Dieci anni di Nizza5 min read

Il  vino è un po’ come il cinema: l’ arte cinematografica, diceva un produttore, è l’ arte di convincerti a comprare il biglietto.
Dopodiché, di fronte ai risultati del botteghino, le opinioni dei critici si sciolgono come lacrime nella pioggia.

Analogamente, l’ enologia è l’ arte di convincerti a comprare la bottiglia di vino. Per questo motivo chi scrive di vino dovrebbe fare attenzione a come va il mercato.

La questione affiorava nella mia mente durante il decennale della denominazione Barbera di Nizza. E ho fatto esplicitamente la domanda, forse un po’ indiscreta.

Mi ha risposto il decano Michele Chiarlo, massima autorità sulla Barbera di Nizza . Il nocciolo della sua risposta è stato “bisogna tener duro” . Ha detto molte cose sul futuro, che sarà sicuramente splendido  soprattutto perché il nuovo nome, “Nizza” , senza inutili orpelli , è corto e si ricorda facilmente, a differenza dell’ attuale denominazione pleonastica . Sul passato e sul presente non si è sbottonato .

Abbiamo cominciato con una degustazione alla cieca dell’annata 2009 , in procinto di entrare in commercio.

L’ ottimo presidente nel presentare  questa annata ci ha detto che la Barbera di Nizza non dorme sugli allori , si evolve : oggi punta maggiormente sulla freschezza e l’ uso del legno si è fatto più accorto.

E’ così ? forse sì . In effetti, fra i vini che erano pronti, quelli che mi sono piaciuti di più hanno una bella freschezza e un apporto del legno molto discreto . E’ anche vero che c’ erano dei vini schiacciati dal legno, ma erano pochi , meno di quanto si poteva temere.

E gli altri ? Non è mancato il dibattito, per arrivare alla conclusione che ha trovato tutti d’ accordo: “ è un’ anteprima !”  , i vini che non sono pronti matureranno, e se molti di quelli “quasi pronti” fanno ancora sentire il legno, nel prossimo futuro riusciranno certamente a metabolizzarlo .

Ecco perchè di norma evito le anteprime.

I primi 8 vini in degustazione erano campioni da vasca . Alcuni erano assolutamente a posto , e uno mi è particolarmente piaciuto (cascina Garitina).  Altri erano assai lontani dall’ equilibrio: insondabile il loro futuro .
Nell’ introduzione ci è stato detto che al momento in cui l’ organizzazione dell’ evento è entrata nella fase finale, i campioni da botte erano di più.

Magari fra 15 giorni sarebbero stati di meno.

 

Nel pomeriggio c’è stata la verticale panoramica del decennale, dal 2000 al 2008 , molto affascinate. Tutti a cercare il cambiamento di stile; dall’ originaria esuberanza nell’ uso del legno all’ attuale oculatezza. All’ atto pratico, non è così netto il cambiamento di stile in cantina. Si è trovato molto di più la felice variabilità con le annate. La barbera è particolarmente sensibile all’ andamento stagionale , e noi che la beviamo ne siamo contenti. Annate calde, annate fredde, annate perfette .
A quasi tutti sono piaciute le annate calde, vini ricchi e forti.

A me sono piaciute le annate fredde : il 2005 e il ravvicinato 2008 . Ma condivido la generale ammirazione per il 2000, la prima annata del Nizza (quindi , stile antico ), che fu una annata calda. Bersano e La Barbatella ci hanno sorpreso con la loro ampiezza, il nerbo, la maturità senza cedimenti.

Francamente non condivido le grandi lodi rivolte al 2003 : quei vini sono una prova di bravura per chi ha osato farli, ma descrivono fedelmente i limiti dell’ annata . Forse sta diventando un vezzo dire che il 2003 è straordinario e andare ostentatamente in brodo di giuggiole.

Attenzione però a sbilanciarsi e lodare molto uno di questi vini dei primi del secolo , perché subito qualcuno ci dice : “ Visto ! ci avete tanto fracassato le palle perché c’era troppo legno, ma ora vi piacciono !”

Sia dopo la degustazione dell’ annata che dopo la vertcale, c’è stato un notevole dibattito , soprattutto sui temi, fra loro connessi , dell’ alcol e del legno.

Mi è parso che le questioni poste siano state in parte glissate.

E’ stato ribadito che l’ uva deve maturare, la barbera è vigorosa, e se matura bene produce tanto zucchero, che si trasforma  in alcol. In verità questo lo sapevamo: siamo al corrente dei fatti della vita. I problemi sollevati erano un po’ diversi.

E’ stato osservato che un’elevata presenza di alcol estrae molto tannino dal legno: questa non è una caratteristica desiderata nella barbera, soprattutto se si è deciso di puntare sulla freschezza. Porre questo problema non è chiedere meno alcol, magari meno legno…

E’ stato fatto un rilievo al nuovo disciplinare (futuro) che ammette, per i vigneti dedicati alla barbera di Nizza, solo l’ esposizione a Mezzogiorno (anche a sud-est e a sud-ovest ): dato che il vitigno è vigoroso e che il clima si sta riscaldando, forse questa restrizione è troppo rigida e potrà dare dei problemi. O no ?

Al di là dei giri di parole, la risposta chiara e netta l’ ha data il responsabile di Cascina Giovinale: “l’esperienza mi ha insegnato che a 13 gradi e a 13,5 la barbera non è buona – invece a 14 gradi è buona – io la faccio a 14 gradi.”

Benissimo, siamo totalmente d’accordo. E a 14,5 che succede? E’ ancora più buona ? E a 15 gradi, si va di bene in meglio, o si profila qualche problema ?

Alla fine della giornata sono arrivato alla conclusione che i produttori della barbera di Nizza hanno le idee molto chiare su come deve essere il loro vino.

Ascoltano con piacere le lodi, respingono le obiezioni, e vanno dritti per la loro strada. Se lo vendono tutto e la gente fa a cazzotti per accaparrarselo , allora hanno ragione.
 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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