Gli 80 anni di Badia di Morrona, ovvero quando i numeri contano5 min read

Leggendo quest’articolo la battuta vi verrà talmente facile e scontata che la faccio io all’inizio. Sono bravo a dare i numeri!

Però quelli che appariranno in queste righe non sono assolutamente casuali, anzi, come potrete capire andando avanti creeranno un impensabile  collegamento tra Badia di Morrona, cantina sui Colli Pisani e la Smorfia Napoletana.

Voi vi domanderete “Perché?”  e la risposta è nelle foto qua sopra, con un “80” ben in vista, che testimonia  gli ottanta anni della famiglia Alberti Gaslini  a Badia di Morrona.

Ottant’anni di vita di un’azienda vinicola non si possono non festeggiare e così è stato fatto. Così Quando mi sono trovato davanti a quell’ottanta grande e grosso con sotto altri due numeri “1939-2019” mi è venuto immediato il collegamento con la Smorfia e come vi snocciolerò i numeri sono convinto che mi darete ragione.

Partiamo dal numero 80, che nella smorfia vuol dire “La Bocca”, quella che ci vuole per degustare un buon vino e naturalmente quella che usiamo per bere e per mangiare. E La bocca venerdì 15 e sabato 16 novembre a Badia di Morrona è stata molto usata: in primo luogo per una cena lunga e sostanziosa e poi, il giorno dopo, per due degustazioni  che ci hanno portato indietro fino al 1997.

Campagna attorno a Badia di Morrona

Sono passati quindi 80 anni da quanto Italo e Mario Gaslini acquisirono questa tenuta (che oggi conta ben 600 ettari di cui 110 a vigneto)  in una zona che solo la mancata conoscenza della storia enoica del nostro paese può far definire secondaria. In effetti dai primi anni dell’Ottocento sino agli anni trenta del secolo scorso i territori collinari della Lucchesia e del Pisano che confluivano verso la piana dell’Arno erano forse la zona enoica toscana qualitativamente  più importante con, oltre alle Tenute Granducali anche tantissime proprietà di nobili francesi e piemontesi  che si dilettavano in maniera per niente dilettantesca di agricoltura e soprattutto di viticoltura.

In quegli anni il Chianti Classico e Montalcino erano territori quasi irraggiungibili e comunque fuori dalle normali vie enoiche, per forza  di cose prossime alle ferrovie  e alle strade principali, che guarda caso, seguivano la direttrice del grande fiume  toscano. Quindi i dolci colli del pisano erano un territorio per niente secondario e che solo nel secondo dopoguerra del secolo scorso venne lentamente lasciato a se stesso.

Chiarito questo andiamo avanti con la due giorni di celebrazioni e vediamo cosa ci riservano gli altri numeri usciti sulla ruota di Badia di Morrona. Sotto al 80, come ho detto, c’erano due date:  1939 e 2019: la prima cosa che ho notato è che il 19 si ritrova in entrambi i numeri e che se si sommano 20 e 19 si ottiene 39, cioè l’anno dell’acquisto. Chiamatelo un caso ma comunque mi sono andato a guardare cosa  volessero dire nella Smorfia il 39,  il  20 e il  19.

Il 39 a prima vista non sembra entrarci molto col vino e il cibo: è “La corda al collo”, più precisamente però questa corda viene vista nell’iconografia della Smorfia come un cordone ombelicale e  rappresenta la ciclicità della vita. Una vita di 80 anni che ha visto succedersi diverse generazioni di Gaslini, e che continuerà il suo percorso con l’arrivo della “nuova ondata”, rappresentata dal figlio dell’attuale  titolare  Filippo Gaslini Alberti e dai due nipoti.

Ma sono gli altri due numeri che sembrano essere stati coniati apposta per l’evento. Il 20 vuol dire La Festa e ha come significato secondario l’Uva, mentre il  19  è  La Risata, che già di per sé in una festa ci sta bene, però ha come seconda lettura  I Peperoni,  probabilmente quelli arrosto, buonissimi, che ho mangiato assieme a molti altri piatti a La Fornace, il bel ristorante dei Gaslini Alberti, durante la cena del venerdì.

Ma veniamo alla Festa e all’Uva, cioè alle due verticali del sabato mattina: una di VignAlta  il loro sangiovese in purezza e l’altra di N’Antia  un Supertuscan da classico uvaggio bordolese, con cabernet sauvignon, cabernet franc  e merlot.

Entrambe le verticali sono partite dal 1997 e ci hanno portato, con annate diverse,  fino al 2016.

Nella prima verticale ho visto passare la storia del sangiovese toscano degli ultimi 20 anni: la vendemmia 1997, narrata da un  vino ancora perfetto e di grande profondità, ha rappresentato l’inizio del periodo d’oro dei rossi toscani. Erano i tempi in cui i legni erano praticamente solo piccoli, le estrazioni importanti, la concentrazione  una fede, la possibilità di invecchiamento una certezza (malriposta in diversi casi).

Il VignAlta 1997 rappresenta tutto questo al meglio, perché adesso è sicuramente meglio di 15 o 20 anni fa, essendosi liberato (ma portandone i chiari segni) di una voglia di strafare tipica del periodo. Adesso è essenziale ma profondo, un Grande Vecchio perfettamente in forma a cui chiedere consigli per il futuro. E il futuro si presenta nei panni dell’ultimo uscito, un dinamico e convincente VignAlta 2016: sangiovese che ha imparato dal passato e si è spogliato di strutture e pesantezze, divenendo un’espressione chiara e nitida del vitigno, con freschezza, equilibrio, profondità da vendere.

La verticale di N’Antia ha presentato lo stesso quadro, declinato sul versante dei vitigni alloctoni. In realtà nei primi anni questo vino aveva una buona percentuale di sangiovese e solo dal 2002 si è assestato nel classico uvaggio bordolese , che può variare leggermente a seconda delle caratteristiche dell’annata. Questa seconda degustazione mi è servita soprattutto per avere conferme su alcune annate a me particolarmente care, la 2005 e la 2010.

La prima considerata da tutti come secondaria e sicuramente schiacciata tra due vendemmie importanti, mi è sempre sembrata una vendemmia di rara eleganza con grandi possibilità di invecchiamento. Il N’antia 2005 me lo ha confermato con la sua aromaticità intensa e vibrante, con suadente rotondità e spiccata eleganza al palato, che promette di conservarsi così per almeno altri 10-15 anni.

Se il  2005 ha caratteri di eleganza  femminile  il N’antia 2010 è il maschio per antonomasia e rispecchia tutta la mascolinità di quest’annata, con un’ampiezza e una profondità che è stata concessa solo poche volte negli ultimi 30 anni. Di suo il vino porta una linearità che non rende pesante il sorso ma anzi lo esalta, grazie anche a tannini decisi ma setosi.

Prima di partire Filippo Gaslini Alberti ha voluto regalare a tutti i partecipanti un vino in edizione limitatissima: ne sono state prodotte solo 80 bottiglie  e volete sapere quale bottiglia mi è toccata? Naturalmente la 39! Quindi, secondo la Smorfia, questo potrebbe voler dire che un piccolo cordone ombelicale mi lega a questa cantina ma soprattutto (20+19) che mi aspetto altre feste, altre uve, altri vini  e altre amichevoli risate come quelle di venerdì e sabato scorso.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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