo un vino è direttamente proporzionale alle aspettative che il proprio pensiero si è costruito al riguardo. Ma come si forma un pensiero su un vino? In primis su quello che si è letto al riguardo naturalmente.

Per questo e per altri motivi bisognerebbe sempre ringraziare coloro che sono in grado di arricchirci. Ad esempio tutta la categoria dei giornalisti, sottoscritto escluso, per i cui contributi intellettuali e di conoscenza però nessuno ha voglia di pagare un misero penny.

Riguardo al mondo del vino, ho sempre nutrito un certo interesse verso i vini del cosiddetto “Nuovo Mondo” e in quest’ultimo periodo sto cercando di capire come il Pinot Nero venga interpretato in Australia, Cile, Nuova Zelanda e Sud-Africa. Dopo averne bevuto una modica quantità (per non incorrere in sanzioni) qualche idea me la sono abbozzata anche se sinora non ho provato una grande soddisfazione.

Forse a causa di come si è formato il mio gusto (e la mia idea) sul Pinot Nero, ho trovato questi modelli poco interessanti e sinora poco rispondenti alle aspettative. Ed ecco spiegato il motivo del panegirico iniziale sulla delusione e le aspettative. Tuttavia le mie ricerche basate su dati, vendite e punteggi dimostrano invece che il gradimento nei loro paesi di origine c’è, eccome!

Personalmente, nonostante non abbia trovato in questi vini alcun difetto, lo scostamento rispetto al modello di riferimento, (la Borgogna odierna) è parecchio evidente e questo certamente fa la differenza. In linea di massima in questi Pinot Nero New World abbiamo più colore, più calore alcolico e questo è strano perché in genere viene coltivato nelle zone più fredde (Central Otago, Rio Negro, Yarra Valley, Tasmania, Oregon, Bio Bio, Elgin, Walker Bay etc, etc). Poi il frutto è più maturo, i tannini hanno poco di vegetale, molto di rovere e le speziature sanno di artefatto. Ma sono sempre pulitissimi e molto equilibrati, facendo però la tara al concetto di equilibrio che a mio avviso è opinabile e molto soggettivo. Dunque bisognerà fare i conti con altri gusti e con il fatto che il mondo va oltre al proprio ombelico.  

Vigneti di Clos Henry

Un paio di zone promettenti sul Pinot Nero si trovano in Nuova Zelanda, uno stato che sta catalizzando molto interesse sia tra viticoltori che tra consumatori promettendo di riuscire a esprimere per il Pinot Nero uno stile originale. Un po’ come accadde con i suoi Sauvignon Blanc. Sul Pinot Nero N.Z. un faro guida può essere individuato nella coppia Yoshiaki e Kyoko Sato fondatori di Satowines arrivati in Central Otago (Isola del Sud) nel 2009, ma anche Clos Henry sbarcato a Marlborough nel 2000 non è da meno ed è forse l’unico che ha esperienza e mezzi per creare un Brand ed uno stile sui Pinot Nero Aussie.

Clos Henry appartiene alla famiglia francese Bourgeois. Il fondatore, Henri Bourgeois, iniziò la con la coltivazione di due ettari sulle colline di Chavignol, negli anni ’50, una regione allora pressoché sconosciuta. È qui che sono nati i vini di qualità a cui ha dato il suo nome. I suoi figli, Jean-Marie e Rémi, lo hanno raggiunto negli anni ’60 e hanno continuato l’avventura: hanno scoperto nuovi terroir, hanno acquisito terreni e sono diventati uno dei produttori di riferimento per il Sancerre in Francia e all’estero. Oggi, Arnaud, Lionel e Jean-Christophe Bourgeois portano avanti il gruppo associato al nome “Famille Bourgeois”. Quando Jean-Marie e il defunto Rémi Bourgeois ereditarono la tenuta Henri Bourgeois, i fratelli iniziarono a esplorare le possibilità offerte dalle regioni vinicole internazionali. La loro “Grande Ricerca” durò 12 anni, conducendoli infine a Marlborough, la capitale del vino della Nuova Zelanda, nel 2000. Fu qui, nella valle di Wairau, scavata da antichi ghiacciai nel corso di milioni di anni, che la coppia trovò i terreni più simili al loro Sancerre nativo. Identificarono rapidamente il potenziale della regione per coltivare Sauvignon Blanc e Pinot Noir di altissima qualità.


Colpiti dalla giovinezza e dalla natura incontaminata dei suoi terreni, si innamorarono di Marlborough e del suo terroir, insieme ai suoi vini e presero la decisione di mettere radici nella regione.
Rémi e Jean-Marie acquistarono 98 ettari di terreno nella valle di Wairau, chiamandoli “Clos Henri”, pronunciato “Klo Enrie” in onore del loro padre-pioniere e del suo impegno nella produzione di vini di livello mondiale. Clos Henri, dispone attualmente di una proprietà di 110 ettari con tre tipi di terreno: le Glacial Stones e le due Waimaunga Clays, Broadbridge Clay e Wither Clay. Questi terreni sono il risultato di significativi movimenti terrestri avvenuti nel corso di milioni di anni, tra cui la formazione e il ritiro dei ghiacciai durante il Pleistocene che va da circa 1,8 milioni a 10.000 anni fa. Clos Henri produce quattro vini Single Vineyards, (due Pinot nero e due Sauvignon blanc) due Estate wines e quattro “Special cuvée tra cui un Metodo Classico. Io ho acquistato il Pinot Nero Waimaunga 2019 che prende il nome dal periodo glaciale di Waimaungan, determinante nella formazione del terroir di provenienza. Raccolta uve manuale, fermentazione spontanea in tini di legno, 20% a grappolo intero, e poi un anno in caratelli francesi che marcano molto la parte olfattiva, dove però troviamo il consueto apporto di spezie intense e piccoli frutti rossi. In bocca, pur godendo di un notevole slancio (molto fresco) e di una tannicità controllata, finisce un po’ troppo boisée.

Lo trovate su Millesima.it

In copertina la famiglia francese Bourgeois

Giovanni Solaroli

Ho iniziato ad interessarmi di vino 4 eoni fa, più per spirito di ribellione che per autentico interesse. A quei tempi, come in tutte le famiglie proletarie, anche nella nostra tavola non mancava mai il bottiglione di vino. Con il medesimo contenuto, poi ci si condiva anche l’onnipresente insalata. Ho dunque vissuto la stagione dello “spunto acetico” che in casa si spacciava per robustezza di carattere. Un ventennio fa decisi di dotarmi di una base più solida su cui appoggiare le future conoscenze, e iniziai il percorso AIS alla cui ultima tappa, quella di relatore, sono arrivato recentemente. Qualche annetto addietro ho incontrato il gruppo di Winesurf, oggi amici irrinunciabili. Ma ho anche dei “tituli”: giornalista, componente delle commissioni per la doc e docg, referente per la Guida VITAE, molto utili per i biglietti da visita. Beh, più o meno ho detto tutto e se ho dimenticato qualcosa è certamente l’effetto del vino.


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