Franciacorta una realtà con un grande futuro…se……5 min read

Quasi 2000 ettari a bollicine possono sembrare tanti,  ma in realtà portano a nemmeno 7 milioni di bottiglie, cioè molto meno di una sola grande casa spumantistica della Champagne. In questi due dati (entrambi in crescita del 10-12% rispetto all’anno precedente ) sta tutta la Franciacorta, quel topolino collinare che sembra partorito da quel piatto gigante che è la pianura padana. In effetti, dalle dolci collinette franciacortine se lanci l’occhio verso sud o verso ovest trovi solo grandi pianure a perdita d’occhio, spesso costellate di industrie. Da quelle stese industrie sono arrivati a partire dagli anni settanta molti dei produttori franciacortini, che hanno unito così la proprietà terriera e la produzione di vino ad avviate attività industriali. Un nome su tutti: quel Moretti che partendo dall’edilizia è arrivato a creare dei veri gioielli enologici. Ma il nome che volevo fare è un altro ed è quello di Berlucchi, che più di quaranta anni fa ebbe l’intuizione di produrre bollicine in una terra dove il vino era sicuramente rosso. Cominciarono in diversi a seguire il suo esempio, ma non prima della metà degli anni settanta. Per questo possiamo dire che la Franciacorta spumeggiante ha una storia condivisa di circa 30 anni, anno più anno meno. Dalle mie parti si dice che in trent’anni “nasce un bambino e va da sè” ma per fare dell’ottimo vino ci sono comunque tempi molto più lunghi che per fare dei buoni figli. In Franciacorta hanno però bruciato le tappe ed oggi sono la DOCG spumantistica di riferimento. Il mio soggiorno in Fanciacorta è durato  quattro giorni: in questo periodo, oltre ad avere degustato circa 250 spumanti, ho visitato diverse cantine, molti vigneti e parlato con un buon numero di produttori. Quindi un’idea me la sono fatta e ve la propongo. Prima però presentiamo la zona partendo dai vitigni: quello di riferimento è lo Chardonnay, che copre praticamente il 70% del territorio, seguito dal Pinot Bianco e dal Pinot Nero. Quest’ultimo è abbastanza in crescita, mentre l’altro è in un limbo: amato sulla carta da tutti ma piantato o ripiantato da pochi. Veniamo ai vini: mediamente i Franciacorta, in particolare i Brut ed  i Saten (grande invenzione anche sul fronte del brand e della comunicazione) sono, almeno per il mio palato, piuttosto dolci. Il dosaggio medio è intorno ai 7-8 gr/l e questo, unito alla morbidezza e rotondità dello chardonnay  porta a vini indubbiamente piacevole e delicati, ma che chiudono spesso con una nota dolce che non mi convince del tutto. Anche se i produttori stanno passandosi la parola d’ordine di abbassare il dosaggio, per adesso le cose stanno così. Altro punto che mi convince poco è di origine agronomica. Pur se la produzione per ettaro ha come massimale 100 q.li  (la Champagne è molto più alta…) io mi sono chiesto più volte se vigneti piantati  praticamente accanto a campi di granturco e/o in zone pianeggianti possano dare grandi basi per vini spumanti. Se ci mettiamo anche il fatto che le esposizioni collinari vengono sfruttate  spesso quasi a 360 °  e che un buon 25% dei vigneti è intorno alla 3-4 foglia alcuni dubbi sul momento attuale della viticoltura franciacortina mi sembra giusto averli. In verità  assaggiando i vini molti dei dubbi se ne vanno: specie se si degusta dei millesimati. In questi vini viene fuori una vena che unisce morbidezza e profumi suadenti a ottimo corpo, austerità e bella lunghezza. Non sono ancora riuscito a capire se potrebbe essere o no un bene l’aumento in zona del Pinot Nero. Il territorio ed il clima non mi sembrano perfetti per il vitigno, che ha inoltre bisogno di molte, troppe cure imparabili solo con tanti anni d’esperienza. Non per niente i diversi rosè presentati sono risultati di gran lunga la tipologia meno convincente. Forse sarebbe più giusto puntare sul Pinot Bianco, che ha una buona tradizione in zona e che riesce a dare anche adesso (in uvaggi spesso omeopatici) maggior corpo e solidità a diversi vini.
Le degustazioni non saranno on line prima della seconda metà di luglio ma fin da adesso posso dirvi che sono andate molto bene, con alcune sorprese assolute. Di assoluto livello è anche l’organizzazione del Consorzio che sembra riunire produttori abbastanza affiatati tra loro. Questo miracolo (ma la mia vena santommasesca tituba…) non può che portare del bene al territorio, molto aperto anche dal punto di vista del turismo del vino.
Al momento che presenteremo i risultati parleremo anche delle varie tipologie di Franciacorta: qui voglio spendere due righe solo sul Saten che ci è sembrato il vino dalla collocazione più incerta. A parte il dosaggio zuccherino da registrare verso il basso non sono ancora riuscito a capire la vera anima di questa tipologia: in qualche caso aveva più corpo e nerbo dei cugini Brut, in altri eccessiva  morbidezza e struttura esile. Fin che dura l’onda lunga del bel nome non ci saranno problemi, ma forse sarebbe meglio mettersi sin da ora ad un tavolo e bicchieri alla mano stabilire confini più precisi per questa tipologia.
Il mio viaggio in Franciacorta mi ha anche portato a casa di un vecchio amico che, quando la politica del vino non lo porta lontano, è anche produttore franciacortino. Sto parlando di Riccardo Ricci Curbastro, da me intervistato nei panni di Presidente Federdoc……e non solo. L’intervista, che pubblicheremo verso la fine di luglio è stata molto spumeggiante, proprio come i vini della Franciacorta.
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Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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