Il bello è che li chiamano allevamenti!4 min read

Fabrizio Penna, caro amico, collega (mio direttore per molto tempo) e responsabile di Enotime.it ci ha inviato un commento all’articolo “Allevamenti o agenzie di viaggio per maiali?” talmente preciso e circostanziato da farmi chiedere di poterlo pubblicare con il dovuto risalto. Lo ringrazio per la disponibilità (e per la mole di informazioni).

Complimenti a Maddalena e a Carlo per aver iniziato a sollevare l’argomento, che però rappresenta solo una parte della complessa problematica dell’allevamento estensivo suino ed avicolo, le due tipologie più brutali e pericolose anche per la salute di chi mangia le loro carni.

Visto che ho approfondito la tematica faccio alcune considerazioni sui maiali, buona parte dei quali è oggi allevata in modo intensivo all’interno di grandi capannoni illuminati, areati artificialmente e capaci di ospitare centinaia o migliaia di capi.
Intorno a questi impianti non serve che ci siano terreni agricoli poiché gli animali vengono nutriti con alimenti acquistati da altri luoghi, sovente sono pastoni liquidi più facili da distribuire attraverso complessi sistemi automatici. Altrettanto si fa delle feci che sono sempre semiliquide e che creano un ambiente talmente insano e ricco di virus e batteri da rendere praticamente obbligatoria un’ospedalizzazione permanente a base di antibiotici ed altri medicinali, i cui microresidui ci troviamo poi nelle carni.

L’accortezza è quella di impiegare durante la loro breve vita diversi principi attivi, in modo che i residui del singolo principi attivo siano alla fine entro i limiti consentiti, ma se li sommassimo tutti assieme avremmo delle belle sorprese, esattamente come capita per la viticoltura…

La vita del maiale d’allevamento non è lunga, anche perché nei moderni allevamenti si nasce in tutti i mesi dell’anno ed ogni scrofa ha una media di 2,4 gravidanze all’anno tutte ottenute con inseminazione artificiale, ognuna delle quali darà vita circa 12 maialini chiamati lattonzoli. I lattonzoli maschi vengono castrati il più delle volte in modo brutale dagli stelli allevatori nonostante l’operazione dovrebbe essere eseguita da un veterinario. Una scrofa da allevamento intensivo oggi vive circa 2 anni contro i 18 in natura.

Negli allevamenti, per evitare che la scrofa schiacci inavvertitamente i piccoli, viene fatta partorire ed allevare la prole in una gabbia che la contiene appena e nella quale non può muoversi liberamente (è praticamente sdraiata). Il periodo di svezzamento negli allevamenti dura 23-26 giorni mentre in natura supera i 50 giorni.

A seconda dello scopo per cui vengono allevati gli animali, esiste un’importante suddivisione: suino leggero o da macelleria e suino pesante o da salumeria. Il suino leggero viene macellato quando raggiunge al massimo i 90-100 kg di peso vivo, cioè dopo 5-6 mesi di vita, invece il suino pesante viene macellato tra i 125-135 kg (7-8 mesi di vita) se serve per la trasformazione in prosciutti cotti ed insaccati freschi oppure attorno ai 170 kg (oltre 9 mesi di vita) se serve per produrre prosciutti crudi stagionati DOP (tipo S. Daniele, Crudo di Parma). L’allevamento del suino pesante è una realtà specificatamente italiana e raramente spagnola, mentre il resto del mondo occidentale alleva solo suini leggeri.

Nelle strutture intensive la possibilità di movimento di ogni singolo animale è impedita dalle gabbie metalliche in cui vengono disposti: esistono gabbie diverse per il parto, per la gestazione, per l’allattamento e per l’ingrasso. Tutto ciò non consente agli animali di comportarsi neanche lontanamente in modo naturale. I maiali pesanti che raggiungono i 180 kg di peso hanno a disposizione una gabbia di 60 cm di larghezza e 2 metri di lunghezza; non possono grufolare né girarsi o muoversi, non possono scavare le loro caratteristiche buche per rinfrescarsi nel fango: a causa di ciò sviluppano dermatiti e forme di forte stress associate a comportamento aggressivo che li porta a mordersi la coda e le orecchie reciprocamente; la coda viene infatti loro mozzata. Inoltre la forte concentrazione di animali in un unico luogo (si superano i 10.000 capi ad ettaro) genera condizioni igieniche penose ed impone agli allevatori, come già ricordato, l’utilizzo continuo di antibiotici per evitare che tra essi si diffondano malattie, e nonostante ciò la mortalità è alta, ulteriormente aumentata dai trasporti in camion per migliaia di km.

Infine, come avete già fatto rilevare, si creano gravi problemi per il trattamento e lo smaltimento delle feci e delle acque reflue. Quei pochi che effettuano allevamento intensivo "a misura di maiale" raggiunge una concentrazione di 1000-2000 maiali ogni 10.000 metri quadrati e ciò permette di avere a disposizione dei box dove è possibile inserire una lettiera di paglia e piccoli recinti all’aperto su terra nuda.

Chi invece ha scelto di attuare l’allevamento in stato semi-brado restituisce al maiale una vita dignitosa ed ottiene carni di qualità superiore, anche se la concentrazione di animali ad ettaro scende vertiginosamente a 14-15 capi!

Eppure nonostante questo uno studio pubblicato sulla rivista specializzata Terra e Vita n° 27 nel 2006 ha dimostrato che a conti fatti il costo di produzione di un chilo di carne per un maiale di allevamento intensivo è di 1,47 euro contro 1,62 euro per lo stesso maiale allevato all’aperto. Differenziale ampiamente recuperato al momento della vendita della carne alla quale viene riconosciuto un valore di mercato superiore. Forse bisognerà cominciare a ragionarci per davvero…

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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