Diego Planeta e la Settesoli5 min read

È di qualche tempo fa la notizia che Diego Planeta, non è più il presidente della Settesoli di Menfi di cui era stato fondatore nel 1964. Eletto per la prima volta nel 1972 dopo quarant’anni ha lasciato la carica e al suo posto è stato eletto Vito Varvaro, già socio della cooperativa ma soprattutto manager di ampia esperienza internazionale. Per chi ha poca dimestichezza con la Sicilia o ha solo una conoscenza superficiale della storia vinicola dell’ultimo mezzo secolo della regione, la notizia può sembrare non tanto diversa da qualsiasi altro avvicendamento del genere. In realtà vuol dire molto di più perché le sue dimissioni segnano lo spartiacque di un’epoca. Provo a raccontare cosa è stato fatto in questi anni.

La Settesoli di Menfi è sempre stato un mondo a parte rispetto al mondo cooperativistico siciliano per il quale Diego Planeta qualche anno fa coniò la definizione di “dead man walking” cioè “un morto che cammina “. Lo sferzante giudizio nasceva dalla constatazione che i progetti di rinnovamento profondo non erano nell’orizzonte culturale delle cooperative ancorate ai vecchi miraggi dei contributi alla distillazione e in generale alle grandi quantità, incapaci sia di vedere il futuro quanto di dotarsi delle necessarie professionalità per interpretarlo. Insomma scarsamente in grado di essere competitive e difficilmente in grado di confrontarsi con il mercato globale.
 
Settesoli invece tutte queste temi li ha fatti propri non senza difficoltà e incomprensioni perché riuscire a convincere i numerosissimi soci ad investire non è stato facile ma i progetti c’erano, erano validi così come erano credibili le persone che li proponevano.

Nel corso degli anni assorbendo altre cantine sociali, è diventata una delle realtà cooperative più grandi d’Europa con 2300 associati, oltre 6500 ettari di vigneto e circa 500.000 quintali di uva lavorata. Basta fare due conti per comprendere che la superficie media di proprietà è per lo più assai piccola – in molti casi è di solo 1 ettaro –  e anche la resa produttiva è assai contenuta  (70- 80 q.li/ha).  Nel 2011 il vino sfuso e confezionato (circa il 70%) è andato per il 60% all’estero e il 40% è rimasto in Italia. Complessivamente il confezionato ( bottiglie di vario formato, bag in box, brick, ecc.)  è pari a 30 milioni di pezzi.

Ma al di là di questi numeri, ha stimolato la nascita di cantine private, di ristoranti, agriturismi, enoteche ed ha realmente favorito il ritorno dall’emigrazione, più di tanti annunci. Basti pensare che il 70% delle 5mila famiglie di Menfi, sono coinvolte a vario titolo nelle attività e nell’indotto. Il vino insomma è stato un reale motore di sviluppo dell’intero territorio anche al di là dell’area menfitana.  Certo qui il reddito di un ettaro (Euro 3500,00) non è nemmeno comparabile a quello della Valpolicella (Euro 16-18.000) ma rispetto al resto della Sicilia è un vero punto di riferimento. La conservazione dei saperi tradizionali, l’aver mantenuto la cultura e le tradizioni contadine, l’aver garantito reddito, hanno contribuito in modo sostanziale a restringere gli spazi alla criminalità.
 
Ma Settesoli ha voluto dire anche innovazione. A parte l’adesione ai progetti di sostenibilità ambientali, nel maggio 2008 è stato inaugurato il più grande impianto fotovoltaico impiegato in Italia nel settore vinicolo: 1500 pannelli per un potenziale energetico unico di 250 kWp e una previsione di produzione complessiva annua di 370.000 Kwh.  Nel  2009 ha adottato carta senza fibra di legno per tutto il packaging aziendale. In tema di solidarietà sociale, Settesoli sostiene  un programma a distanza a favore di Vida a Pititinga Onlus, associazione che lavora per la prevenzione primaria dei bambini della comunità brasiliana di Pititinga e di tre case famiglia siciliane: “Cabam”, “La culla di spago” e “ Koine’”. Grazie a questi progetti,  Settesoli è stata premiata nel 2009 durante la settima edizione del Sodalitas Social Award. Ma anche dal punto di vista produttivo la cantina ha “visto” in tempi non sospetti che ci poteva essere un’alternativa alla produzione di uva per la distillazione. Il progetto “Mandrarossa”  nasce a Menfi intorno alla fine degli anni ’90 grazie alle intuizioni di Diego Planeta e dell’enologo Carlo Corino, prematuramente scomparso,  i quali attraverso una grande selezione sul campo dei vigneti riuscirono ad estrapolare, circa 800 ettari iniziali, per la produzione di vini, via via sempre più importanti e con un formidabile rapporto qualità/prezzo. Non a caso nel mercato inglese, uno dei più competitivi d’Europa, i marchi Settesoli e Mandrarossa hanno un ruolo di primo piano nel panorama del vino italiano esportato.

Diego Planeta come presidente (1985-1992) dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino ha dato una spinta fondamentale al rinnovamento del mondo vitivinicolo siciliano. I progetti e i programmi di indagine e di sperimentazione sulle uve e sui vini e in particolare sul Nero d’Avola guidati da Giacomo Tachis, la collaborazione con Attilio Scienza, sono state decise e attuate proprio in quegli anni cruciali. Recentemente Diego Planeta, insieme ai suoi fratelli e sorelle, figli e nipoti, ha voluto donare al Comune di Menfi il monumentale palazzo di famiglia, oggi sede dell’Associazione SI.S.TE.MA. Vino e dell’enoteca delle Terre Sicane. Un elenco di cose fatte che potrebbe continuare a lungo. Mi limito a citarne solo due. La prima è l’azienda Planeta, quella di Alessio, Francesca e Santi, tanto per intenderci; la seconda è la creazione della  S.I.S spa che opera nel campo dei servizi per l’agricoltura. Ora la carica di presidente della Settesoli è passata a Vito Varvaro, una scelta secondo le parole di Planeta  “ di certezza, di continuità, di crescita, di valorizzazione dell’azienda e del territorio, di giusta visione dell’importanza dell’internazionalizzazione, di forte determinazione verso competitività e mercato”. Quarant’anni sono stati un bel pezzo di strada ma i risultati si possono vedere e assaggiare. Le buone cantine sociali non sono solo una prerogativa del profondo nord.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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