Quest’anno Winesurf ha premiato come migliori bianchi d’Italia due vini ex aequo: i Campi Flegrei DOC 2021 di Contrada Salandra e il Verdicchio dei Castelli di Jesi Superiore DOC Cuprese 2022 di Colonnara. Come ormai è prassi abbiamo intervistato i creatori di questi grandi bianchi: oggi pubblichiamo l’intervista a Giuseppe Fortunato e lunedì prossimo uscirà l’intervista al “padre e al nonno” del Cuprese.
Winesurf “La prima domanda è un po’ sibillina: Giuseppe Fortunato, di anni 61 con laurea in..?”
Giuseppe Fortunato “Mi manca la tesi in ingegneria civile e edile.”
W. “Ma allora sei un ingegnere che non ha voluto fare l’ingegnere?”
G.F. “Quando iniziai ad appassionarmi alla campagna stavo studiando ingegneria al Politecnico di Napoli, poi la passione è stata travolgente. Considera che ancora oggi l’Università mi chiama per vedere di chiudere il percorso di laurea ma io rimando perché, come dico sempre, camperò tre vite e non mancherà il tempo.”
W. “Però più che tre o sette vite come i gatti tu dovresti avere “sette vite come le api” che sono l’altro tuo grande amore.”

G.F. “Un amore che mi è stato trasmesso da Sandra (sua moglie, n.d.r.) che ci ha lavorato fin dagli anni ’90 e che si è sommato alla mia grande passione per la campagna, forse passatami da mio padre.”
W. “Che consiglio daresti oggi al Giuseppe che allora interruppe gli studi di ingegneria?
G.F. “Probabilmente gli direi di completare gli studi in ingegnerei, anche se forse sarebbe stato meglio se avessi fatto agraria o ancora meglio, filosofia.”
W. Questo è interessante: mi potresti spiegare perché un agricoltore dovrebbe essere laureato in filosofia?”
G.F. “Un vero agricoltore, aldilà degli studi fatti, ha un rapporto strettissimo con madre natura, ci parla e si fa tutta una serie di domande anche complesse. Per questo credo che una laurea in filosofia possa aiutare.”
W. “Lasciamo da parte la filosofia e passiamo alla geografia: che zona è dal punto di vista viticolo i Campi Flegrei?

G.F. “E’ un enorme cratere formatosi moltissimi anni fa, con al centro Pozzuoli e ci vivono circa 300.000 persone. I terreni si presentano in maniera sciolta e di questo se ne avvantaggia l’agricoltura, anche se purtroppo, negli anni è stata sempre più aggredita da uno sviluppo edilizio selvaggio. Comunque sono terreni adattissimi per la viticoltura.”
W. “Le tue viti sono su piede franco, giusto?”
G.F. “Si questa è un’altra fortuna dei Campi Flegrei, perché essendo un terreno sciolto, non argilloso con grosse componenti sabbiose, la fillossera non riesce ad attecchire.”
W. “C’è un altro elemento importante nei Campi Flegrei che sicuramente stavi per dire ma ti anticipo: il mare.”
G.F. “Certo! I miei vigneti sono a un chilometro, un chilometro e mezzo dal mare anche se si trovano a circa 250 metri di altezza.”
W. “C’è un produttore di vino che ti ha ispirato?”
G.F. “Non c’è una persona precisa, anche perché i nostri primi passi sono stati, dal punto di vista burocratico, molto complessi e ci hanno assorbito completamente. Però c’è forse un motivo particolare che mi ha portato all’agricoltura: i vini che mio padre, da falegname, produceva, facevano sempre la fioretta e così cominciai ad informarmi, a leggere e forse questo è stato il motivo scatenante della mia passione per il vino. Ho sempre visto il grappolo d’uva come l’estremo tentativo di raggiungere un equilibrio che la vite compie nell’arco dell’anno. Ora quell’equilibrio è diverso ogni anno e il vino è una specie di gestazione. In questo periodo sto partorendo il prodotto vino che nascerà tra gennaio e febbraio e poi crescerà nei prossimi anni.”

W. “La falanghina che uva è? È uva per vini facili o altro?
G.F. “Me lo sempre chiesto! Non ho tradizioni contadine ma mi sono informato: i Campi Flegrei all’inizio del secolo scorso producevano vino per quantitativi prossimi a 40 milioni di bottiglie, mentre oggi a stento raggiungiamo il milione e mezzo. Era necessario produrre tanto vino per dissetare Napoli. Ai produttori allora non interessava puntare sulla qualità, questa è una conquista recente. Un insieme di fattori, a partire dalla crisi del metanolo ci hanno portati a produrre molto meno ma di qualità. Per quanto mi riguarda iniziai subito a fare macerazioni, a raccogliere più in ritardo, a fare diradamenti. Non so se sono stato un antesignano, però questa è stata la mia strada.”
W. “Il vino migliore d’Italia è la tua Falanghina dei Campi Flegrei 2021: come è stata l’annata?”
G.F. “Gli ultimi 5-6 anni sono stati contrassegnati da temperature abbastanza sostenute, però la 2021 non è stata così “estrema”. La primavera è stata piovosa e l’estate molto calda. Se ti interessa ti dico che quest’anno invece, per la prima volta, ho dovuto anticipare la vendemmia alla metà di settembre, mentre la 2021 è stata vendemmiata a ottobre. Sotto questo punto di vista la 2021 è stata quasi un’annata normale.”
W. “Come hai fatto a fare questo vino eccezionale? Confidaci qualche segreto.”
G.F. “Nessun segreto, raccolta nei primi giorni di ottobre, macerazione di un paio d’ore in pressa e poi in vasca per quasi una giornata, poi faccio partire la fermentazione con un lievito neutro e fermento in acciaio. Non faccio travasi ma conservo tutte le fecce fini e ci lascio il vino per almeno 4-5 mesi. Poi faccio un primo travaso e di solito imbottiglio nel periodo della vendemmia. Lo lascio poi in bottiglia per almeno un anno e mezzo e poi lo metto in commercio.”

W. “Pensavi venisse così buona la 2021 o ti ha sorpreso?”
G.F. “La speranza è sempre quella di fare qualcosa di buono e mi sembrava che la 2021 fosse buona, poi assaggiandola mi sono accorto che madre natura ci ha messo qualcosa del suo.”
W. “Quanto pensi possa andare avanti negli anni?”
G.F. “Questo non te lo so dire. Recentemente abbiamo fatto delle verticali presentando nostre vecchie annate fino al 2010. Spero che questa possa essere molto ma molto longeva.”
W. “Non ti nascondo che nei nostri assaggi la tua Falanghina ci ha fatto innamorare subito al naso, poi in bocca ha confermato ma la finezza e la complessità aromatica hanno fatto da subito la differenza. Ora ti chiedo, per te in un vino apprezzi di più la parte aromatica, quella gustativa o è 50/50?”
G.F. “Ho fatto i corsi per assaggiatore di miele e il mio approccio è sempre col naso e poi cerco conferma al palato. Però non so dirti quale percentuale sia quella giusta.”
W. “Secondo te cos’ è il vino?”
G.F. “Innanzitutto è opera dell’uomo e quindi non riesco a capire la diatriba tra vini naturali e non. E’ il risultato di un’esperienza annuale e di un rapporto fortissimo con il vigneto. E’ la voglia di trasformare dell’uva in un prodotto figlio di quel territorio e di quell’annata.”
W. “Pregi e difetti della zona dei campi flegrei dal punto di vista viticolo.”
G.F. “Ho sempre predicato perché i produttori debbano stare assieme e non isolarsi, perché assieme potremmo superare tutta una serie di problemi che da soli non riusciremmo mai a risolvere.”

W. “E I pregi quali sono?”
G.F. “I pregi sono rappresentati dal territorio, che è unico al mondo.”
W. “Hai tutte le viti a piede franco. Per curiosità hai provato ad usare portainnesti e vedere cosa viene fuori?”
G.F. “Mi piacerebbe farlo partendo da alcuni vitigni autoctoni che ho nel vigneto, ma non avendo abbastanza terreno non riesco a farlo.”
W. “Qual è il lavoro, di vigna o di cantina, che ti piace meno?”
G.F. “Mi sembrano tutti complementari e pur se alcuni sono piuttosto ripetitivi, non saprei dirti.”
W. “ Magari potresti dire non sopporti di stare al telefono con i giornalisti…”
G.F. “Beh, in effetti l’aspetto cosiddetto mondano non l’ho mai curato, non mi appassiona.”
W. “Cosa farai da grande?”
G.F. (Ride) “Spero di trasmettere quel poco che ho appreso a più persone possibili.”
W.“A casa bevi la Falanghina o il Piedirosso?
G.F. “Cerco di bere di tutto, soprattutto vini non miei.”

W. “Sull’etichetta della Falanghina ci sono un gruppo di lettere ma non si capisce cosa c’è scritto. Cosa rappresentano?”
G.F. “Quella è una sorta di sciamatura! A primavera le api, se la regina e vecchia o per altri motivi, sciamano e vanno a costruirsi casa altrove. Con quelle sciamatura di lettere abbiamo voluto rappresentare il parlare degli esseri umani.. che si credono al centro del mondo ma invece ne sono solo una piccola parte. L’ape che esce da questa sciamatura rappresenta madre natura.”
W. “Naturalmente le api non lavorano in vigna, ma credi che svolgano comunque un lavoro utile e se si quale?”
G.F. “Grazie all’osservazione di tanti anni posso dire che l’ape è un elemento fondamentale per creare equilibri, che purtroppo negli ultimi tempi si stanno rompendo. Non per niente i francesi usano gli alveari come delle specie di termometri che stanno a indicare la salubrità dell’ambiente. Per questo faccio trattamenti in vigna con rame e zolfo perché le api sono molto sensibili a prodotti di sintesi e non voglio danneggiarle.”
W. “Ma quando le uve sono mature, quindi con grossa componente zuccherina, non è che devi contenderle alle api?”
G.F. “No! Questo è un mito metropolitano. Le api hanno delle mandibole molto piccole, non riescono a rompere il chicco d’uva. Purtroppo le hanno grosse le vespe orientali, che stanno creando grossi problemi sia alle api che alla viticoltura. Invece le api fanno quasi l’opposto, se vanno a succhiare dall’apertura fatta dalle vespe, grazie ad una specie di saliva che secernono, riescono anche a riparare il chicco.”