Forse c’è speranza. I commenti ai dati del questionario.6 min read

121 risposte valide (quasi 150 quelle arrivate ma incomplete o difficilmente catalogabili)…se vi sembrano poche. I crudi numeri li troverete nell’articolo “Quali prodotti in cantina? Le prime risposte al questionario!” nella sezione Vinchiesta, vediamo adesso di commentarli, partendo dai nostri “comandamenti” 

1. Non siamo contro la tecnologia ma contro il suo uso indiscriminato.

2. Crediamo che molti prodotti o macchinari enologici servano solo a chi li produce.

3. Il futuro del vino di qualità italiano sta nella sua chiara e netta riconoscibilità ed unicità territoriale.

4. Questa  molto spesso è minata alla base da tecnologie e prodotti estremamente omologanti.

5. Se qualcosa deve essere usato vogliamo che sia riportato in etichetta o retroetichetta, come per qualsiasi altro prodotto alimentare.

Ora veniamo alle domande (le trovate nell’articolo “Si riparte!” nella sezione Editoriale) I produttori potevano scegliere tra cinque risposte:

A.  Fondamentali per produrre un buon vino.

B.  Necessari ma non fondamentali.

C.  Non Necessari.

D  Assolutamente inutili.

E   Inutili e dannosi per il vino.

Potevano anche dichiarare chiaramente (rispondendo “non so”.) di non avere un parere in merito.

La prima domanda riguardava l’anidride solforosa aggiunta: era un quesito quasi retorico visto l’utilizzo generalizzato che se ne fa. Infatti oltre il 70% dei produttori la ritiene fondamentale e circa il 28% necessaria. Solo un 2,5% la vede non necessaria e nessuno la giudica inutile o dannosa. La situazione cambia e non poco con  l’acidificazione tramite acido tartarico: solo un produttore risponde di ritenerla fondamentale, mentre il 37% la vede necessaria ma non fondamentale. Ben il 50% la ritiene non necessaria e circa il 10% addirittura inutile o dannosa. Visto che più del 60% dei produttori la reputano non positiva per un vino non capiamo perchè non si debba riportarla in etichetta, accanto magari alla microssigenazione (pratica che personalmente riteniamo innocua e molto proficua per i vini di immediato consumo) che vede una situazione similare.

Sui lieviti selezionati ci piace sottolineare quel 38% che li ritiene non necessari o addirittura inutili, Secondo noi è da qui che si può partire per ottenere, con minimi rischi, dei veri vini di territorio. Non possiamo però nascondere il fatto che oltre il 61% dei produttori li giudica importanti, anche se solo il 14% fondamentali. Consoliamoci del fatto che nessuno li giudica dannosi per il nostro amato vino. Sul discorso chiarifica abbiamo oltre il 65% dei produttori che la ritengono almeno necessaria: si scende al 55% se si parla di chiarifica tramite albumina (per noi la meno invasiva per il vino) e quindi “en passant”ci domandiamo quali altri sistemi adottino quel 10% che utilizzano altre pratiche. Sappiate comunque che quasi il 35% dei produttori sembra non chiarificare, il che ci sembra un dato quanto meno in “controtendenza”.

Più dei tre quarti del campione ritiene necessaria la filtrazione, dividendosi poi sul metodo. Quella a cartoni è la più gettonata mentre le farine fossili ed il filtro tangenziale vengono viste con maggior distacco e soprattutto con molti più dubbi sul danno che possono fare al vino. Infatti una media del 12% sceglie come risposta la lettera “E”. In questo caso sarebbe stato più giusto dividere la domanda per “tipologie” di vini (bianchi, giovani, frizzanti etc.) ma ci sembra di capire che il sentire comune vede come inevitabile o quasi (in molti casi chiudendo gli occhi sull’impoverimento del vino stesso) l’utilizzo di un sistema di filtrazione. Ben un 25% però sembra non tenerlo in considerazione e sinceramente ci sembra anche un dato surdimensionato rispetto a quanti sistemi di filtraggio vediamo girando per cantine. Altro processo  importante è la stabilizzazione a freddo, pratica fondamentale per quasi un 15% e necessaria per poco meno del 50% degli intervistati. Il dato che ci h più colpito è però quel 4,13% che la vede addirittura dannosa. Sinceramente ci sembra un allarme  ingiustificato, anche se forse ci si riferisce a refrigerazioni dove il vino diventa simile ad un gigantesco ghiacciolo.

Giustificatissimi sono invece i timori sull’uso dei diserbanti in vigna: un 37%  che li reputa inutili o dannosi, accanto ad un 36% che li vede non necessari ci fanno ben sperare per il futuro delle nostre terre. Continuiamo a sperare grazie alle risposte sul quesito dei mosti concentrati autoprodotti o acquistati, ritenuti necessari  da nemmeno un quinto (19%) dei produttori, mentre il 45% li ritiene o assolutamente inutili o addirittura dannosi. Quest’ultimo gruppone sale addirittura a quasi il 66% (23.96+42,14) quando si parla di riscaldare artificialmente il mosto sopra i 35°. Visto che solo 4 su 121 la ritengono necessaria mi sembrerebbe logico che tale pratica venisse ghettizzata e messa all’indice. Anche Concentratori e macchine per l’osmosi inversa non sembrano ben viste dal mondo produttivo: nessuno li vede indispensabili e solo un 10% ritiene i primi necessari. Questa percentuale scende al 4% con il macchinario per l’osmosi inversa. In entrambi i casi circa il 90% dei produttori usa il pollice verso. Pure in questo caso mi sembra tanto, forse troppo “il grasso che cola”, almeno basandosi sulle nostre conoscenze di cantine. Seguono tre domande provocatorie riguardanti macchinari molto poco conosciuti (spinning cone column, scambiatori di ioni e macchine per l’elettrodialisi) non voglio soffermarmi sulle loro funzioni ma solo osservare  che arriviamo in questo caso ai livelli più alti di “non so”. Andiamo infatti dal 18% per l’elettrodialisi al 31% della spinining cone column: speriamo che questi livelli rimangano inviariati nei secoli dei secoli!! Arriviamo così alle ultime 8 domande. Qui ci sono punti per noi preoccupanti: ci riferiamo a quel quasi 42% che ritiene necessari o fondamentali gli enzimi per fare il vino. Questo diventa un 30% parlando di gomma arabica, di tannini di varia natura e di preparati di lieviti. Ci sembrano cifre preoccupanti. Visto che questi prodotti cambiano non di poco il vino torniamo alla nostra prima richiesta: meglio non usarli ma se si deve bisogna riportarli in etichetta per permettere a chi non li usa di non perdere in partenza. Un buon 80% scarta quasi a priori le mannoproteine che però vengono viste come necessaria da circa un quinto dei produttori. Per fortuna su aromi artificiali e lieviti aromatici il gruppo si ricompatta  anche se quel 9 % in totale che reputa quest’ultimi necessari (ed in piccola parte fondamentali) non ci fa dormire sonni tranquilli.

C’era anche una domanda sui trucioli che abbiamo lasciato da ultimo perchè li riteniamo un falso problema. Da molti anni (per non dire moltissimi…) si trovano in commercio camuffati sotto vari nomi e chi li ha voluti usare non ha mai avuto problemi. Chi invece non li conosce speriamo rimanga nella sua beata ignoranza. Non crediamo facciano male al vino, fanno male soprattutto alla sua immagine qualitativa. Le risposte a questa domanda sono sicuramente dettate dalla forte pubblicizzazione fatta dell’argomento: in altre parole ci sembrano drogate dal dover per forza prendere la posizione “del bravo produttore” e quindi non le commentiamo. Diciamo solo che il riportarli in etichetta ci sembra il minimo per un produttore serio. 

In definitiva: alcuni dati sono abbastanza  confortanti, altri ci preoccupano non poco. Non sappiamo se vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. Per questo continueremo ad approfondire con altre iniziative. A presto!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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