Domenica 20 ottobre sono stata a “Grasparossa, qualità senza riserve”, evento organizzato al Castello di Levizzano, a due passi da Castelvetro, che vedeva protagonista appunto il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro.
Non è stato solo vino ma anche Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Modena, pasta fresca fatta a mattarello, aceto balsamico tradizionale, show di cucina moderna, presentazione di nuovi sistemi di cottura alla griglia, incontri e dibattiti.
L’ambientazione è stata molto suggestiva con i banchi sparsi per le sale del castello. Le aziende produttrici di vino erano 16, alcune a noi già note e recensite nelle degustazioni, altre sconosciute. Da buona curiosa, sperando in sorprese straordinarie, ho puntato la mia attenzione su queste ultime. Così ho fatto una piccola scoperta: il Lambrusco fatto con “metodo ancestrale”. Per le sorprese straordinarie dobbiamo rimandare.
Ma cominciamo dall’inizio. La prima sala è stata quella della pasta fresca fatta e tirata a mano , ma purtroppo era al piano terra, lontana dal cuore dell’evento, che si sviluppava al primo piano del castello e nella sala centrale, dove sono avvenute le performance di cucina moderna e dove la gente si è affollata per degustare il piatto di Sadler (stinco di maiale con funghi e polenta: la particolarità era nel metodo di cottura sotto vuoto e a basse temperature). Credo che gli “sfoglini” meritassero di avere un palcoscenico migliore e che i numerosi presenti all’ora di pranzo si aspettassero anche una preparazione di assaggi di pasta fresca: che so, due tagliatelle al ragù di prosciutto per esempio non sarebbero state male. Ma non è stato.
I produttori sono stati riuniti al primo piano. Grandi aziende molto note come CIV e CIV o Cleto Chiarli e piccole realtà come Benedetta B ( uno splendido rosato Doc, nome di fantasia Oro Rosa) o come Tenuta Stufanello, che si è presentato con un Grasparossa intenso per colore, profumi e sapore, ma anche con uno spumante bianco senza nome, un esperimento da far assaggiare in giro (Pinot bianco e Trebbiano).
C’era la cantina Pederzana, che cerca visibilità internazionale e rivendica con orgoglio la citazione su Wine Spectator, ma sinceramente non mi ha impressionato. C’era l’azienda San Polo che punta tutto sul Biologico, ma non può ancora riportarlo in etichetta; ha comunque dei prodotti di tutto rispetto, come un Grasparossa con 10% di Cabernet Sauvignon (nome di fantasia Saio) insolito, fine, in cui il vegetale del Cabernet riesce a spegnere l’esuberanza del Lambrusco. E’ l’azienda Boni che usa il metodo ancestrale nei suoi vini frizzanti (Chardonnay con 10% di Pinot nero dal nome Tisbrino , Lambruschi dell’Emilia IGT Ramorosso e Ramonero,) e in cui tutte le annate di produzione sono indicate in etichetta. Questi vini, rifermentati in bottiglia e non sboccati, mantengono netto il profumo e il sapore di lieviti.
Un ultima notizia: si sentiva parlare inglese nelle sale. Un mucchio di domande sui processi di vinificazione, appunti presi sui tablets, accenti chiaramente americani… Interesse per il Lambrusco Grasparossa?