Erik Banti: per me il Morellino è….11 min read

In merito agli articoli sul Morellino di Scansano pubblicati nei giorni scorsi abbiamo avuto il piacere di ricevere due lettere personali da Erik Banti, storico produttore di Morellino. Gli abbiamo chiesto il permesso di poterle rendere pubbliche e lui, molto gentilmente, ha accettato. Le pubblichiamo di seguito. Come vedrete sono animate dalla sua notoria “vis polemica” ma portano uno spaccato, anche storico, del mondo del Morellino che crediamo sia importante mettere in risalto.

Caro Carlo, ricevo dall’altro Carlo in questo caso Merolli una sua disquisizione sul Morellino che leggo nel suo giornale on-line o blog che dir si voglia e mi perdoni il non saper distinguere le due cose.
Noto, con non poco rammarico,che per lei il Morellino esiste solo dopo l’avvento dei “Conquistadores” di fama o meno; questa informazione non rende giustizia alla storia del Morellino, se pur non datata come le ben più nobili e famose della toscana e le informazioni che da ai suoi lettori.
Mi piace ricordarle che già dai tempi napoleonici il Morello, Morellino ai tempi di oggi, veniva prodotto in ingenti quantità, parliamo di migliaia di quintali, destinando una parte di essi, la migliore, a “Superiore”.
Si erano accorti, da buon Francesi, dell’eccellenza delle sue terre e della riuscita ineguagliabile dei ceppi qui piantati. Ricordo inoltre che piante coltivate qui sono esposte in varie università toscane per la loro rigogliosità,oltre al fatto che quando il barone Ricasoli nel suo “Buen Ritiro” toscano istituì il disciplinare del Chianti, quasi tutti i vigneti furono eseguiti da “potini” Scansanesi con le marze da qui portate.
Per tornare ai nostri tempi (l’appellazione del Morellino è nata nel 1978) io ero già felicemente presente in zona con casa in Montemerano dove, stufo per un’attività frenetica che portavo avanti a Roma, avevo deciso di stabilirmi.
Dopo due anni di tentativi e notti insonni, nel 1981 uscii con la mia prima etichetta che ancora, con orgoglio, fregia il mio Morellino: all’epoca eravamo 5: Le Pupille, Mantellassi, Sellari Franceschini, la Cantina Sociale e il sottoscritto. I vigneti avevano sesti d’impianto 3 x 3,  il cultivar era lo stesso che il Chianti ed ancora bevo le mie prime annate ‘82/’83 (purtroppo del 1981 non ne ho nessuna) e le posso garantire che sono p-e-r-f-e-t-t-e, per colore, profumi e sapori! Incredibile non potendo disporre in quegli anni di nessuna tecnologia, che ora accompagna me, parzialmente e tutti quei bei nomi che ha ricordato, ma solo tanto, tantissimo entusiasmo e gran voglia di fare!
Poi nacque il Ciabatta, forse per caso, accorgendomi di aver fatto qualcosa di speciale nell’85. Nei miei giri promozionali dell’epoca (quanti pieni di benzina, kilometri e treni di gomme ho consumato!) mi trovai nell’estate ’87 a Firenze, dove il titolare di un’enoteca, che non menziono per la sua importanza, mi apostrofò chiedendomi se il Morellino fosse un vino dolce ! (ben saprà che a Firenze ne veniva prodotto con questo nome), più tardi mi recai all’enoteca Pinchiorri, dove fui apostrofato che in maremma non era possibile fare “buoni vini” (chissà dove veniva fatto il Sassicaia!), per cui girai nei tacchi e ritornai nella mia bella maremma.
Caso vuole che nella guida del Gambero Rosso 1988 ebbi i tre bicchieri e la cena conviviale fu fatta da Pinchiorri a cui fece seguito un suo ordine a cui risposi che il vino non era disponibile.
Questi 3 bicchieri, all’epoca erano solo 18/20, e non un Rave Party come ai giorni nostri, furono seguiti da altri molto, forse troppo, lusinghieri giudizi da parte di tutta la stampa specializzate a non, hanno  sollecitato l’interesse dei personaggi da lei nominati che, attratti da una vantaggiosa operazione d’investimento, sono scesi alla conquista della maremma.
Questi Signori, più o meno titolati, hanno fatto la rovina del Morellino, sollecitati poi da enologi stellari, distorcendo la sua tipicità con dissennate aggiunte di qualità francesi che vanno molto oltre quanto prevede il disciplinare e dando alla denominazione, solo per interessi meramente commerciali (rientro dell’investimento) una fama di vino emergente in un troppo breve lasso di tempo.
Mi verrebbe da ricordarle molti altri episodi, uno tra tutti evitando gli altri, di un arci-noto giornalista americano che nella scheda del Morellino lo definì vino che scimmiottava il Brunello, fu mio impegno scrivergli che si sbagliava, invitandolo a verificare di persona in loco la differenza, cosa che fece e da quel giorno m’inserì come produttore, unico in questo territorio.
Ma quelli erano tempi dei pionieri, dove noi, tutti, dal Piemonte al Veneto e giù per la penisola iniziavamo il nostro percorso nel vino per grande passione, con umiltà e sacrificio, tutti coesi in un’amicizia che ci faceva passare giornate e nottate all’insegna del nostro entusiasmo.
Non voglio contraddirla sui Merlot che menziona( vedi  n.d.r.): le mie conoscenze su questo sono elementari, anche se avrei a che ridire, ma termine di questa tediosa lettera voglio significarle che il Morellino, con i suoi pregi e difetti, non esiste più, costretto a leggere articoli che di tutto parlano: produttori, vigneti a 6.000 ceppi/ha., merlot, enologi e mai di cosa E’ il Morellino, perché nessuno, ahimé, lo conosce !
Con le mie cordialità,
Erik Banti   

     

 

Questa seconda lettera viene sia dopo una mia breve risposta che tralascio, sia dopo un intervento di Giampaolo Paglia sul suo blog.

Cari amici,
per rendervi tutti partecipi alle mie opinioni, divergenti dall’amico Gianpaolo Paglia e Carlo Macchi, mi permetto rendervi a tutti noto il mio pensiero.
A Gianpaolo: non voglio innescare alcuna polemica (tua risposta su blog), solo evidenziare la realtà che quando hai iniziato il tuo percorso nel Morellino non c’erano solo due realtà, Morris e le Pupille o con questo intendevi solo chi produceva “Buoni Vini”?, le realtà sono ben altre (leggi la mail inviata a Carlo Macchi) facendoti partecipe che quando, stanco dello stress per la mia attività di tour operator, mi ritrovai nella casetta di Montemerano e telefonai al buon Gino, correva l’anno 1978, chiedendogli se in maremma si poteva fare buon vino e mi rispose che questa poteva essere una zona di eccellenza invitandomi a contattare la famiglia Mantellassi, conobbi così il buon Ezio che mi prese a ben volere e mi aiutò, come un fraterno amico, ad iniziare ciò che ora sto ancora facendo con molto meno entusiasmo.
Mi ricordo che Ezio aveva le mani sporche di terra, come tutti noi ed un incontenibile entusiasmo per quello che faceva, privilegiandomi sempre di un posto alla sua tavola. Per questo gli sarò sempre grato e rispettoso in Sua Memoria.
 Senza questi personaggi, tu e le altre “eccellenze” non sarebbero esiste o quanto meno avrebbero trovato questa terra meno “fertile”,
All’epoca e non parlo dell’800, ai sesti d’impianto erano 3×3, i vitigni a supporto del Sangiovese, qui chiamato Morellino, erano lo Spagna ed il Bordò, si andava a prendere le bottiglie con il camioncino e le etichette di notte con l’auto, le fermentazioni senza coadiuvanti, gli imbottigliamenti fatti a mano, ma eravamo fieri per i nostri vini che ancor oggi a distanza di quasi 30 anni risultano perfetti. Senza  questi personaggi, tu e le altre “eccellenze” che menzioni assieme a Carlo non sarebbero esistite o quanto meno avrebbero trovato questa terre meno “fertile”.  
Tempi nei quali le Pupille erano del professor Gentili che faceva vino per il suo piacere, come mio padre a “la Braccesca”, con l’enologo Giacomo Tachis, inviandolo ai suoi amici come dono Natalizio, Piacentini poi non so se nemmeno sapesse del Morellino.
Questi erano gli anni dove si “costruiva” l’identità del Morellino con sudore, passione, amore, cambi di treni di gomme e nottate insonni, per i quali e sui quali quelli venuti dopo hanno approfittato e costruito i loro investimenti molto più attratti da pingui ritorni economici ed il veder aumentare le loro spropositate manie di autostima (presunzione), tanto lì, pensavano, ci sono solo quattro bifolchi maremmani.
Mi sembra che ad oggi , nessuno di questi Signori, nobili o meno, abbiano riscosso gli sperati onori per le loro iniziative, tanto che la maggior parte di queste azienda sono in vendita.
Aggiungo inoltre che durante degustazioni cieche in presenza di enologi e persone qualificate, la maggior parte dei vini, seppur di buona fattura, veniva considerata “non farina del loro sacco”.     Caro Gianpaolo, mi sembra che dai troppo risalto ed importanza ai riconoscimenti, ratings, grappoli, chioccioline, bicchieri e cuoricini: la gente, oramai più scafata (permettimi il termine) non corre più in edicola per acquistare questi tomi, non ha tempo di leggere blog, siti e giornalini vari, dando a tutto l’importanza che merita.
È già da tempo che non invio campioni per le degustazioni, fatta eccezione di W.S.,  in quanto assaggiatori e le loro testate si sono resi complici con uterini giudizi di : 
-opera di pressione ad inserimenti pubblicitari per un aiutino….
-aumentare o diminuire punteggi espressi in degustazione a seconda dell’immagine del produttore
-differenziare di ben 5 punti lo stesso vino pur essendo uscito da uguale vasca, solo cambio di etichetta.
-dare eccelsi giudizi e vini non ancora prodotti, ma forse sono dei maghi.
-e tanto altro ancora (fatti e nomi non certo anonimi)

Aggiungo che i giudizi, positivi o meno, debbano essere fatti esclusivamente per partite superiori a 10.000 pezzi e non per vini “Ad Usum Delphini” di poche bottiglie, , cosa che capita, ho notato, anche per i vini portati in mostre e fiere, che per la loro esiguità non trovano riscontro nel mercato; sarebbe troppo facile per tutti noi “lavorare” un vino ad hoc selezionando qualche grappolo, una filare, una barrique ecc ecc., cosa che ho notato avviene per i vini presentati a fiere e mostre       
Al, nuovo, amico Carlo Macchi, ho apprezzato la sua espressione del “Vino con le tette finte”, complimenti ! se vedo il bicchiere mezzo vuoto è dovuto alla mia attività che quest’anno mi ha dato la trentesima vendemmia, non avendo difficoltà a confessarle che il mio miglior vino, la prima etichetta data 1983, agli inizi degli anni duemila veniva venduto e terminato prima dell’imbottigliamento a 23.000 Lire con una produzione media di 30.000 bottiglie, mentre oggi e con molte meno bottiglie ho difficoltà ad ottenere 7 Euro.
La concorrenza non è il vicino; siamo in maremma una goccia d’acqua nel mare del vino prodotto, piuttosto la produzione dell’emisfero Australe con ottimi prodotti a prezzi per noi inattuabili, questo per quanto riguarda la mera commercializzazione.
Apprezzo anche la sua espressione del ritorno ai Morellini dal “rubino non molto intenso” che mi vanto di fare; ma chi lo deciderà, chi lo apprezzerà ?
Scrive poi di giovani, piccole azienda (chi?) che intraprendono con passione questa attività, ne ho visti i passato con libri d’istruzioni in mano mentre potavano!, ma si contraddice quando a seguire li cita “hanno imparato a concentrazioni” mossi più da richieste di mercato che da opinioni personali anche se orami distorte.
Sono d’accordo che ormai ed erroneamente il Morellino si sia appiattito ad uguali standard, negli anni passati però si diceva che vi era troppa differenza tra i produttori: chi ha ragione ? Personalmente il giudizio a cui tengo molto è la tipicità, dandogli molto peso nella degustazione (punteggio), aumentando il punteggio a quello più tipico e togliendolo a quello, forse migliore, ma anonimo nel suo territorio , di casi eclatanti ne ho a non finire, mi è anche accaduto , in manifestazioni dove partecipavano altri produttori di assaggiare bottiglie che dei sapori del Morellino avevano poco con cui spartire, oltre ad alcune “fallate” e non di tappo, eppur tutte passate in commissione di assaggio!
Di chi la colpa ? per me delle “New entries” o non tanto new insicuri, ma presuntuosi, con l’avvallo e consulenza di enologi idolatrati come stelle, che però fanno vini indipendentemente dalla zona a fotocopia, se vuole approfondiamo anche la questione tropo lunga per scriverla qui.                                          
Insomma per concludere, i premi al Morellino ci sono stati, ma prima  dei personaggi che menziona come “Titolari” del Morellino che hanno svilito, umiliato e defraudato la tipicità dei nostri vini che, posso ammettere a qualcuno non gradito, ma che rispecchiavano a pieno le nostre qualità di vino semplice, piacevole e beverino. Meglio per me un vino che richiede di essere bevuto e che presto la bottiglia è vuota, che un altro di cui tutti decantano le qualità (quali?) ma che a fine pasto ne rimane mezza bottiglia!
Ragazzi, volate più basso!
Grazie per la lettura e con le mie cordialità

Erik Banti

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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0 responses to “Erik Banti: per me il Morellino è….11 min read

  1. Onore ad Erik, che giustamente ha tenuto a mettere i puntini sulle “i”. Erik ha dato molto al Morellino, spero che possa e voglia continuare a farlo, perche’ la DOCG ne ha davvero bisogno.
    Mi rammarico di vedere come siamo sempre gli stessi 4 gatti a parlare di visioni, a mettere qualche problema sul tappeto, a voler stimolare un dibattito che non sia una semplice diatriba sul passato, ma che serva da stimolo per i prossimi 10 anni che io credo saranno critici per la nostra denominazione. Dovremo dimostrare, al mondo e a noi stessi, che siamo capaci di sviluppare e intepretare degnamente le potenzialita’ di questo territorio, che sono molte.

  2. Hai ragione Giampaolo! E’ triste vedere come ben pochi abbiano voglia di esporsi e fare qualcosa per il proprio territorio.Torno a riririripensare che si diranno “Tanto non cambierà  niente” e quindi non fanno niente….cosଠnon rischiano di non avere ragione.

  3. leggo molta nostalgia per i bei tempi andati nelle parole di erik banti e purtroppo poche aspettative per il futuro di questo vino.

    personalemte, frequento e vivo la maremma da quando sono nato, ritengo che il morellino sia molto cambiato dagli anni 80 ad oggi e non mancano produttori che si impegnano con grande entusiasmo e sacrificio proprio come allora faceva banti.

    accanto ai garndi nomi (più o meno criticati e criticabili per gli scarsi risultati ottenuti) ci sono nuovi produttori forse più anonimi, ma che stanno dimostrando di amare questa terra e di rispettarne la tipicità  nei loro vini.

    certo quello che è cambiato nel farttempo sono sicuramente le prospettive di sviluppo del settore che negli anni 80 cominciava appena a nascere offrendo ai pochi fortunati spazi enormi. oggi invece gli spazi sono sempre meno. schiacciati tra crisi econimiche e concorrenze da mercati globali che poi sono i veri ostacoli da superare.

    è difficile, se non impossibile, pensare che i presupposti che hanno fatto la fortuna dei produttori di allora, descritti molto bene da banti, possano essere sufficienti per il successo dei produttori che oggi cercano di stare sul mercato.

    la stessa presenza della rete, di questo spazio che ci sta ospitando in questo momento, ne è una prova. un mondo che solo pochi anni fa non esisteva e che nel bene o nel male ci accompagna ogni giorno nel nostro lavoro, anche nostro malgrado.

    un saluto
    vincenzo ciaceri

  4. io spero che questi produttori di cui parla Vincenzo (ed uno e’ certamente lui) possano uscire alla luce del sole e contribuire al dibattito su qualcosa che effettivamente dovrebbe stargli molto a cuore. Aprire la finestra, fare entrare aria e luce, togliere le ragnatele, sbattere i materassi, questo ci vuole.

  5. Se il passato serve per capire il presente e pensare al futuro è anche vero, come dice Vincenzo, che occorrono mezzi e sistemi diversi per attrezzarsi al domani. Lancio cosଠuna proposta che in politichese potrebbe essere definitia “transitoria”. Intanto facciamo parlare il vino: riuniamo attorno ad un tavolo il maggior numero possibile di produttori con le loro vecchie bottiglie e parliamo di come erano, di come erano fatte e di come vengono fatte oggi. Vediamo cosa è cambiato praticamente e cerchiamo di intravedere un filo da seguire (ognuno nella propria giusta diversità ). Se non volete giornalisti tra i piedi per poter parlare fuori dai denti va bene lo stesso, basta farlo.

  6. l’idea di un incontro tra produttori, anche sollecitato da gianpaolo sul suo blog, la condivido a pieno. è un abitudine che purtroppo non abbiamo e che in altri luoghi è invece prassi (penso al piemonte).
    ricordo qualche anno fa fui invitato ad una cena da andrea zanfi insieme ad altri produttori che aveva selezionato in occasione di una degustazione della strada dei vini.
    le premesse dell’incontro erano proprio un confronto tra colleghi per capire quali fossero le nostre prospettive la nostra idea di morellino.
    fu molto interessante e non nascondo che alcuni spunti e suggerimenti (si parlo di cloni autoctoni di morellino ancora presenti in alcuni vigneti, grappoli sprgoli vs grappoli a bacca grossa, innovazione/sperimentazione del tipo di allevamento, etc) di quella sera furono poi, per me, uno stimolo per gli anni successivi.
    a questo punto mi rivolgo a lei carlo, potrebbe essere un idea su cui lavorare! la presenza e la regia di una figura professionale del mondo del giornalismo potrebbe essere ideale come moderatore e ispiratore dell’evento (rigorosamente informale, chiaramente).
    un saluto, vincenzo

  7. Ho avuto poche occasioni per incontrare il sig. Banti, ma il suo nome è sicuramente associato ai primi ricordi che ho del mondo del vino, grazie alla memoria storica di mio nonno Romeo che spesso lo cita quando mi ricorda in quanti erano all’inizio a imbottigliare vino in Maremma. Condivido molto di quanto scritto, proprio perché leggo nelle righe delle due lettere un rammarico per un tempo che non c’è più e per l’essersi visti passare avanti molte nuove realtà . Questi discorsi spesso li sento anche in famiglia, pertanto non possono scivolarmi addosso: d’altronde quando uno ha passato una vita a coltivare un sogno meriterebbe sempre di essere ripagato. Tuttavia non tutto quello che è accaduto in questi anni è da buttar via: aumentare le densità  d’impianto e ricorrere alla tecnologia in cantina (non solo alla chimica, beninteso!), credo abbiano contribuito a migliorare la qualità  generale di un prodotto che forse 30 anni fa era meno appetibile. Concordo che adesso la concorrenza sia enorme, ma non possiamo metterci a combattere con le stesse armi degli australiani, dei sud africani o dei cileni: loro hanno un mercato fatto di vini “di vitigno” (essenzialmente Cabernet, Merlot e Chardonnay), noi abbiamo la fortuna di poter giocare sul piano dei vini “di territorio” che possono regalare agli acquirenti emozioni legate strettamente alla nostra terra e alle persone che ci vivono. Naturalmente questo mio commento nasce dalla critica, ma credo sia una provocazione, di Erik nei confronti di noi giovani: io per primo credo fermamente che il modo migliore di imparare un mestiere sia quello di fare pratica sul campo anziché sui libri (lo dice uno che ha visto l’incredibile abisso che c’è fra università  e mondo del lavoro), ma sono anche convinto che serva lo studio per essere preparati ad affrontare questioni pratiche e soprattutto per aprirsi la mente e confrontarsi con altri giovani e altre realtà  che non siano solo quelle dei nostri vicini di casa. Vi lamentate sempre che i giovani non hanno più valori e poi quando li ricercano nella terra e nelle proprie radici siete pronti a bastonarli?
    Per quel che riguarda l’idea di assaggiare le annate vecchie, mi sembra una cosa molto stimolante. Noi come Villa Patrizia abbiamo partecipato ad una degustazione di annate storiche di Morellino a Scansano lo scorso settembre, mentre sabato eravamo a Firenze a confrontarci con Chianti del ”˜91 e Nobile dell’86 schierando il nostro Villa Patrizia ’95 (era un vino da tavola, biologico e con solforose quasi inesistenti!): entrambe le volte abbiamo avuto delle piacevoli sorprese, quindi siamo pronti a “giocare” anche stavolta!

  8. Speriamo che molti produttori maremmani seguano l’esempio di Alessio e siano disponibili per un confronto aperto.

  9. @Alessio. Sei fortunato perche’ puoi convivere con la tua gioventu, preparazione e freschezza, con l’esperienza e la memoria storica di una persona come tuo nonno Romeo, che ha ancora molto da dire e da insegnare ai nostri vini.
    Qual’e’ l’idea di vino che vuoi fare, cosa ti differenzia da tuo nonno, e cosa ne pensa lui di questa discussione e cosa pensa che si dovrebbe fare, noi produttori (la prima cosa che si dovrebbe fare e’ capire che si deve fare noi, e non qualcun altro, il consorzio, la provincia, la CCIAA)?

  10. In realtà  l’idea di vino che ho io è molto semplice e non si discosta da quello che stiamo facendo in azienda. Chi assaggia i nostri vini li trova molto legati al territorio e questa è la nostra forza che io dovrò far mia cercando di imparare il più possibile dall’esempio che ho in casa e coniugando il tutto con quello che il mio percorso di formazione mi darà . Il Morellino è almeno all’85% Sangiovese, un vitigno non facile da amare al primo impatto: tuttavia credo che la via della risalita stia proprio nella riscoperta delle caratteristiche vere del nostro vitigno principe, con la sua acidità  e astringenza che mangiando invogliano alla beva, magari alleviate da qualche tempo di affinamento. E’ inutile cercare di renderlo più accattivante in cantina. A me negli anni piacerebbe puntare sui vitigni autoctoni, ma senza demonizzare i grandi vitigni come Merlot e Cabernet, anche perchè uno deve fare i conti con quello che ha in vigna. Avere più tipologie ed almeno un IGT permette alle aziende di allargare l’offerta. Naturalmente tutto questo deve essere inserito in un “pacchetto” capace di attirare i consumatori verso i nostri prodotti perchè simbolo di genuinità  e qualità  provenienti da una terra meravigliosa che per forza di cose dovrà  essere conosciuta; mi piacerebbe che su tutte le nostre etichette fosse possibile in qualche modo riportare la dicitura “Maremma”, indipendentemente dalla creazione di una DOC con questo nome. Però questi, lo ripeto, sono solo pensieri di una persona che ancora non conosce bene il sistema, ma che vede tutti i giorni che lavorando in modo semplice, preciso e con passione (perchè prima di tutto si fa il vino per amore del mestiere) qualche riconoscimento si ottiene. Certo i tempi sono duri e il tiro a ribasso del prezzo deve essere per forza di cose arginato. Per quel che riguarda mio nonno ogni tanto pensa di abbandonare il Morellino, ma poi arriva qualcuno in azienda a degustare Le Valentane e gongolando ritorna sui suoi passi… lui adesso è in una fase della vita in cui sa di aver dato il massimo, quindi passa le sue giornate a far quello che sa far meglio e che gli dà  linfa vitale: il vino, curandolo dalla pianta alla bottiglia. Le questioni politiche e commerciali ormai preferisce lasciarle ad altri. Comunque penso che queste discussioni fra noi produttori siano utilissime (per me tantissimo) alla crescita del sistema e bisognerebbe incentivarle, magari anche con iniziative come quella che è venuta fuori dai commenti a questo articolo.

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