Il Cirò è patrimonio di tutti gli amanti del vino2 min read

Questa settimana non ho voglia di proporre un vino. Sarà il rientro, sarà per quel che sarà, sono un po’ arrabbiato. Un po’? Un po’ tanto.

La doc Cirò è una delle più antiche d’Italia e le origini vitivinicole di questa stupenda area della Calabria si perdono nella notte dei tempi, tanto che qualcuno sostiene che proprio da qui venisse il vino offerto ai vincitori della Olimpiadi. Quelle dell’antica Grecia, intendo.

Ma a parte queste balle suggestive, il punto è un altro.

La maggioranza degli iscritti al consorzio ha proposto è ottenuto la modifica al disciplinare: d’ora in avanti il Cirò potrà essere fatto anche con uve internazionali, oppure con il sangiovese o qualsiasi uva a bacca rossa purché autorizzata. Se non ci saranno pposizioni alla bieca decisione del Comitato Nazionale Vini entro il 12 settembre
Sarebbe come dire che si può vendere come latte fresco anche quello con un’ggiunta di cioccolata o di caffè.
Nessuna legge vieta di lavorare a blend nei quali ci siano uve autoctone o internazionali, c’è il Calabria igt nel quale si può fare tutto in tranquillità.
Ma questo non basta agli enologi dalle troppe consulenze che non hanno il tempo di studiare bene come valorizzare il gaglioppo. Forse non lo sanno neanche fare.
E non basta a quelle aziende, a nostro giudizio folli, le quali inseguono modelli produttivi totalmente superati in Italia ormai da almeno cinque anni.
Vogliono, costoro, stravolgere il Cirò.
Con la motivazione che molti lo fanno già e non lo dichiarano. Oppure che il Gaglioppo è uva da quattro soldi
L’Italia dei condoni? L’Italia dell’illegalità: dovrebbe essere il Consorzio ad intervenire, se ha notizie precise con nomi e cognomi.
Noi sappiamo di vini straordinari ottenuti da solo Gaglioppo. Ci vuole tempo, passione, attenzione.
E poi, se davvero fosse così, perché quando fu scritta la doc gli stessi produttori vollero che l’unica uva usata fosse il Gaglioppo?
La nostra non è ripulsa ideologica conservatrice, ma vera è propria amarezza di fronte a tanta stupidità commerciale. In un mondo globale in cui è importante distinguersi, specializzarsi, ritagtliarsi nicchie di pregio artigianale, la via di uscita alla crisi individuata consiste nel mettersi a fare concorrenza allemultinazionali del vino capaci di arrivare sul mercato a prezzi ben più concorrenziali.

Chiunque è libero di suicidarsi, ma non può costringere gli altri a farlo.
Ritengo che il Cirò appartenga a tutta l’Italia vitivinicola. Il Cirò è anche mio, deve essere dei giovani e delle future generazioni. Non abbiamo bisogno di altri vini-mostri, ma di vini espressione di territori ricchi di tradizioni non inventate dagli uffici marketing.

E non mi interessa se con il Gaglioppo non si può fare il vino più buono del mondo.
A me basta che sia unico.

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Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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