I pescatori di perle3 min read

Stare chiusi in casa ti porta a pensare, a fantasticare, a ripensare momenti passati. Il mio girovagare mentale mi ha portato “davanti alla porta” di due grandi persone, maestri per tutti noi del mondo del vino. Una mi pregio di conoscerla bene e di esserne amico, l’altra l’ho incrociata pochissimo ma molto ammirata. Sto parlando di Burton Anderson e di Luigi Veronelli.

Pensando a loro la prima emozione che provo è spesso una stupefatta  invidia, quella che può avere un giovane pescatore di perle sentendo i racconti dei pescatori anziani, di chi quei mari, quei fondali, li ha vissuti quando nessuno vi si tuffava, quando bastava scendere in apnea per trovare perle bellissime, spesso uniche.

Luigi e Burton sono stati i primi, coraggiosissimi, pescatori di perle, alias giornalisti del vino e del cibo (enogastronomici è una parola modernamente bruttissima per appioppargliela), quando la sola idea faceva quasi sorridere. Prima di loro c’era stato forse solo Mario Soldati, di cui mi sto godendo su Raiplay il meraviglioso “Viaggio nella Valle del Po’”, ma anche loro  hanno avuto il coraggio e la passione per scoprire un mondo che nessuno o quasi immaginava esistesse.

“Un americano che scrive di vino? Qualcuno mi guardava un po’  meravigliato quando mi presentavo:” Questa frase di Burton mi è sempre rimasta impressa e fotografa quello che io mi immagino di un periodo in cui persone come Luigi o come Burton, dovevano essere visti come marziani.

Penso  ai miei trenta e passa anni di frequentazione di questo mondo, alle prime  scoperte personali, alla gioia di poterne parlare e  condividere una piccola perla e provo ad immaginarmi quale meraviglioso scenario abbiano avuto davanti i coraggiosi che prendevano la loro auto e, completamente a spese proprie, giravano per l’Italia alla scoperta delle produzioni vinicole migliori.

Fine anni sessanta, anni settanta, primi anni ottanta: vivere una trasformazione che, mano a mano che il tempo passava,  forse viaggiava più veloce di loro ma che loro hanno potuto ammirare e in buona parte aiutare.

Mi sto rileggendo vecchi testi di Veronelli e scopro vini, cose, piccoli mondi che nemmeno immaginavo potessero esistere. Le meravigliose diversità della storia enoica italiana: nomi, persone, luoghi che sembrano usciti dal fantastico mondo di Alice e invece c’erano e non si capisce perché non ci siano più.

In entrambi i personaggi e naturalmente nel Soldati citato prima, trovo un tratto sempre più latitante nel mondo dell’enogastronomia di oggi: la cultura. Mario Soldati non c’è bisogno di presentarlo, Luigi Veronelli viene presentato da Wikipedia come “gastronomo, giornalista, editore, conduttore televisivo, filosofo e anarchico italiano” e tutte le volte che parlo con Burton mi beo della sua cultura e delle sue conoscenze. La cultura è forse stato il motore che li ha portati a considerare, giustamente, come fondamentalmente culturali le espressioni gastronomiche e enoiche  dei luoghi che visitavano.

Chiederò a Burton se in quegli anni si sentiva felice, se capiva la fortuna che si era  duramente conquistata abbandonando un posto sicuro di corrispondente dall’estero per mettersi a girare per l’Italia “solo” per conoscere i produttori e il nostro mondo del vino, oppure se sotto sotto un po’ si malediceva  per aver scelto una via che allora nemmeno esisteva.

Mi piacerebbe chiedere  tante cose a Luigi  Veronelli, capire come ha fatto a conoscere, pezzettino per pezzettino, il mondo del vino italiano, ad aiutarlo a crescere per poi lasciarlo in pasto a tutti noi.

A noi che crediamo si avere la maestria di un pescatore di perle solo perché sappiamo nuotare.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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