Donnas: roccia, terra e bosco fatti vino7 min read

Donnas: roccia, terra e bosco fatti vino
Un tesoro enoico della Valle d’Aosta tutto da scoprire.

Non preoccupatevi, non ho preso un colpo di sole e so benissimo che siamo a fine luglio, che il termometro è ben oltre i trenta gradi e che con questo caldo di bere rossi, tanto più se corposi, non se ne parla nemmeno. Eppure e non solo perché ne sono innamorato perso ho scelto di consigliarvi ugualmente un rosso e non un rosso stile “vinino”, leggero, beverino, da servire più fresco del solito nelle serate estive, ma nientemeno che un vino base Nebbiolo. L’ho fatto guardando alla geografia e ai percorsi turistici di questo periodo che precede di poco agosto, ben consapevole che la magnifica Vallée d’Aoste costituisce, per chi ama la montagna, una delle mete più ambite e altrettanto lo è per il turista goloso, quello che non manca di scegliere mai come meta dei propri itinerari culle del mangiar bere bene. Per trovare questo Nebbiolo, che al limite potrete limitarvi ad acquistare per poi stivarlo nelle vostre cantine e gustarlo quando le temperature saranno meno elevate, vi invito a salire ai limiti della Vallée, in Bassa Valle, in una delle primissime località che s’incontrano salendo da Ivrea in direzione Aosta. Al confine con la provincia di Torino, dove, estrema propaggine di Piemonte in un paesaggio che è già interamente valdostano si trova il borgo vinicolo di Carema, vi invito a fermarvi, a 300 metri di altezza, in uno scenario che è l’esaltazione della viticoltura eroica, con vigneti terrazzati a grande pendenza letteralmente strappati alla roccia, a Donnas. Un piccolo paese, dove, come si legge, già “nel primo secolo a.C. i Romani lasciarono una visibile impronta della loro civiltà, scalpellando nella viva roccia , per più di 200 metri, una strada ed un arco di pietra sotto il quale transitavano i carri che percorrevano la via delle Gallie”. A Donnas la viticoltura ha tradizioni antichissime ed è stata una ovvia conseguenza, venendo ai tempi nostri, all’epoca successiva alla creazione delle Doc in Italia, che nel 1971 nascesse la Denominazione di Origine Controllata legata al nome del borgo e del suo vino di Donnas. Meno normale, anzi più difficile, che proprio lo stesso anno, a Donnas venisse creata una cantina cooperativa con il “preciso scopo di tutelare e garantire la qualità e genuinità del vino” e che questa cooperativa, passando gli anni, si configurasse come una sorta di “presidio” a difesa di un vino che se questa cooperativa, formata da viticoltori non a tempo pieno di età media superiore ai 60 anni, proprietari di piccoli appezzamenti, non fosse esistita sarebbe scomparso. Dire Donnas Doc ieri come oggi, quando le Caves Coopératives de Donnas (visitate qui il loro sito Internet) contano su 85 soci che controllano 29 ettari, di cui 21 iscritti all’albo della Doc, e producono attorno alle ottantamila bottiglie, equivale a parlare dell’azione di questa cantina, della sua opera intelligente e lungimirante, del sostegno tecnico fornito ai soci, del lavoro paziente e faticoso di accorpamento fondiario, della continua attenta salvaguardia dei vigneti e del territorio, che nei vigneti si identifica. E’ proprio per la centralità, la tenacia, l’importanza non solo enoica, ma anche sociale ed economica dell’azione di questa Cantina sociale voglio invitarvi, se vi capita di salire in Valle, di farle visita, magari facendovi prendendo preventivamente appuntamento telefonico (0125 807096) o via e-mail. Chiedete se sia possibile accompagnarvi tra i vigneti, camminare lungo quei percorsi scoscesi, quelle pendenze per cogliere preventivamente l’anima del vino, quella natura petrosa che ritroverete puntualmente bevendolo, per capire da che razza di fatica, di lucida follia, di ragionamento anti-economico abbia origine. Come sia figlio dell’amore e della passione per questa terra. Una volta camminate, come amava dire Veronelli, le sue vigne, il Donnas vi apparirà, nelle diverse interpretazioni che ne dà la Cantina, come il vino più logico e consequenziale dato l’ambiente circostante, un vino di testimonianza, anti-spettacolare e assolutamente non ruffiano per natura, un vino da capire e conquistare lentamente, magari attraverso l’assaggio – cosa che io ho avuto la fortuna di fare, alcuni anni fa, come racconto qui – di qualche vecchia annata, dall’evoluzione straordinaria e sorprendente, da gustare non solo sulla saporita cucina locale dove salumi (il magnifico lardo della poco distante Arnad, ad esempio), formaggi, carni la fanno da padrone, ma anche su molti altri piatti tradizionali delle vostre zone di origine, sui quali data la sua duttilità, scandita da una grande freschezza, da un’acidità importante, da una ricchezza di sale, il Donnas si sposerà perfettamente. Potete cominciare la vostra conoscenza con il Nebbiolo di Donnas con l’assaggio del Nebbiolo più fresco e giovane delle Caves, il Barmet, di cui viene ora commercializzata (circa 15 mila le bottiglie) l’annata 2009, facendovi letteralmente “la bocca” con la sua accentuata vinosità e con la piacevole ruvidezza dei tannini, con un’acidità che “morde”. Poi, prima di passare ai Donnas che la cantina considera più ambiziosi, il Donnas Napoleone 2006 (6500 bottiglie) prodotto la prima volta con la vendemmia del 1997 e presentato in occasione del bicentenario del passaggio in Valle d’Aosta di Napoleone, che, fermatosi a Donnas nel maggio del 1800 ebbe occasione, come riferiscono le cronache dell’epoca, di degustare ed apprezzare il vino locale, affinato per almeno due anni in tonneaux, ed il Donnas Vieilles Vignes 2006 (3300 bott) ottenuto da vigne di 60-70 anni, una sorta di Sfursat o Amarone valdostano, ottenuto da un appassimento delle uve, raccolte a piena maturità, non inferiore ai 90 giorni, potrete finalmente fare confidenza con il Donnas, di cui è ora in commercio, a 7,20 euro in cantina, l’annata 2006. Disponibile in 55 mila esemplari. Da questo vino ottenuto da uve di Picotendro Nebbiolo (vale a dire dall’acino piccolo e tenero) per l’85% e da Freisa e Neyret per un massimo di 15%, provenienti dalle coste rocciose dei Comuni di Donnas, Pont-Saint-Martin, Perloz e Bard, invecchiato per almeno due anni in botti grandi di rovere da 25 ettolitri non aspettatevi il “vinone”, largo e potente e nemmeno le note di frutta matura, la succosità, l’espansione del Vieilles Vignes e quel gusto un po’ più internazionale che troverete nel, pur buono, Donnas Napoléon, dove una certa dolcezza del legno si fa sentire. Entrate invece nell’ordine di idee di trovarvi nel campo dell’essenzialità fatta vino, della petrosità, con un naso che non si concede subito ampio, ben definito, ma rimane “guardingo”, un po’ contratto, con qualche leggera riduzione ed un carattere tra il selvatico, il salmastro, e persino “acciugoso”, e poi si apre regalando note di lampone e ribes, di pietra focaia, di sottobosco, accenni di rosa passita e rosmarino e poi con un palato scandito da una salda struttura tannica, un tannino che morde e si fa sentire senza essere aggressivo e invadente, che si pone al centro del vino e ne detta i tempi, da un’acidità ben delineata, viva, salata, che innerva il vino e gli dà slancio e verticalità, lo rende pieno di energia, nervoso. Vino giovanissimo, che comincia ad aprirsi e a fare intravedere tutti i suoi tesori di eleganza, la sua misura discreta ed elegante e che potrà essere ancora molto migliore nei prossimi anni. Compratelo “a scatola chiusa”, fatene scorta, visto il prezzo contenuto, da oscar del rapporto prezzo-qualità e mettetelo in cantina esplorandone nel tempo, bottiglia dopo bottiglia, l’evoluzione, la progressiva conquista di quella dimensione, essenziale ma autentica, il suo essere roccia e terra e bosco e montagna fatti vino, che lo rende unico, inimitabile. Non è forse questa la bellezza, il fascino straordinario del vero vino?

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Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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