La risata era il suo biglietto da visita: partiva quasi con un sospiro per poi esplodere e riempire lo spazio. Fabio riusciva sempre a riempire lo spazio, a non passare inosservato.
Del resto da uno che aveva idee a raffica come le sue non si poteva aspettare di meno.
Lo vidi la prima volta più di 30 anni fa e mi colpì il suo modo irriverente e geniale di sposare il sacro col profano, di mischiare la semplicità della cucina toscana con la sacralità dei gesti e delle atmosfere dei grandi ristoranti stellati. Il Cibreo era una perfetta sintesi di questo e proprio per questo ha avuto un successo notevole.
Ma accanto al Cibreo c’era il Cibreino, non solo un modo per “finire” gli avanzi ma un vero e proprio atto d’amore verso l’osteria, quella dove ci si sedeva e si mangiava quello che c’era, quasi in comunione con gli altri.
Poi la sublimazione del Teatro del sale, dove l’aria profumava di cibo e di belle parole e dove la voglia di stupire riusciva sempre a stupire.
Non è facile azzeccare un locale, figuriamoci tre, senza parlare del Caffè e delle sue mille attività, anche letterarie.
Fabio aveva l’allegria del genio e sapeva contagiare gli altri. Ora non c’è più e probabilmente non ci sarà più uno come lui.
Ciao Fabio.