Ho bevuto un vino in lattina e non sono morto!2 min read

Metti insieme una calda serata estiva, parecchia voglia di rilassarsi e un amica oste con tendenze enologiche particolari. Cosa ne viene fuori?

Ne viene fuori che finisco per ordinare un vino in lattina, per la seconda volta in un paio d’anni, sempre con lo stesso vino (ovviamente di annate diverse).

Nome del vino, che già mi causa un po’ d’ansia: NO VIRUS PLEASE ON THE DANCE FLOOR, pet-nat a base Negramaro, Aglianico e Trebbiano prodotto in Puglia da Masseria la Cattiva.

Colori sgargianti, etichetta che sembra la copertina di una compilation dance anni ‘90, immagine disimpegnata e facile, di chiara ispirazione birraiola, dove nomi fantasiosi e grafiche di impatto sono ormai una normalità che non stride con contenuti anche di eccellenza.

Ma il serio mondo del vino può accettare tale blasfemia? È pronto per cercare nuovi modi per comunicare e vendere il prodotto a fianco dei modelli consolidati da sempre in uso? Cosa può insegnare il mondo della birra in questo ambito?

Non c’è traccia di cru stratosferici, aziende millenarie, storytelling, geologia, poesia e tutto il corredo del perfetto wine-geek.

C’è solo tanto impatto, semplicità e disimpegno. Vino che quasi diventa bibita, che per un attimo mette da parte la valenza culturale e storica che tanto ci e mi piace.

Vino bibita, spontaneo, zero chimica e minimo intervento in cantina, sperimentazione e voglia di rompere qualche regola per dare una shakerata al rigido mondo del vino.

Mi sono scolato con piacere la colorata lattina da 33cl, all’inizio sentendomi come un fedigrafo, immaginavo sopra di me gli sguardi orripilati degli dei del vino serio, poi, quando il senso di colpa è stato sedato dall’alcol, mi sono goduto il vino per quello che era.

Un vino sincero e divertente, facile e senza pretese cervellotiche, per me un modo diverso di degustare, piacevole e scanzonato.

Per la cronaca non sono stato incenerito da fulmini celesti o da tastevin rotanti lanciati per punire il tradimento alla bottiglia in vetro.

Pietro Palma
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