E se il Grasparossa interessasse?3 min read

Domenica 20 ottobre sono stata a “Grasparossa, qualità senza riserve”,  evento organizzato al Castello di Levizzano, a due passi da Castelvetro, che vedeva protagonista appunto  il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro.

Non è stato solo vino ma anche Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Modena, pasta fresca fatta a mattarello, aceto balsamico tradizionale, show di cucina moderna, presentazione di nuovi sistemi di cottura alla griglia, incontri e dibattiti.

L’ambientazione è stata molto suggestiva con i banchi sparsi per le sale del castello. Le aziende produttrici di vino erano 16, alcune a noi già note e recensite nelle degustazioni, altre  sconosciute. Da buona curiosa, sperando in sorprese straordinarie, ho puntato la mia attenzione  su queste ultime. Così ho fatto una piccola scoperta: il Lambrusco fatto con “metodo ancestrale”. Per le sorprese straordinarie dobbiamo rimandare.

Ma cominciamo dall’inizio. La prima sala è stata quella della pasta fresca fatta e tirata a mano , ma purtroppo era al piano terra, lontana dal cuore dell’evento, che si sviluppava al primo piano del castello e nella sala centrale, dove sono avvenute le performance di cucina moderna e dove la gente si è affollata per degustare il piatto di Sadler (stinco di maiale con funghi e polenta: la particolarità era nel metodo di cottura sotto vuoto e a basse temperature). Credo che gli “sfoglini” meritassero di avere un palcoscenico migliore e che i numerosi presenti all’ora di pranzo si aspettassero anche una preparazione di assaggi di pasta fresca: che so, due tagliatelle al ragù di prosciutto per esempio non sarebbero state male. Ma non è stato.

I produttori sono stati riuniti al primo piano. Grandi aziende molto note come CIV e CIV  o Cleto Chiarli e piccole realtà come Benedetta B ( uno splendido rosato Doc, nome di fantasia Oro Rosa) o come Tenuta Stufanello, che si è presentato con un Grasparossa intenso per colore, profumi e sapore, ma anche con uno spumante bianco senza nome, un esperimento da far assaggiare in giro (Pinot bianco e Trebbiano).

C’era la cantina Pederzana, che cerca visibilità internazionale e rivendica con orgoglio la citazione su Wine Spectator, ma sinceramente non mi ha impressionato. C’era l’azienda San Polo che punta tutto sul Biologico, ma non può ancora riportarlo in etichetta; ha comunque dei prodotti di tutto rispetto, come un Grasparossa con 10% di Cabernet Sauvignon (nome di fantasia Saio) insolito, fine, in cui il vegetale del Cabernet  riesce a spegnere l’esuberanza del Lambrusco. E’ l’azienda Boni che usa il metodo ancestrale nei suoi vini frizzanti (Chardonnay con 10% di Pinot nero dal nome Tisbrino , Lambruschi dell’Emilia IGT Ramorosso e Ramonero,) e  in cui tutte le annate di produzione sono indicate in etichetta. Questi vini, rifermentati in bottiglia e non sboccati, mantengono  netto il profumo e il sapore di lieviti.

Un ultima notizia: si sentiva parlare inglese nelle sale. Un mucchio di domande sui processi di vinificazione, appunti presi sui tablets, accenti chiaramente americani… Interesse per il Lambrusco Grasparossa?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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