I vini che m’hanno cambiato la vita…allargandola4 min read

Seconda parte…

 

 

 

Magari sarà una cosa banale e per molti scontata ma il primo vino che veramente mi  “sconvolse” fu il Sassicaia. Complice un’annata meravigliosa come l’85.

l’iniziazione avvenne a cura di Fulvio Pierangelini. Dopo un pranzo e molte chiacchiere, a metà pomeriggio venne fuori questa bottiglia. Ci portò un piatto con un cuore di sedano e una fetta di pecorino passoccio. E li capii che il vino oltre che buono può essere anche eccezionale. Avere dimensioni inattese. Oltre ai profumi nobili e seducenti era in bocca che esplodevano e si irradiavano sapori vinosi e nobili, e acidità in stupendo equilibrio. Da dire che l’annata ‘85 fu veramente eccezionale, tantissimi vini eccelsi, il Sassicaia monumentale. 

  
Dopo questa esperienza cercai di provarne altri ma le difficoltà si presentarono subito evidenti: in primo luogo certi vini, Sassicaia compreso, nonostante il loro prezzo non proprio a buon mercato, sembrava ci volessero  le raccomandazioni affinché un’enoteca te ne lasciasse una bottiglia. E poi mi accorsi che questi vini erano spettacolari si, ma con il pasto non è che fossero facilmente godibili. Vuoi per la gradazione, vuoi per la concentrazione, vuoi per la potenza, ma insomma non trovavo facilmente un equilibrio tra il mangiare ed il bere.

Comunque fra tutti questi i prediletti furono il  Tignanello e il Camartina. Quello che però “mi prese il cuore” fu il Tignanello. Scoprii un vino di grande classe (cominciarono a chiamarli Supertuscans) che in più aveva molta toscanità, come una primavera rinascimentale.

Le cose peggiorarono per tutti gli anni ’90 e anche buona parte del decennio successivo. Almeno dal mio punto di vista. Quasi tutti i rossi presero la strada da vini più da concorsi e guide che da bere a tavola.

Mi accorsi allora che con il bianco le cose potevano andare un po’ meglio, potevano, perché anche li bisognava scegliere gradazioni umane e tipologie che si potessero abbinare.

A parte certi eccessi che trovai anche tra i bianchi, normalmente non c’era quello strapotere del vino rosso che in bocca mortificava gli alimenti o annientava le tonalità e le sfumature dei sapori.

Bianchi buoni in giro per l’Italia ce ne sono diversi, ma sicuramente quelli con cui fu più facile in assoluto l’approccio furono l’Alto Adige e il Friuli. Da quelle parti è veramente difficile trovare dei vini fatti male. E questo non è poco. Poi anche qui cominciai a selezionare sempre di più, perché è vero che i più sfacciati si fanno notare per primi, ma sono anche i primi a denunziare i loro limiti.

Fu proprio un bianco friulano a farmi letteralmente perdere la testa. Il vino del primo decennio di questo secolo è stato per me il Piere Sauvignon di Vie di Romans. Incontrato per caso, innamorato subitamente, ogni volta che lo potevo bere di nuovo era un godimento allo stato puro che aumentava di volta in volta. Entrando dallo Zazzeri a Marina di Bibbona uno dei gemelli cominciò a salutarmi: ragazzi eccolo, è arrivato Piere Sauvignon. Non è certo un vino abbinabile al mangiare di tutti  i gironi, ma quando c’è l’abbinamento è veramente qualcosa di straordinario.

Ma il cammino sentivo andava verso altre corde. Corde più delicate e fatte di leggere sfumature e una voce sussurrata  più che declamata. Questo è stato lo stato d’animo prima di incontrare quello che doveva diventare il vino della mia vecchiaia: il Pinot Bianco. In questo vitigno ho trovato veramente la quadratura del mio cerchio. Un vino che riesco ad accompagnare – più che abbinare –  su un’infinità di alimenti. Tutto è equilibrato, dai profumi spesso solo accennati, al sapore spesso con una mineralità piacevole e gradevole. Uno per tutti: il Vorberg di Terlano. Va da se che parlo di buoni vini. Ma da quelle parti ce ne sono, e anche diversi. Un bicchiere di questo riesco a goderlo anche fuori pasto, il che è tutto dire per me.

E così partendo dal sangiovese di Maremma che a luglio già c’aveva lo spunto, i rossi maccaroni e violenti, lo Champagne, i Supertuscans, i Sauvignon friulani sono arrivato ad un porto inatteso come il Pinot Bianco. Potrebbe sembrare un declino, ma io lo interpreto esattamente al contrario.

E la cosa più straordinaria di questo vino è che mi permette, di ritorno, di scegliere e godere di certi e ben selezionati vini rossi. Pochi, perché non ce ne sono molti che mi danno piena soddisfazione, ma buoni,  selezionati con il lumicino della lanterna del mio Pinot Bianco. 

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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