I giusti istinti e le buone abitudini4 min read

Vallerotana è una bellissima e dolce conca che partendo da Roselle compie con una grande ansa, un semicerchio alle pendici dei primi colli retrostanti Batignano e Montepescali, per arrivare con il lato a ponente proprio all’inizio della Maremma più profonda.

Ci ho vissuto da sempre perché, nato pochi mesi prima del passaggio del fronte, la mia famiglia al completo si spostò proprio là dove c’era una grotta naturale che funzionò da rifugio per tutto il tempo necessario. Per dire quanto sono stato fortunato nella mia vita babbo si fece prestare una mucca dalla fattoria degli Acquisti dove lavorava e la portò al rifugio. Così ebbi una mucca intera che produceva latte praticamente solo per me!

Più tardi dovevo scoprire altre  belle cose e delizie culinarie in Vallerotana.

Questo perché ci abitava mio zio Elpidio che faceva il contadino. Andare da lui da ragazzo era il massimo della gioia per tutti i giochi che potevo fare in libertà e per tutti gli animali che aveva. Sempre parlando di latte e di quanto amassi – e amo tutt’ora – questo bendiddio, mia mamma raccontava spesso di una volta che non mi trovavano più e dopo avermi chiamato un bel po’ cominciarono a impaurirsi. Avevo tre o quattro anni e quindi di pericoli ne correvo assai. Mio zio che aveva cominciato a capirmi alla fine portò tutti nella stalla a cercarmi e li mi trovarono: ero sotto una capra attaccato alle sue mammelle a succhiare latte caprino! Io questo non lo ricordo, ma fa piacere sapere che avessi già a quell’età questi buoni istinti.

Noi vivevamo in fattoria e si potevano tenere un po’ di animali da cortile come polli, faraone e conigli, ma non il maiale. Ma mio zio Elpido poteva e quindi aveva sempre qualche specialità da mangiare. Allora si sfruttava davvero appieno tutto l’animale e quindi c’era solo da scegliere tra prosciutto, spalla, capocollo, rigatino, salsicce, ammazza fegati, salami, fegatelli, soppressata……. ma anche arista sott’olio, che si poteva mangiare anche più avanti nel tempo. Non si sciupava niente allora, non perché si fosse particolarmente virtuosi, ma perché alle cose si dava il giusto valore, in ciò aiutati dalla non grande disponibilità di finanze o di dispense.

Io ero sempre il privilegiato perché i miei zii, zio Elpidio e zia Rosina mi riservavano sempre le cose più buone.
Quando fui più grandicello e potevo maneggiare un po’ anche i coltelli scoprii uno dei giochi più belli della vita. Quando s’arriva ad affettare in fondo al prosciutto rimane lo stinco e ovviamente diventa difficile fare fette da quel pezzo. E si che è pure molto buono in quel punto. Io l’avevo scoperto, ma anche mio zio Elpidio se n’era accorto, per cui una volta arrivando mi disse: ti ho lasciato proprio per te uno stico di prosciutto, se vuoi farci colazione fatti dare da zia un coltellino e un po’ di pane e vai.

E qui scoprii il gioco. Presi lo stinco, un coltellino a punta ben affilato, un tagliere di legno per lavorare e mi misi seduto sulla soglia di casa, “di fronte alla primavera” direbbe Paolo Conte. in effetti ero quasi per terra davanti all’aia. Chi l’ha fatto o ci ha provato almeno una volta sa quanto sia difficile scarnificare il prosciutto in quel punto: la cotenna  è particolarmente dura e secca. Il pezzo è composto soprattutto da nervi e da osso.

Ogni piccolo ritaglio di prosciutto va conquistato come se ci fosse da scolpire nel legno. Ovvio che ogni piccolo ritaglio andava direttamente in bocca, non c’era bisogno del piatto o della forchetta! Dopo un po’ che ero li andavo come in trance, come mangiare i semi di zucca al cinema. Se mi mettevo li alle dieci ero capace di arrivare direttamente alle dodici all’ora del pranzo, senza nemmeno accorgermene. Ed era proprio il conquistarsi, ritaglio dopo il ritaglio il saporito bocconcino che dava più sapore a quel mangiare. Provai infatti una volta a mettere tutti questi ritagli in un piatto e poi portarlo a tavola: era buono, ma assolutamente non era la stessa cosa.

Siccome il latte era di produzione propria provai anche a fare l’abbinamento latte pane prosciutto, e non vi dico che bontà ne venne fuori. Questo è un abbinamento che ho riprovato e funziona. Specie nelle visite notturne ad un frigorifero in cerca di qualcosa da mangiare, tanto per riprendere sonno.

 

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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