In merito agli articoli sul Morellino di Scansano pubblicati nei giorni scorsi abbiamo avuto il piacere di ricevere due lettere personali da Erik Banti, storico produttore di Morellino. Gli abbiamo chiesto il permesso di poterle rendere pubbliche e lui, molto gentilmente, ha accettato. Le pubblichiamo di seguito. Come vedrete sono animate dalla sua notoria “vis polemica” ma portano uno spaccato, anche storico, del mondo del Morellino che crediamo sia importante mettere in risalto.
Caro Carlo, ricevo dall’altro Carlo in questo caso Merolli una sua disquisizione sul Morellino che leggo nel suo giornale on-line o blog che dir si voglia e mi perdoni il non saper distinguere le due cose.
Noto, con non poco rammarico,che per lei il Morellino esiste solo dopo l’avvento dei “Conquistadores” di fama o meno; questa informazione non rende giustizia alla storia del Morellino, se pur non datata come le ben più nobili e famose della toscana e le informazioni che da ai suoi lettori.
Mi piace ricordarle che già dai tempi napoleonici il Morello, Morellino ai tempi di oggi, veniva prodotto in ingenti quantità, parliamo di migliaia di quintali, destinando una parte di essi, la migliore, a “Superiore”.
Si erano accorti, da buon Francesi, dell’eccellenza delle sue terre e della riuscita ineguagliabile dei ceppi qui piantati. Ricordo inoltre che piante coltivate qui sono esposte in varie università toscane per la loro rigogliosità,oltre al fatto che quando il barone Ricasoli nel suo “Buen Ritiro” toscano istituì il disciplinare del Chianti, quasi tutti i vigneti furono eseguiti da “potini” Scansanesi con le marze da qui portate.
Per tornare ai nostri tempi (l’appellazione del Morellino è nata nel 1978) io ero già felicemente presente in zona con casa in Montemerano dove, stufo per un’attività frenetica che portavo avanti a Roma, avevo deciso di stabilirmi.
Dopo due anni di tentativi e notti insonni, nel 1981 uscii con la mia prima etichetta che ancora, con orgoglio, fregia il mio Morellino: all’epoca eravamo 5: Le Pupille, Mantellassi, Sellari Franceschini, la Cantina Sociale e il sottoscritto. I vigneti avevano sesti d’impianto 3 x 3, il cultivar era lo stesso che il Chianti ed ancora bevo le mie prime annate ‘82/’83 (purtroppo del 1981 non ne ho nessuna) e le posso garantire che sono p-e-r-f-e-t-t-e, per colore, profumi e sapori! Incredibile non potendo disporre in quegli anni di nessuna tecnologia, che ora accompagna me, parzialmente e tutti quei bei nomi che ha ricordato, ma solo tanto, tantissimo entusiasmo e gran voglia di fare!
Poi nacque il Ciabatta, forse per caso, accorgendomi di aver fatto qualcosa di speciale nell’85. Nei miei giri promozionali dell’epoca (quanti pieni di benzina, kilometri e treni di gomme ho consumato!) mi trovai nell’estate ’87 a Firenze, dove il titolare di un’enoteca, che non menziono per la sua importanza, mi apostrofò chiedendomi se il Morellino fosse un vino dolce ! (ben saprà che a Firenze ne veniva prodotto con questo nome), più tardi mi recai all’enoteca Pinchiorri, dove fui apostrofato che in maremma non era possibile fare “buoni vini” (chissà dove veniva fatto il Sassicaia!), per cui girai nei tacchi e ritornai nella mia bella maremma.
Caso vuole che nella guida del Gambero Rosso 1988 ebbi i tre bicchieri e la cena conviviale fu fatta da Pinchiorri a cui fece seguito un suo ordine a cui risposi che il vino non era disponibile.
Questi 3 bicchieri, all’epoca erano solo 18/20, e non un Rave Party come ai giorni nostri, furono seguiti da altri molto, forse troppo, lusinghieri giudizi da parte di tutta la stampa specializzate a non, hanno sollecitato l’interesse dei personaggi da lei nominati che, attratti da una vantaggiosa operazione d’investimento, sono scesi alla conquista della maremma.
Questi Signori, più o meno titolati, hanno fatto la rovina del Morellino, sollecitati poi da enologi stellari, distorcendo la sua tipicità con dissennate aggiunte di qualità francesi che vanno molto oltre quanto prevede il disciplinare e dando alla denominazione, solo per interessi meramente commerciali (rientro dell’investimento) una fama di vino emergente in un troppo breve lasso di tempo.
Mi verrebbe da ricordarle molti altri episodi, uno tra tutti evitando gli altri, di un arci-noto giornalista americano che nella scheda del Morellino lo definì vino che scimmiottava il Brunello, fu mio impegno scrivergli che si sbagliava, invitandolo a verificare di persona in loco la differenza, cosa che fece e da quel giorno m’inserì come produttore, unico in questo territorio.
Ma quelli erano tempi dei pionieri, dove noi, tutti, dal Piemonte al Veneto e giù per la penisola iniziavamo il nostro percorso nel vino per grande passione, con umiltà e sacrificio, tutti coesi in un’amicizia che ci faceva passare giornate e nottate all’insegna del nostro entusiasmo.
Non voglio contraddirla sui Merlot che menziona( vedi n.d.r.): le mie conoscenze su questo sono elementari, anche se avrei a che ridire, ma termine di questa tediosa lettera voglio significarle che il Morellino, con i suoi pregi e difetti, non esiste più, costretto a leggere articoli che di tutto parlano: produttori, vigneti a 6.000 ceppi/ha., merlot, enologi e mai di cosa E’ il Morellino, perché nessuno, ahimé, lo conosce !
Con le mie cordialità,
Erik Banti
Questa seconda lettera viene sia dopo una mia breve risposta che tralascio, sia dopo un intervento di Giampaolo Paglia sul suo blog.
Cari amici,
per rendervi tutti partecipi alle mie opinioni, divergenti dall’amico Gianpaolo Paglia e Carlo Macchi, mi permetto rendervi a tutti noto il mio pensiero.
A Gianpaolo: non voglio innescare alcuna polemica (tua risposta su blog), solo evidenziare la realtà che quando hai iniziato il tuo percorso nel Morellino non c’erano solo due realtà, Morris e le Pupille o con questo intendevi solo chi produceva “Buoni Vini”?, le realtà sono ben altre (leggi la mail inviata a Carlo Macchi) facendoti partecipe che quando, stanco dello stress per la mia attività di tour operator, mi ritrovai nella casetta di Montemerano e telefonai al buon Gino, correva l’anno 1978, chiedendogli se in maremma si poteva fare buon vino e mi rispose che questa poteva essere una zona di eccellenza invitandomi a contattare la famiglia Mantellassi, conobbi così il buon Ezio che mi prese a ben volere e mi aiutò, come un fraterno amico, ad iniziare ciò che ora sto ancora facendo con molto meno entusiasmo.
Mi ricordo che Ezio aveva le mani sporche di terra, come tutti noi ed un incontenibile entusiasmo per quello che faceva, privilegiandomi sempre di un posto alla sua tavola. Per questo gli sarò sempre grato e rispettoso in Sua Memoria.
Senza questi personaggi, tu e le altre “eccellenze” non sarebbero esiste o quanto meno avrebbero trovato questa terra meno “fertile”,
All’epoca e non parlo dell’800, ai sesti d’impianto erano 3×3, i vitigni a supporto del Sangiovese, qui chiamato Morellino, erano lo Spagna ed il Bordò, si andava a prendere le bottiglie con il camioncino e le etichette di notte con l’auto, le fermentazioni senza coadiuvanti, gli imbottigliamenti fatti a mano, ma eravamo fieri per i nostri vini che ancor oggi a distanza di quasi 30 anni risultano perfetti. Senza questi personaggi, tu e le altre “eccellenze” che menzioni assieme a Carlo non sarebbero esistite o quanto meno avrebbero trovato questa terre meno “fertile”.
Tempi nei quali le Pupille erano del professor Gentili che faceva vino per il suo piacere, come mio padre a “la Braccesca”, con l’enologo Giacomo Tachis, inviandolo ai suoi amici come dono Natalizio, Piacentini poi non so se nemmeno sapesse del Morellino.
Questi erano gli anni dove si “costruiva” l’identità del Morellino con sudore, passione, amore, cambi di treni di gomme e nottate insonni, per i quali e sui quali quelli venuti dopo hanno approfittato e costruito i loro investimenti molto più attratti da pingui ritorni economici ed il veder aumentare le loro spropositate manie di autostima (presunzione), tanto lì, pensavano, ci sono solo quattro bifolchi maremmani.
Mi sembra che ad oggi , nessuno di questi Signori, nobili o meno, abbiano riscosso gli sperati onori per le loro iniziative, tanto che la maggior parte di queste azienda sono in vendita.
Aggiungo inoltre che durante degustazioni cieche in presenza di enologi e persone qualificate, la maggior parte dei vini, seppur di buona fattura, veniva considerata “non farina del loro sacco”. Caro Gianpaolo, mi sembra che dai troppo risalto ed importanza ai riconoscimenti, ratings, grappoli, chioccioline, bicchieri e cuoricini: la gente, oramai più scafata (permettimi il termine) non corre più in edicola per acquistare questi tomi, non ha tempo di leggere blog, siti e giornalini vari, dando a tutto l’importanza che merita.
È già da tempo che non invio campioni per le degustazioni, fatta eccezione di W.S., in quanto assaggiatori e le loro testate si sono resi complici con uterini giudizi di :
-opera di pressione ad inserimenti pubblicitari per un aiutino….
-aumentare o diminuire punteggi espressi in degustazione a seconda dell’immagine del produttore
-differenziare di ben 5 punti lo stesso vino pur essendo uscito da uguale vasca, solo cambio di etichetta.
-dare eccelsi giudizi e vini non ancora prodotti, ma forse sono dei maghi.
-e tanto altro ancora (fatti e nomi non certo anonimi)
Aggiungo che i giudizi, positivi o meno, debbano essere fatti esclusivamente per partite superiori a 10.000 pezzi e non per vini “Ad Usum Delphini” di poche bottiglie, , cosa che capita, ho notato, anche per i vini portati in mostre e fiere, che per la loro esiguità non trovano riscontro nel mercato; sarebbe troppo facile per tutti noi “lavorare” un vino ad hoc selezionando qualche grappolo, una filare, una barrique ecc ecc., cosa che ho notato avviene per i vini presentati a fiere e mostre
Al, nuovo, amico Carlo Macchi, ho apprezzato la sua espressione del “Vino con le tette finte”, complimenti ! se vedo il bicchiere mezzo vuoto è dovuto alla mia attività che quest’anno mi ha dato la trentesima vendemmia, non avendo difficoltà a confessarle che il mio miglior vino, la prima etichetta data 1983, agli inizi degli anni duemila veniva venduto e terminato prima dell’imbottigliamento a 23.000 Lire con una produzione media di 30.000 bottiglie, mentre oggi e con molte meno bottiglie ho difficoltà ad ottenere 7 Euro.
La concorrenza non è il vicino; siamo in maremma una goccia d’acqua nel mare del vino prodotto, piuttosto la produzione dell’emisfero Australe con ottimi prodotti a prezzi per noi inattuabili, questo per quanto riguarda la mera commercializzazione.
Apprezzo anche la sua espressione del ritorno ai Morellini dal “rubino non molto intenso” che mi vanto di fare; ma chi lo deciderà, chi lo apprezzerà ?
Scrive poi di giovani, piccole azienda (chi?) che intraprendono con passione questa attività, ne ho visti i passato con libri d’istruzioni in mano mentre potavano!, ma si contraddice quando a seguire li cita “hanno imparato a concentrazioni” mossi più da richieste di mercato che da opinioni personali anche se orami distorte.
Sono d’accordo che ormai ed erroneamente il Morellino si sia appiattito ad uguali standard, negli anni passati però si diceva che vi era troppa differenza tra i produttori: chi ha ragione ? Personalmente il giudizio a cui tengo molto è la tipicità, dandogli molto peso nella degustazione (punteggio), aumentando il punteggio a quello più tipico e togliendolo a quello, forse migliore, ma anonimo nel suo territorio , di casi eclatanti ne ho a non finire, mi è anche accaduto , in manifestazioni dove partecipavano altri produttori di assaggiare bottiglie che dei sapori del Morellino avevano poco con cui spartire, oltre ad alcune “fallate” e non di tappo, eppur tutte passate in commissione di assaggio!
Di chi la colpa ? per me delle “New entries” o non tanto new insicuri, ma presuntuosi, con l’avvallo e consulenza di enologi idolatrati come stelle, che però fanno vini indipendentemente dalla zona a fotocopia, se vuole approfondiamo anche la questione tropo lunga per scriverla qui.
Insomma per concludere, i premi al Morellino ci sono stati, ma prima dei personaggi che menziona come “Titolari” del Morellino che hanno svilito, umiliato e defraudato la tipicità dei nostri vini che, posso ammettere a qualcuno non gradito, ma che rispecchiavano a pieno le nostre qualità di vino semplice, piacevole e beverino. Meglio per me un vino che richiede di essere bevuto e che presto la bottiglia è vuota, che un altro di cui tutti decantano le qualità (quali?) ma che a fine pasto ne rimane mezza bottiglia!
Ragazzi, volate più basso!
Grazie per la lettura e con le mie cordialità
Erik Banti